Il disastro dell’atletica

La forzata rinuncia di Antonietta De Martino alle olimpiadi è l’ultimo fatto negativo che ha colpito l’atletica italiana. E’ uno sport che in Italia  fornisce risultati positivi solo perché ogni tanto emerge in modo del tutto casuale un campione . Le ragioni che la federazione italiana di atletica leggera utilizza per spiegare questo disastro riguardano di solito la mancanza di sport nelle scuole (vero) e il disinteresse dei giovani verso uno sport che è fisicamente molto faticoso (falso). Questo è uno sport in cui dai tempi di Sara Simeoni gli allenatori degli atleti più forti sono stati i mariti o i genitori e dove spesso i direttori tecnici (tranne alcune eccezioni) svolgono una funzione del tutto marginale. Inoltre la maggior parte degli atleti si allena pressoché in solitudine avendo come unico supporto il proprio allenatore. Nel terzo millennio siamo fermi ai tempi dei precettori che gli aristocratici mettevano accanto ai loro figli per fornirgli una cultura adeguata. Come possono aggiornarsi nei metodi di allenamento questi allenatori pur se bravi? Come si può avere un confronto con i sistemi usati dai più forti al mondo? Per non parlare del supporto psicologico così indispensabile nello sport di livello assoluto e del tutto ignorato dalle organizzazioni dell’atletica. Insomma qui non si fa nulla mentre la federazione degli Stati Uniti ha organizzato un workshop per i suoi allenatori per capire come bisogna allenarsi per evitare di arrivare quarti e non salire sul podio, naturalmente è emerso che accanto ad aspetti legati alle biomeccanica e alla nutrizione il terzo elemento decisivo è il miglioramento dell’attenzione in gara. Qualcuno lo dirà mai alle organizzazioni dell’atletica italiana?

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