E’ di questi giorni la notizia che Mauro Santambrogio, ciclista trovato positivo al doping, voleva suicidarsi. Questo episodio mi ricorda che non sappiamo niente di come continua la vita degli atleti dopati. Cosa farà Devis Ricciardi, atletica leggera, mandato via dal gruppo sportivo dell’areonautica, o che ne è stato di Alex Schwazer, l’olimpionico di Pechino, trovato positivo poco prima di partire per Londra. Scompaiono, nessuna organizzazione se ne occupa e si spera che abbiano un ambiente sociale pronto a accoglierli, che li aiuti ad accettare la colpa e a cambiare mentalità e vita. Le organizzazioni sportive, federazioni e corpi dello Stato, non sono organizzate per fornire servizi ai loro atleti che sono in difficoltà che vadano oltre la sanzione, mentre dovebbero anche prevedere programmi di cura. Inoltre, dovrebbero anche prevedere una migliore gestione delle loro risorse umane, per non lasciare allenatori e atleti in balia delle sirene del doping. Sappiamo bene che tanti atleti e allenatori sono privi di quel senso di responsabilità sociale necessario per restare all’interno delle regole dello sport, quindi serve un sistema che dall’interno li guidi seguirle e permetta agli atleti di non sentirsi soli nella guerra di resistenza contro le scorciaotie che i farmaci oggi consentono.
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