Archivio mensile per agosto, 2021

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Albert Bandura has died

Albert “Al” Bandura, the David Starr Jordan Professor of Social Science in Psychology, Emeritus, in the School of Humanities and Sciences (H&S), whose theory of social learning revealed the importance of observing and modeling behaviors, died peacefully in his sleep in his Stanford home on July 26. He was 95.

Albert Bandura Albert Bandura (Image credit: Courtesy Albert Bandura)

Bandura is internationally recognized as one of the world’s most influential social psychologists for his groundbreaking research on the importance of learning by observing others. In a 2002 issue of the General Review of Psychology, Bandura was ranked the fourth “most eminent psychologist of the 20th century” behind B. F. Skinner, Jean Piaget and Sigmund Freud.

He is best known for developing social cognitive theory (also known as social learning theory); the concept of self-efficacy – the idea that a person’s belief in their ability to succeed can shape how they think, act and feel; and his Bobo Doll experiments.

“Al Bandura was a giant in the field, whose influence spanned clinical, cognitive, affective and developmental psychology,” said Stanford psychologist Laura Carstensen, the Fairleigh S. Dickinson, Jr. Professor in Public Policy in H&S and the director of the Stanford Center on Longevity.

(Source: https://news.stanford.edu/2021/07/30/psychology-professor-albert-bandura-dead-95/)

Le Olimpiadi delle emozioni non controllate

Sono le Olimpiadi delle emozioni e non quelle dei mental coach. Anche se può sembrare esattamente l’opposto dato che i media e i social utilizzati dagli stessi atleti trasmettono giornalmente ogni loro battito di ciglia. Questa forma di comunicazione deriva anche dall’aver detto per anni che per  evitare l’insorgere dei problemi psicologici se non di psicopatologie gli atleti avrebbero dovuto condividere i loro disagi, per evitare guai peggiori. Naturalmente ci si riferiva alla condivisione con persone per loro importanti e non pubbliche. Comunque per tutti viene il giorno in cui si toccano i propri limiti non solo fisici ma anche psicologici, e così molti atleti di livello assoluto si dimostrano più fragili proprio nell’evento per loro più importante, le Olimpiadi.

Non è una storia nuova, si può trovare già descritta in un numero dell’International Journal of Sport Psychology del 1972 con il resoconto di 9 psicologi che hanno partecipato alle Olimpiadi di Monaco. A distanza di 50 anni, il ruolo dello psicologo dello sport, chiamato ora mental coach, è esploso durante questi Giochi Olimpici. Lo stress non più gestito e la depressione hanno colpito i super-winners, come Djokovic, Osaka, Biley, ma anche atleti più giovani alla loro prima esperienza olimpica, che anno poi vinto una medaglia. Gli atleti e le atlete percepiscono con più consapevolezza le aspettative di risultato che il mondo gli impone, devono eccellere altrimenti valgono zero. Per molti di loro non vi sono alternative alla vittoria, pensiamo a Djokovic che dopo 22 vittorie consecutive ha perso una partita che stava dominando e anche il suo autocontrollo. Sono storie che diventano tragiche anche per l’impossibilità degli atleti di vivere diversamente.

Ricordo un commento di Julio Velasco quando osserva che ha visto nelle immagini televisive che Simon Biley è sempre attaccata al suo cellulare, fonte di stress. Mi viene in mente una situazione opposta, quando Rudic ai mondiali di nuoto a Roma di molti anni fa, si fece consegnare i cellulari dai giocatori di pallanuoto perchè non voleva che si distraessero. Ovviamente, ognuno è libero di scegliere cosa vuole fare, ma la grande esposizione pubblica degli atleti odierni e la consapevolezza che il successo è veramente un modo per cambiare radicalmente il loro futuro economico sono fattori molto destabilizzanti che sinora sono stati poco trattati.

Da ciò deriva l’esplosione della figura del mental coach o del ruolo di campioni del passato come Vialli con la nazionale di calcio o Phelps che sulla base di una riflessine critica sulle proprie esperienze di atleta di livello assoluto possono svolgere un ruolo positivo sull’educazione mentale di altri giovani.

Ragazzi seguite i vostri sogni, parola di Jacobs e Tamberi

Se Jacobs e Tamberi non avessero coltivato il loro sogno non ci avrebbero regalato questa giornata indimenticabile. Un vecchio detto afferma che chi non sogna non è realista. Quante volte ci siamo detti “sarebbe un sogno se ci riuscissi, ma è impossibile, meglio lasciar perdere, sarebbe troppa la delusione”. Così di fronte alla paura del fallimento ci blocchiamo e ci diciamo: “Dai, torna con i piedi per terra”.

Questo non è stato il caso di questi due uomini che, senza essere campioni del mondo o aver stabilito record, hanno deciso di correre il rischio di fallire pur di lavorare a raggiungere il sogno della loro vita. Tamberi e Jacobs hanno creduto nell’apparente impossibile e hanno svolto in questi anni un duro lavoro per trasformare in realtà ciò che all’inizio era un sogno di ragazzi. I sogni permettono di esplorare i nostri limiti e fino a quando non conosciamo quelli attuali non possiamo sapere cosa dovremo fare per oltrepassarli. Spesso sentiamo dire: “ho dato tutto”. E’ certamente vero per quanto riguarda quello che noi conosciamo di noi stessi in quel momento, è la nostra consapevolezza che porta a formulare questo pensiero ma se migliorassimo questa condizione di conoscenza di noi stessi potremmo scoprire che non è vero, che non abbiamo utilizzato ancora tutte le nostre qualità, che forse ancora non conosciamo del tutto. Se Jacobs non avesse avuto il coraggio di abbandonare il salto in lungo dopo due salti nulli, pur avendo saltato in precedenza 8,49, agli europei indoor del 2019 e se Tamberi non avesse scritto sul gesso il suo sogno del tutto incredibile “Road to Tokyo 2020” quando ancora era in ospedale, non avrebbero vinto l’oro a Tokyo.

Solo chi supera queste barriere psicologiche, imponendo a se stesso qualcosa di sconosciuto, può concretamente aspirare a raggiungere obiettivi incredibili. D’altra parte la storia delle imprese degli esseri umani ci racconta molte di queste storie. “Impossible is nothing” è il motto di una multinazionale dello sport, da un lato è falso perché non potremo mai correre veloci come un ghepardo ma è altrettanto vero che nello sport “i record sono fatti per essere battuti” e per farlo bisogna superare quel limite oltre il quale nessuno sino a quel momento è andato.

E’ stato così per Roger Bannister, che il 6 maggio 1954 fu il primo a compiere un’impresa considerata impossibile dai medici e cioè correre il miglio inglese (1609,23 metri) sotto i 4 minuti (3’59”4). Il suo record durò appena 46 giorni, l’australiano John Landy lo portò a 3’58″0, ciò fu possibile perché Bannister aveva scardinato una porta invalicabile oltre la quale ci sono passati tutti e riassunse la sua impresa con queste poche parole: “Il segreto è sempre quello, l’abilità di tirare fuori quello che non hai o che non sai di avere”. Lo stesso fu per Reinhold Messner quando il 20 agosto 1980 fu il primo uomo a realizzare un’altra impresa considerata impossibile dalla scienza, scalare l’Everest (8848 metri) senza l’uso dell’ossigeno, per poi arrivare a scalare tutti i 14 ottomila con questo approccio.

Le esperienze di questi atleti e ieri di Jacobs e Tamberi ci confermano il valore di coltivare i nostri sogni, sono la luce che ci guida tra le difficoltà e le prestazioni, alimentando senza sosta la convinzione di raggiungere la meta prefissata.

Jacobs e Tamberi: oro 100m e salto in alto

Jacobs e Tamberi nella storia per sempre

Tokyo 2020, Jacobs e Tamberi oro: atletica da sognoOlimpiadi: TAMBERI NELL'ALTO E JACOBS NEI 100 M, DOPPIO INCREDIBILE ORO! |  Primapagina | Calciomercato.com