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Il problema degli arbitri di calcio

Leggo che l’arbitro Rocchi, come altri colleghi in passato, potrebbe avere “problemi di gestione della partita”? Forse la subisce troppo, almeno in alcune occasioni? Ciò anche se in altre partite recenti ha fatto bene come in Chievo-Bologna, Novara-Roma e Lazio-Juventus o in Champions League (Chelsea-Valencia). Quindi non si discute la competenza arbitrale ma altro che a che fare con la gestione della partita. Ho lavorato molti anni con Casarin e Agnolin e so bene che l’ostacolo principale che gli arbitri devono risolvere consiste nella gestione psicologica e relazionale dell’incontro. Non basta essere tecnicamente competenti, questa è la condizione per essere lì, serve poi la capacità di sapere cosa fare in ogni momento. Si dice che rispetto al passato il designatore ha a disposizione meno uomini e quindi non può farli riposare o spostarli su partite più semplici (ammesso che ve ne siano). Questi aspetti influenzano di certo l’arbitraggio ma direi che oggi ciò che manca è la preparazione psicologica degli arbitri, vige “il fai da te” e non vi è nessuno sforzo sistematico per incrementare le loro abilità psicologiche. Fino all’avvento di Pairetto e Bergamo agli arbitri veniva invece data questa opportunità di miglioramento, che poi invece gli è stata vietata e solo in seguito ne abbiamo capito le ragioni. Complimenti continuate a reagire in modo indignato quando si dice che gli arbitri soffrono di “sudditanza psicologica”, che ovviamente è la reazione migliore per dimostrare che invece è proprio vero.

Psicologia nei grandi eventi e nelle grandi squadre

Ho lavorato in multinazionali in cui i manager inviati in altri paesi venivano formati da psicologi e antropologi sulla necessità di comprendere la cultura e la mentalità del paese e delle persone che avrebbero dovuto guidare e questo non certo per buonismo, ma per consentire il migliore e più rapido inserimento del manager in un nuovo ambiente psicologico e sociale. Significa volere comprendere il punto di vista degli altri allo scopo di massimizzare le proprie prestazioni. Avviene anche nello sport di livello internazionale o professionistico che sono ambiti in cui s’incontrano individualità e gruppi tra loro anche molto diversi? Direi di no! Alcuni esempi. Il nuovo allenatore della Roma: è pronto a dare un ruolo a Totti, conoscendone l’influenza sulla squadra e sui tifosi, portandolo a svolgere un ruolo positivo per la squadra. Questo richiederebbe la conoscenza della mentalità di un calciatore che non è mai voluto andare via da Roma. Ciò non vuole dire farlo giocare, bensì conoscere per servirsene: non credo venga fatto. Secondo, la IAAF, in relazione alla decisione di squalificare un atleta dopo una partenza falsa, ha mai chiesto ai diretti interessati: direi di no. Infine, Bolt si è mai chiesto come convivere felicemente con il suo obbligo di vincere a ogni costo: direi di no. Esperti in relazioni umane avrebbero potuto fornire loro informazioni e conoscenze tali da farli decidere per il meglio, limando i personali egocentrismi e la presunzione di avere sempre una risposta giusta per la semplice ragione che si occupa un ruolo importante.

Le competenze psicologiche dell’allenatore

Mentre è abbastanza evidente la richiesta che gli atleti fanno di sviluppare programmi di preparazione psicologica, è invece quasi del tutto inesistente la stessa richiesta da parte degli allenatori. Al contrario molti tecnici si ritengono anche bravi psicologi, poggiando questa convinzione sul fatto di essere stati atleti e di capire i propri giovani perchè anche loro hanno vissuto le stesse esperienze. Altri pensano che sia sufficiente un buon programma di allenamento e che il resto non conta nulla e se poi non si emerge è perchè l’atleta non aveva sufficiente motivazione o talento. E quando si ha una difficoltà questa verrà risolta allenandosi di più. Mi chiedo perchè i manager ritengono i programmi di autosviluppo personale degli incentivi che l’azienda offre loro per migliorare professionalemente mentre i nostri allenatori percepiscono questo stesso percorso come una diminuzione della loro leadership, oppure la bollano con un “non ci credo”, come se si trattasse di un atto di fede.