Quando il campione licenzia l’allenatore

Uccidere il padre non è soltanto una tentazione edipica ma, simbolicamente parlando, sta diventando quasi una disciplina olimpica. Jannik Sinner non ha mai vinto tanto come da quando ha cambiato guida tecnica. E il suo dioscuro Matteo Berrettini è solo l’ultimo campione ad avere abbandonato quel padre putativo (a volte, come vedremo, è anche un padre vero e proprio) che è il coach: addio a Vincenzo Santopadre dopo tredici anni pieni di tutto.

Alberto Cei, psicologo dello sport, prova a illustrare la complessità del problema: «A volte si cambia allenatore perché ci si conosce troppo, perché ripetersi stanca o annoia, non è più motivante. Lo diceva pure Trapattoni: dopo cinque anni, gli atleti non ti seguono più. Ma un nuovo tecnico può anche rappresentare uno shock positivo in un periodo di crisi: penso a Jacobs e Berrettini. La novità come stimolo necessario. Infine, non si dimentichi che un campione può aver bisogno di “uccidere il Buddha”, cioè andare oltre il maestro, superarlo grazie ai suoi insegnamenti. Qui si parla di situazioni assolute: con te sono già andato sulla Luna, mi ci hai portato, ora come faremo a tornarci? Tra noi due, cosa potrebbe mai esserci di più?».

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