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Come migliorare la relazione con l’atleta?

Spesso gli allenatori chiedono come potrebbero migliorare il loro rapporto con gli atleti/e che allenano.

La mia prima risposta è sempre di consigliargli di ascoltarli e di parlare più spesso con loro. Alcuni capiscono mentre dicono che non ne hanno il tempo. Ribadisco che è meglio fermare l’attività 10 minuti prima per parlare con loro che allenare la tecnica per 10 minuti in più.

Gli atleti come ogni altro umano hanno bisogno di condividere pensieri ed emozioni. Non serve solo fare, serve anche imparare che bisogna dare parole a quello che si è fatto in allenamento e in gara. Non basta solo fare, bisogna anche saperselo spiegare e farlo sapere agli altri attraverso un processo di osservazione e valutazione di se stessi. Questo non è forse parte dell’allenamento? O per allenamento si deve intendere solo fare delle esercitazioni, come un robot che fa senza conoscere il significato di quello che fa e, quindi, non può capirne il significato per sé.

Più semplice e meno impegnativo per l’allenatore è somministrare gli esercizi con la speranza che si avveri quello che insegna, così come un medico somministra una medicina a un paziente.

L’allenatore dovrebbe uscire da questa ambiguità del volere guidare con un approccio solo direttivo e privo di interesse  verso la costruzione dell’autonomia e lo sviluppo delle capacità decisionali del giovane.

Sei un allenatore credibile se…

Gli allenatori, nel rapporto con gli atleti,  fondano la loro credibilità su dimensioni psicologiche in cui la comunicazione interpersonale svolge un ruolo fondamentale e riguardano:

  1. Aspetti stabili del carattere – Ci si riferisce a dimensioni quali l’onestà e la correttezza nel comunicare in modo diretto e chiaro con gli atleti senza volerli manipolare. Sono persone orgogliose di fare parte di quel gruppo sportivo.
  2. La competenza –  Sono individui professionalmente competenti, orientati al continuo miglioramento e alla ricerca delle innovazioni. Accettano i propri limiti e gli errori che commettono. Sanno che ammetterli è un indice di forza e non di debolezza.
  3.  L’impegno –  Questi allenatori sono fortemente impegnati nello svolgere la loro attività. Posseggono e trasmettono una visione positiva della loro squadra, e sono intensamente impegnati a realizzare i loro obiettivi.  Lo sport e l’allenamento li appassionano e in questi ambiti mettono il loro entusiasmo. Sono dotati di molta energia, sono convinti e tenaci.
  4. Il prendersi cura –  Sono sinceramente interessati ai loro atleti, come singoli e come gruppo. Per conoscerli spendono tempo con loro e sono interessati al loro presente così come al futuro.
  5. La coerenza – Sono individui che agiscono in modo prevalentemente coerente realizzando la loro filosofia di allenamento, pur adattando i loro comportamenti alle richieste dell’ambiente e alle situazioni impreviste. A tale fine controllano le loro emozioni, così da trasmettere fiducia agli atleti. Sono coerenti nel fare rispettare le regole e gli standard comportamentali a cui la squadra deve adeguarsi. Pertanto, agiscono in maniera organizzata e lavorano in modo altamente responsabile.
  6. L’essere costruttori di fiducia – Stimolano in modo incessante la fiducia dei loro atleti. Chiedono di esprimersi al loro meglio ma sono anche pazienti nell’aiutarli a svilupparsi e a migliorare.
  7. L’essere buoni comunicatori – Gli allenatori credibili sono degli ottimi comunicatori. Sono aperti, onesti e diretti quando parlano ai singoli e alla squadra. In modo continuo, ricordano agli atleti cosa devono fare per essere dei vincenti. Richiedono il massimo del coinvolgimento e prendono in considerazione le informazioni che da loro provengono. Sanno realmente ascoltare e proprio per questa ragione sono a conoscenza dei problemi e dei conflitti, che ricercano attivamente di risolvere prima che possano ulteriormente peggiorare.
(da Alberto Cei, 2016)

La mentalità vincente di Mourinho

Guidare uomini -  ”Il calcio per me è una scienza umana, sopra ogni altra cosa”.

L’allenatore è un leader globale - “Un allenatore deve essere tutto: un tattico, motivatore, leader, metodologo, psicologo”. “Un insegnante all’università mi ha detto ‘un allenatore che sa solo di calcio non è di livello superiore. Ogni allenatore sa di calcio, la differenza riguarda altre aree. Era un insegnante di filosofia. Ho ricevuto il messaggio”.

Il calcio è globale - “Non faccio lavoro fisico. Difendo la globalizzazione del lavoro. Non so dove cominci la parte fisica e finisca quella psicologica e tattica”.

Personalizzare la comunicazione - Adeguare la comunicazione a ciascun individuo è il compito più difficile di un allenatore e bisogna sapere sfidare le emozioni dei giocatori.

Conoscere gli uomini - “Ci sono molti modi per diventare un grande manager … ma soprattutto credo che la cosa più difficile sia di condurre gli uomini con differenti culture, cervelli e qualità”. All’Inter concesse una vacanza a Wesley Sneijder che era esausto. “Tutti gli altri allenatori hanno parlato solo di formazione”, ha detto Sneijder. “Mi ha mandato in spiaggia. Così sono andato a Ibiza per tre giorni. Quando sono tornato, ero disposto a uccidere e morire per lui. ”

Gli uomini sono scelti - Ha fiducia in una squadra 24 giocatori perché dimostra che ognuno di loro è stato scelto e potranno svolgere un ruolo significativo per la squadra anche se non sono famosi.

Stimolare i calciatori a capire - “Incoraggia il lavoro tattico, non è un ‘trasmettitore’ e la squadra non è un ‘ricevente’. Si serve del metodo della ‘scoperta guidata’; i giocatori scoprono come giocare  sulla base delle informazioni che ricevono, costruendo situazioni pratiche che li condurranno su un certo percorso”.

Focus costante sulla mente - Pone particolare attenzione alla dimensione emotiva, cognitiva e interpersonale dei giocatori. In tal modo i giocatori anziché seguire le istruzioni come degli scolari, sviluppano le idee stesse di gioco guidati da questo approccio mentale al gioco.

Affiatamento e coscienza collettiva - “Lavoro con i giocatori giornalmente e so che quelli che si impegnano al massimo sono in condizione di fare bene, mentre quelli che non lavorano bene non sono in grado di giocare bene. Si gioca come si lavora, e posso dirlo in faccia a ogni giocatore”.

Lavorare con intensità - Allenamenti brevi e presenza del pallone incentivano i giocatori a esprimersi con il massimo di motivazione ed energia. E’ attento agli errori e provoca i giocatori se sbagliano in modo ripetitivo.

 

Criticare: è facile distruggere, è difficile costruire

La scorsa settimana ho incontrato le varie facce del calcio giovanile: gli allenatori, i dirigenti e i genitori.

Ciò che si nota è spesso il desiderio di ognuna di queste categorie di liberarsi dalle proprie  responsabilità, preferendo mettere in cattiva luce gli altri ruoli, evitando la riflessione su se stessi  e sulle proprie possibilità di cambiamento.

Genitori , allenatori e dirigenti si colpevolizzano l’un l’altro in una partita senza vincitori. Mi colpisce che i discorsi si trasformano in critiche distruttive più spesso intraprese per nascondere le proprie responsabilità,  piuttosto che per suggerire sani cambiamenti.

La critica costruttiva è un abilità complessa che comprende empatia,  capacità comunicative, propensione all’ascolto, gestione delle proprie emozioni e  motivazione al cambiamento. E’ un abilità di comunicazione necessaria in campo sportivo ed educativo e evidenzia la capacità di esprimere i propri pensieri e idee, di identificare le proprie sensazioni, di definire e rispettare i limiti propri e quelli altrui, di comunicare e ascoltare in modo aperto, diretto e onesto.

Il ruolo degli educatori che ruotano intorno ai piccoli atleti  implica la capacità di valutare e intervenire sugli errori commessi da altri ma anche, e direi soprattutto, di saper evidenziare ed correggere i propri errori.
La critica costruttiva, adeguatamente utilizzata, serve per migliorare le prestazioni, le relazioni e, più in generale, il senso di efficacia dei vari attori in campo per l’educazione dei bambini.

Fare critica costruttiva è fare una lettura della realtà partendo dalle proprie conoscenze, ascoltando attentamente persone e fatti, accettando il contradditorio, cercando di raggiungere un giudizio che sia orientato al bene del bambino e non alla ricerca della propria verità. Una delle ragioni più profonde di conflittualità  è il non saper fare o accettare critiche. È importante imparare che i nostri valori e le nostre opinioni  personali  non sono in pericolo  quando sono contestate ma anzi spesso si rafforzano.

Come possiamo riconoscere una critica distruttiva da una costruttiva?

La critica distruttiva:

  • È rivolta alla persona, che viene etichettata negativamente
  • È imprecisa
  • Mira a colpevolizzare la persona
  • Tende a chiudere il dialogo

La critica costruttiva:

  • È rivolta alla prestazione o ai comportamenti della persona.
  • Viene data all’interlocutore la possibilità di capire quali sono i comportamenti che non sono sbagliati
  • È specifica e fornisce suggerimenti
  • Vuole migliorare la prestazione e i comportamenti
  • Mantiene aperto il dialogo e trasmette fiducia

Bisognerebbe fare un lungo esame di coscienza prima di pensare a criticare gli altri” (Molière).

(di Daniela Sepio)

L’adolescente in campo: una sfida per l’allenatore

Quando gli allenatori si trovano alle prese con atleti adolescenti la loro capacità relazionale viene spesso messa a dura prova. La soluzione più frequentemente adottata è “fare l’amico”. In realtà anche quando le età cambiano e ci si sente quasi in dovere di cambiare livello relazionale,  la vera sfida è mantenere il proprio ruolo. L’allenatore-amico non serve, il tecnico deve invece applicare alcune regole, utili anche ai genitori,  che gli permetteranno di  aprire  la comunicazione con l’adolescente:

  • Stimolare la partecipazione attiva per facilitare i processi di attenzione e memorizzazione: fare esempi
  • Capire i bisogni di chi ascolta. La motivazione all’ascolto è fondamentale. quali messaggi lo catturano di più?
  • Ricercare i feedback. Non può esservi comunicazione senza scambio: il feedback è dunque uno step essenziale di questo processo.
  • Creare vicinanza: camminare tra  loro
  • Seguire i loro ritmi. Hanno l’abitudine a confrontarsi con messaggi che hanno le seguenti caratteristiche: velocità, movimento, colori, suoni, interattività. Messaggi che non presentino alcune di queste caratteristiche riducono l’attenzione e la motivazione all’ascolto.
  •  Usare il loro gergo
  • Utilizzare canali diversi (visivo, uditivo, cinestesico)
  • Essere concreti evitando l’eccesso di informazioni

Parallelamente esistono degli atteggiamenti che, al contrario,  sono in grado di interrompere qualsiasi possibilità di comunicazione con l’adolescente:

  • L’eccesso di informazioni
  • Dare giudizi e valutazioni negative senza indicare la strada per il cambiamento
  • Avere un atteggiamento di superiorità: “sono più grande e so come vanno le cose”
  • Mantenere una distanza fisica e psicologica
  • Tendere alla manipolazione e al controllo

Comunicare con i giovani è veramente una sfida. Rimaniamo spesso spiazzati di fronte alle loro domande, o ai loro silenzi. Hanno la capacità di smuovere molti vissuti profondi che vanno riconosciuti ed elaborati  per poter proseguire al meglio nel proprio ruolo di formatore.

(di Daniela Sepio)

In campo con i Piccoli Amici

Tra pochi giorni gli allenatori delle scuole calcio scenderanno sui campi ed ognuno si troverà a gestire un nuovo gruppo di piccoli calciatori.

È importante che gli allenatori ricordino che accanto alle competenze tecniche e tattiche altrettanto importante è la conoscenza delle dinamiche psicologiche che caratterizzano le diverse fasce d’età. La gestione di un gruppo e la sua trasformazione in una squadra non può prescindere dalla conoscenza delle giuste modalità di comunicazione con i propri ragazzi.  La prima delle categorie per ordine di età è quella dei piccoli amici. Ecco alcune indicazioni su cosa fare e come comunicare quando si è in campo con loro.

  • Coinvolgerli in maniera intensa
  • Dare la priorità a movimento e divertimento
  • Proporre un’ampia varietà di stimoli

Comunicare con i piccoli amici:

  • Evitare spiegazioni lunghe
  • Proporre regole semplici e specifiche
  • Far rispettare le regole in maniera pacata ma con fermezza
  • Rinforzare il loro impegno
  • Guidare gradualmente all’autonomia

(di Daniela Sepio)

Twitto o non twitto questo è il problema

Il caso dello sfogo di Cisse, calciatore della Lazio, su twitter mette in evidenza come la facilità di accesso alla diffusione al pubblico dei propri pensieri è certamente un veicolo eccezionale di comunicazione ma nel contempo pone il problema di essere capaci di non farsi trascinare dalle emozioni nell’utilizzo di un linguaggio e di espressioni di cui in seguito ci si può pentire. Esempi di twitter: http://bocca.blogautore.repubblica.it/2011/12/02/possesso-palla/