Servono allenatori-leader.

“Sii sempre la versione migliore di te stesso e non la seconda versione di qualcun altro” diceva Judy Garland.

In questo periodo di crisi questa affermazione è più che mai attuale. Lo è per tutti ma ancora di più è una domanda a cui devono rispondere i leader, coloro che guidano e orientano gli altri.

La crisi sanitaria ha ripreso vigore e se in qualche misura il mondo delle multinazionali sta percorrendo delle strade per sostenere i loro leader e manager anche con la collaborazione delle più importanti società di consulenza, nel mondo dello sport italiano non si vede traccia di questa mentalità a partire dal calcio professionistico per giungere sino alle società sportive dilettantistiche. Se in NBA si propongono progetti specifici per potere permettere al pubblico di ritornare a vedere le partite, da noi si chiede più superficialmente di fare entrare allo stadio più persone sovrapponendo così l’obiettivo al mezzo. Senza spiegare come sia possibile salvaguardare la salute di tutti. Inoltre la litigiosità fra le diverse strutture dello stesso sport e la propensione a formulare proposte da “furbetti” sono l’altro elemento che non permette di formulare progetti documentati.

Andando a livello degli utilizzatori finali dello sport, anche in questo ambito, a mia conoscenza, non vi sono proposte. Allenatori e atleti sono lasciati da soli a vivere e gestire questo periodo di grande paura e difficoltà. Chi ha dovuto fermarsi e chi invece lavora sono costretti a vivere questo periodo facendo leva solo su se stessi e per quanto posso vedere dalla mia esperienza di questi mesi, le difficoltà si sono moltiplicate, molti hanno assunto un approccio solo pessimista o fatalista, mentre i più ottimisti hanno fatto leva sulla propria creatività ricercando e attuando soluzioni alternative pur di mantenere una presenza attiva.

“Viviamo nella paura” si sente dire sempre più spesso, non si ha più l’incoscienza dei primi mesi di lockdown, in cui si pensava che passato quel periodo si sarebbe tornati alla normalità, ora si vive l’angoscia di vivere una situazione che non si sa quando finirà e nel frattempo si vive alla giornata e ogni giorno aumentano le persone da noi conosciute che si ammalano.

E’ proprio ora che sentiamo di più questa solitudine sociale, che si somma non solo alla paura di ammalarsi di Covid-19 ma anche che ci possa succedere qualsiasi altro problema sanitario, per cui sappiamo che non saremo curati perché gli ospedali sono in crisi.

E’ in questo contesto che non possiamo lasciare soli le società sportive, gli allenatori e gli atleti, da quelli che si preparano per le prossime Olimpiadi ai giovani delle scuole calcio e di tutti gli sport, non dobbiamo lasciare soli neanche i giovani con disabilità per i quali lo sport è un’attività essenziale per il loro benessere e sviluppo.

In tal senso, nel rispetto delle regole formulate dal governo, sarebbe necessario che a partire dagli allenatori che hanno il rapporto diretto con gli atleti sia fornito un sostegno concreto (non solo economico) alla loro leadership per continuare a svolgere il loro lavoro sui campi per quelli a cui è permesso e a distanza per quegli sport che sono stati fermati.

In questo periodo, serve sviluppare e agire servendosi di queste competenze:

Calma e ottimismo intenzionale, essere fiduciosi ma consapevoli della gravità della situazione.

Ascoltare e condividere, i problemi e le paure delle persone con cui lavoriamo.

Agire, formulare programmi di allenamento adeguati alle situazioni in cui vivono le persone.

 

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