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Lo sport genera campioni troppo stressati

Stefano Massari, mental coach di Matteo Berrettini, ha scritto un articolo interessante sul tema della pressione agonistica e sociale che vivono le star dello sport di livello mondiale. Ha scritto che: “Il lavoro principale è cercare di far andare a braccetto il successo con la felicità. Per evitare storie come quelle di Andrè Agassi, che era diventato il tennista più forte e la persona più triste del mondo. Il rischio di perdersi dietro ai risultati e al successo è altissimo”. Ricorda che molti hanno dato forfait  dai”demoni nella testa” della ginnasta Simone Biles alle Olimpiadi o il cedimento psicologico della tennista Naomi Osaka davanti alle pressioni di un pubblico tutto per lei. Ma anche il momento buio di Matteo Berrettini, in lacrime dopo tanti infortuni fisici e un ritorno con molte sconfitte e ritiri sui campi di tennis, oppure la difficile rincorsa di Marcell Jacobs, che dopo gli storici ori olimpici nei 100 metri e nella staffetta 4×100 ha gareggiato poco e spesso con prestazioni poco brillanti.

Ormai è un tema ricorrente che non si può più ignorare. Lo sport di livello assoluto è diventato spettacolo e i suoi protagonisti delle rockstar, spesso non preparate a giocare questo nuovo ruolo. Questo sport è negativo per la salute mentale degli atleti, li spinge a considerare che l’unica cosa che conta è vincere, che si deve restare indifferenti alle sconfitte, che non bisogna mostrare in pubblico e sui social i propri limiti nel sapere vivere questo ruolo di vincente a tutto tondo. Diciamo con chiarezza che questo tipo di persona che lo sport richiede e che il pubblico ammira non esiste e che sui social coloro che li odiamo sono tanti e sempre pronti ad esprimersi in modo odioso nei loro confronti.

Sarebbe facile dire a questi atleti non pensarci ma non è possibile quando una carriera sportiva non dura tutta una vita, oltre i 40 anni si può continuare a essere una rockstar, non certo un atleta di livello mondiale. Inoltre, questi atleti e atlete hanno mostrato un’abilità eccezionale nel riuscire a trasformare la loro passione di ragazzi e ragazze in un lavoro che li ha portati, grazie al loro impegno, ai vertici assoluti.

Ciò che hanno realizzato nello sport, insieme anche al loro staff e spesso, ma non sempre, la famiglia, rappresenta il massimo livello di autorealizzazione a cui un essere umano può aspirare. Nel contempo è anche la causa del dolore psicologico che vivono. Il nostro lavoro con loro come psicologi è d’insegnargli a parcheggiare in un parte profonda della loro mente questi stati psicologici debilitanti, a sviluppare la loro forza interiore in modo superiore e ad accettare che l’ambiente in cui vivono comprende anche queste stimoli negativi che non dipendono dalle loro prestazioni ma da come si è sviluppato lo sport.

Non sarà comunque facile.

Giornata indimenticabile per lo sport italiano

Oggi sarà una giornata indimenticabile per lo sport italiano, ci aspetta la finale di Wimbledon e quella che si giocherà a Wembley. Due luoghi tra i più iconici dello sport mondiale, dove gli atleti italiani saranno protagonisti.

Chi ha raggiunto questi obiettivi, Matteo Berrettini e la nazionale di calcio, hanno affrontato un percorso difficile che hanno raggiunto non solo grazie alle loro capacità sportive ma anche in virtù della loro capacità accettare le difficoltà con cui si sono confrontati e di saperle vincere. Sono un esempio di quanto scritto da  Rudyard Kipling, nella poesia If, di cui due versi significativi sono proprio scritti all’ingresso del campo centrale di Wembley: “If you can meet with Triumph and Disaster / And treat those two impostors just the same” (Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina / E trattare allo stesso modo questi due impostori).

In poche parole, Kipling è stato capace di riassumere il senso più profondo dello sport, rappresentato dalla sfida con stessi, dall’angoscia che questa provoca e dalla capacità di superamento di questo condizione psicologica per giungere alla vittoria.

Ogni giovane, allenatore e genitore dovrebbe ricordarsi queste idee e capire quanto sia difficile l’impresa vissuta dagli atleti. Prendiamoci dei nostri talenti.