Il disastro del calcio era già previsto

Continuano le spiegazioni del fallimento della nazionale di calcio. Vi sono almeno due tipologie di spiegazione.

La prima riguarda un gruppo di calciatori che indipendentemente dal loro valore tecnico non sono stati capaci di gestire lo stress determinato da partite decisive. Nessuno può dire che questo dato non fosse prevedibile poiché è stato il filo conduttore delle ultime partite della nazionale. Non sappiamo cosa sia stato fatto per cambiare questo tipo di atteggiamento. Secondo me The disasternulla, tranne che fornire all’opinione pubblica delle frasi rassicuranti (vinceremo il mondiale, i ragazzi appena superati i cancelli di Coverciano dimenticano ogni altra preoccupazione). Questa responsabilità come ovvio ricade sullo staff tecnico nonché sui giocatori.

La seconda, come sottolineato da molti, riguarda  il mancato sviluppo dei giovani calciatori. Fra questi Billy Costacurta ha detto che dopo avere visto qualche partita del campionato Primavera si è reso conto che  “i giovani non corrono più, non crossano e non dribblano. Nessuno glielo insegna. Invece di occupare l’area avversaria, girano al largo”. Quindi il problema è di formazione dei calciatori e non solo della successiva opportunità di giocare in prima squadra.  Ma la questione non è nuova e riporto dei dati. Già nel 2000, quindi 22 anni fa, quando ero responsabile dell’area psicologica del settore giovanile della Federcalcio una ricerca di Stefano D’Ottavio metteva in luce che i giovani di 15 anni non eseguivano dribbling e non tiravano in porta. Inoltre, nel 2013, 10 anni fa, a un convegno internazionale di calcio avevo mostrato dati che dimostravano come gli adolescenti migliori di 15 anni del calcio italiano non utilizzavano alcun sistema per prepararsi mentalmente alle partite.

Ora a distanza di molti anni, e non lavorando più nel calcio giovanile, mi sembra che il problema sia di molto peggiorato e sia diventato cronico, poiché si tratta di problematiche già documentate molti anni prima.

 

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