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L’organizzazione della scuola calcio: squadra A e squadra B

Ormai troppo spesso si parla di procuratori per minori di 10 anni, di provini nelle scuole calcio e della ricerca della squadra perfetta … ma non stiamo parlando di serie A. Parlo invece del calcio dei bambini dove frequentemente troviamo la suddivisone in squadra A e squadra B. Cosa vuol dire?

La risposta purtroppo universalmente riconosciuta è : i più bravi e i meno bravi.

L’aggettivo bravo è già di per sé generico e superficiale e se rivolto a bambini dai 6 ai 10 anni che muovono i loro primi passi nel mondo del calcio diventa privo di significato.

Ho compreso nel tempo che l’aggettivo bravo per gli allenatori include: il bambino “al momento” più competente a livello motorio, più veloce, senza problemi comportamentali, facile da gestire e che possiede già alcuni atteggiamenti del calcio professionistico (cadere sui falli, esultare tirando su la maglietta e così via). Sono queste le caratteristiche che  determinano la suddivisione delle squadre? E cosa  rimane fuori da questo ragionamento?  Rimane fuori la considerazione dell’apprendimento tra pari, rimani fuori qualsiasi concetto legato all’inclusione, rimane fuori qualsiasi pensiero legato allo sviluppo e al cambiamento, manca qualsiasi prospettiva futura a vantaggio del “tutto e subito”. Quel “tutto e subito” è la vittoria.

Ricerche europee dimostrano  che quasi il 70% dei bambini che inizia uno sport all’inizio dell’età scolare (5-6 anni), lo abbandona entro i 12-13 anni di età. Indagini realizzate per capire l’origine dell’abbandono riferiscono che i bambini che lasciano hanno la convinzione “di non essere abbastanza bravi”.

Ancora una volta il mondo adulto infrange le barriere del mondo dei bambini appropriandosi del loro linguaggio e convincendo il piccolo calciatore che è lui a non essere bravo.  In questo caso l’errore dell’allenatore è di far ricadere le sue personali aspettative infrante e le sue difficoltà di gestione sui piccoli calciatori, privandoli della possibilità di vivere fino in fondo la loro occasione.

L’utilizzo dell’aggettivo “bravo”sottolinea  in maniera indiscussa la mancanza di competenza di chi usa questo linguaggio scegliendo la strada più semplice  come allenatore e il minor vantaggio per il bambino.

Purtroppo nel calcio giovanile manca una prospettiva a lungo termine e non si accetta la difficoltà di oggi per il beneficio di domani. Viene spesso ignorato il significato dell’apprendimento tra pari ed anche il vantaggio, per i bambini, dei gruppi eterogenei a favore invece della costruzione di gruppi omogenei per competenze. La scelta dell’omogeneità nasconde una scelta egoistica e priva i bambini dell’arricchimento derivante dalle reciproche differenze.

“Ciò che i bambini sanno fare insieme oggi, domani sapranno farlo da soli” (Vygotskij)

(di Daniela Sepio)

In campo insieme: allenatore e psicologo

Alcune scuole calcio hanno già inaugurato il loro anno sportivo e altre lo faranno in questa settimana. Mi auguro che sempre più società abbiano accolto nel loro staff uno psicologo dello sport, apprezzando il valore aggiunto fornito da un professionista preparato a lavorare nello sport.

Ascoltando alcuni colleghi scopro che spesso ad ostacolare l’entrata di uno psicologo nello staff sono gli allenatori, preoccupati di perdere il ruolo centrale della loro figura, ma altrettanto spesso accade che gli allenatori pur avendo in società uno psicologo, non sanno cosa possono chiedere e come farsi autare.

Ho sempre creduto nell’integrazione delle diverse figure professionali all’interno di ogni situazione sportiva ed in particolare nella scuola calcio. Qui si intrecciano tanti aspetti differenti che coinvolgono la crescita tecnica, ma anche fisica e psicologica del bambino e per questo motivo l’integrazione di competenze diventa imprescindibile.

Ho chiesto ad un esperto di calcio con il quale collaboro da anni in tema di calcio giovanile, di scrivere una lista di quanto mi ha chiesto e di quelle ciò che, con la sua esperienza di lavoro integrato tecnico-psicologo, può suggerire di  chiedere. La pubblico per condividere con psicologi e allenatori  il punto di vista di un allenatore che ha imparato a sfruttare al massimo l’opportunità data dal lavoro di squadra.

Cosa chiede l’allenatore allo psicologo

  • Come facilitare la comprensione
  • Come avere maggiore attenzione
  • Come gestire comportamenti scorretti
  • Come gestire i conflitti nel gruppo
  • Come motivare
  • Come dare modelli adeguati
  • Come comportarsi: di fronte a comportamenti scorretti o inadeguati; nei confronti di altre società
  • Come rinforzare/gratificare adeguatamente
  • Che metodo didattico utilizzare e come metterlo in pratica
  • Come correggere senza punire

(di Daniela Sepio)