Perchè continuiamo ancora a parlare di calcio

Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Solle: – come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità? – - Non glielo spiegherei -, rispose – gli darei un pallone per farlo giocare – . Il calcio professionistico fa tutto per castrare questa energia di felicità. Ma lei sopravvive malgrado tutto. E forse per questo capita che il calcio non riesca a smettere di essere meraviglioso. Come dice il mio amico Angel Ruocco, questa è la cosa più bella che ha: la sua inesauribile capacità di sorprendere. Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Dove meno te lo aspetti salta fuori l’impossibile, il nano impartisce una lezione al gigante, un nero allampanato e sbilenco fa diventare scemo l’atleta scolpito in Grecia.

(Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio)

 

Ci sono tre generi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere. Poi ci sono quelli che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse gli altri avrebbero potuto vedere se avessero osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa. E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. «Questi sono i profeti. I poeti del gioco».”

(Osvaldo Soriano, Futbol. Storie di calcio)

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