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Le strategie mentali dei maratoneti

Per gli psicologi dello sport lo studio delle strategie cognitive dei fondisti è particolarmente interessante, in quanto questi atleti si sottopongono a un elevatissimo stress psicofisico durante il quale devono fornire il meglio di sé.

Il primo studio sistematico condotto sulle strategie cognitive dei fondisti è stato effettuato da Morgan e Pollock [1977], su un campione composto da atleti di livello mondiale e da mezzofondisti di livello inferiore. Per classificare le strategie utilizzate durante la corsa gli autori hanno utilizzato i termini associazione e dissociazione.

Nella prima condizione gli atleti si focalizzano sulle sensazioni provenienti dal loro corpo e sono consapevoli dei fattori fisici fondamentali per quel tipo di prestazione. Nella strategia di dissociazione, invece, i pensieri dell’atleta sono concentrati su qualsiasi cosa, eccetto che sulle sensazioni corporee.

Durante la competizione le strategie cognitive del gruppo di élite rispetto a quelle dell’altro gruppo si differenziano in funzione di queste due caratteristiche. Infatti, per contrastare gli stimoli dolorosi gli atleti di livello inferiore si servono della strategia dissociativa, mentre quelli di élite usano quella associativa e conseguentemente modulano il loro passo.

Inoltre, durante la corsa i maratoneti esperti non attribuiscono molta importanza alla cosiddetta zona del dolore, per almeno due motivi che li differenziano dai meno esperti. Il primo si riferisce alla loro superiorità fisiologica, che gli permette di correre al loro limite incontrando un grado minore di difficoltà. Il secondo, riguarda il fatto che evitano questa zona del dolore, poiché sono capaci di autoregolarsi durante l’intero arco della corsa, basandosi proprio sulle loro sensazioni interne.

Nello specifico nella fase associativa il podista, nello sforzo di massimizzare la prestazione e ridurre al minimo i disagi o le sensazioni dolorose, si focalizza continuamente sulle sensazioni fisiche quali sono la respirazione, la temperatura, la pesantezza dei polpacci e delle cosce e le sensazioni addominali. Questa modalità cognitiva è abbastanza impegnativa per gli atleti, in quanto richiede l’abilità di concentrarsi per lunghi periodi di tempo. La fase dissociativa si presenta quando l’atleta in modo volontario si distrae dai feedback sensoriali che incessantemente riceve dal corpo.

In sintesi:

  • Associazione e dissociazione dovrebbero essere considerate come i due poli estremi di un continuum e non interpretate in termini dicotomici, specialmente quando vengono usate nella corse di lunga distanza.
  • L’uso delle strategie associative è maggiormente correlato con prestazioni di lunga distanza veloci rispetto all’uso delle strategie dissociative.
  • In gara i runner preferiscono servirsi di strategie associative (focalizzazione sul monitoraggio dei processi del corpo e controllo della strategia di gara). Invece, in allenamento si servono maggiormente di strategie dissociative, sebbene queste due strategie sono comunque utilizzate in ambedue i contesti.
  • La dissociazione è inversamente correlata con la consapevolezza fisiologica e i sentimenti derivati dalla percezione dell’intensità dello sforzo profuso. Ciò è stato maggiormente evidenziato negli studi di laboratorio.
  • La dissociazione non aumenta la probabilità d’infortunarsi e può ridurre la fatica e la monotonia della corsa e delle corse svolte a scopo ricreativo.
  • L’associazione può consentire all’atleta di continuare a gareggiare anche in presenza di un dolore sensoriale.
  • La dissociazione dovrebbe venire utilizzata come tecnica di allenamento da chi vuole aumentare la sua adesione all’esercizio, perché permette di percepire in modo migliore e più piacevole il fine dell’esercizio.
  • All’aumento del carico dell’allenamento si verifica uno spostamento da strategie dissociative a strategie associative, così da incrementare la concentrazione dell’atleta sul compito che dovrà svolgere.
  • Quando si utilizza un focus attentivo rivolto verso se stessi, per aumentare l’efficienza della corsa, ci si dovrebbe concentrare sulle sensazioni del corpo piuttosto che sulle risposte automatiche  come il respiro e i movimenti della corsa.

Motivazione dei maratoneti

Carbonaro, G., Cei, A., Ruscello, B, e Quagliarotti, C. (2020). La maratona di Roma: caratteristiche motivazionali e strutturali dei partecipanti. Atletica Studi, 2, 39-52.

A distanza di poco più di un anno, viene pubblicato il report della ricerca sulla partecipazione alla maratona di Roma del 2019, ottenuto grazie alla organizzazione dell’evento da parte della FIDAL. La ricerca è finalizzata allo studio dei profili motivazionali, elaborati anche in relazione ad alcuni riferimenti sulle abitudini di allenamento dei maratoneti, secondo le varie fasce di età. Il mondo del podismo, o se vogliamo chiamarlo dei ‘runner’, è ancora in gran parte inesplorato e questo è uno stimolo per approfondirne le caratteristiche da diversi punti di vista.

 

Troppo facebook e doping fra i runner

Ho letto lunghi estratti del libro sul doping nella corsa amatoriale di Carlo Esposito intitolato “Inferno 2019″. Documenta ciò che di terribile avviene, avvicinando coloro che lo praticano ai pluridopati dello sport di livello assoluto.

L’autore mette in evidenza il ruolo di facebook nell’amplificare questo fenomeno. Questo accostamento non deve stupire, poiché è un contenitore utilizzato per coltivare il narcisismo patologico di queste persone. I miglioramenti delle prestazioni che si ottengono con il doping e l’abuso dei farmaci diventano un modo per acquisire status e popolarità. Facebook è lo spazio per la diffusione di questa immagine di sé.

Il doping come le truffe finanziarie si basa sul concetto d’inganno. Ho descritto come avviene nel mio libro “I signori dei tranelli”. Qui ne riporto la definizione.

Per la psicologia cognitiva “un inganno è un atto o tratto di un organismo M che ha la finalità di non far avere a un organismo I una conoscenza vera che per quell’organismo è rilevante, e che non rivela tale finalità” (Castelfranchi e Poggi, 1998, p.55). In tal senso, è un’azione che ha senso compiere solo se si è inseriti all’interno di un determinato contesto relazionale e sociale, poiché è proprio in quell’ambito che vivono i soggetti M e I per i quali la frode assume significato.

La concezione di atto a cui si fa riferimento parlando di frode riguarda essenzialmente processi consapevoli, condotti in maniera intenzionale. Infatti, l’atto del doparsi  consiste sostanzialmente in azioni che si caratterizzano in termini di volontarietà nella ricerca delle strategie di frode e dei modi per attuarle. Uno degli aspetti inquietanti e clamorosi di questo fenomeno riguarda certamente la grande rilevanza sociale dell’inganno ordito nei confronti di coloro che, nello sport di livello assoluto, ammirano questi atleti per l’eccezionalità delle loro prestazioni sportive. Ciò evidenzia un’altra componente cruciale del processo di frode: la rilevanza dell’inganno per gli ingannati. Infatti, la mancanza di conoscenza da parte degli altri, siano essi semplici tifosi o avversari, della reale condizione dell’atleta, avviene attraverso la sottrazione di informazioni indispensabili, impedendo di valutare in maniera corretta le prestazioni fornite dagli atleti dopati. In altre parole viene fatto credere il falso, a discapito del fare sapere il vero.

Infine, il processo dell’inganno comprende un ulteriore aspetto, relativo al non fare sapere all’ingannato che lo si sta ingannando. Quando si falsifica si compie esattamente questo tipo di operazione, si forniscono notizie false, con il dichiarato intento di fare credere che siano vere e si compiono azioni per convincere gli ingannati della bontà di quanto viene sostenuto.

Indipendentemente dal fatto che questi abusi riguardino il doping attuato per fornire prestazioni eccellenti alle Olimpiadi, piuttosto che quello più semplicemente praticato da atleti che svolgono attività a livello ricreativo, tutte le frodi hanno tre elementi in comune che se confrontate con quelle utilizzate da Castelfranchi e Poggi per descrivere il processo dell’inganno vengono così associate:

  • vengono svolte in maniera segreta  e questa dimensione può ascriversi al fattore denominato meta-inganno
  • violano il rapporto di fiducia fra coloro che la compiono e l’organizzazione/ambiente sportivo che ne è vittima e, quindi, si basano sul fattore non-verità
  • sono tese a determinare benefici economici e/o sociali ai frodatori e, quindi, si identificano in termini di finalità specifica.

IAAF taglia la gare di lunga durata dalla Diamond League

Ingiustificata scelta della IAAF di cancellare le corse di lunga durata dal circuito della Diamond League, quando i runner sono il principale pubblico dell’atletica. Forse perché i più forti sono africani?

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I numeri della maratona in Italia

L’attività fisica particolarmente impegnativa tende a ridursi nella maggior parte degli animali con l’aumentare dell’età. Nell’uomo questo dato non è sempre vero, poiché si rileva oggi un significativo aumento degli individui che continuano a restare fisicamente attivi anche quando sono anziani.

Il successo che in questi anni in tutto il mondo sta conoscendo la maratona (42,195 km) è una dimostrazione di questo dato.

  • Nel 2018 in Italia l’anno portata a termine 37.874 individui di cui 6.872 sono donne.
  • Continua ad aumentare il numero di runner che corrono la maratona con tempi a partire da quattro ore e trenta minuti: quest’anno sono stati 9508, corrispondenti a un incremento rispetto al 2017 del 25%.
  • Inoltre solo 43 atleti hanno corso in meno di due ore e trenta equivalente a un decremento in Italia del 23,2%.
  • Anche la fascia tra tre ore e tre ore e trenta è diminuita del 28,6% e corrisponde a 6.553 individui.
  • La fascia di tempo con più partecipanti è stata tra tre ore quarantacinque e quattro ore: 4.752 (con un decremento rispetto all’anno precedente del 5,8%.

Probabilmente ha ragione Daniele Menarini che interpreta questo dato dell’aumento della lenta percorrenza come l’emergere a livello di maratona dei fenomeni di fitwalking e nordic walking che sono pratiche ampiamente diffuse nel podismo italiano. La maratona è pur sempre una sfida con se stessi che è protratta nel lungo tempo anche se svolta a basse andature. Accettare questo approccio può portare a una concezione di questa gara come un’esperienza motivante anche per chi non corre (o cammina) con la logica del tempo ma di vivere un’esperienza che un cittadino resta comunque estrema. Menarini suggerisce a quest riguardo di aumentare il tempo massimo per accogliere più partecipanti, seguendo lo spirito di quanto avviene in Giappone e ci ricorda qui sotto lo scrittore-maratoneta Murakami Haruki

“…affronto i compiti che ho davanti e li porto a compimento ad uno ad uno, fino a esaurimento delle forze. Concentro l’attenzione su ogni singolo passo, ma al tempo stesso cerco di avere una visione globale e di guardare lontano. Come vengono giudicati il tempo che ottengo in gara e il mio posto in graduatoria, come venga considerato il mio stile, è di secondaria importanza. Ciò che conta per me, per il corridore che sono è tagliare un traguardo dopo l’altro con le mie gambe. Usare tutte le forze che sono necessarie, sopportare tutto ciò che devo e alla fine esere contento di me. Imparare qualcosa di concreto- piccolo finchè si vuole ma concreto- dagli sbagli che faccio e dalla gioia che provo. E gara dopo gara, anno dopo anno, arrivare in un luogo che mi soddisfi. O almeno andarci vicino. Se mai ci sarà un epitaffio sulla mia tomba, e se posso sceglierlo io, vorrei che venissero scolpite queste parole: “Murakami Haruki, scrittore e maratoneta. Se non altro fino alla fine non ha camminato”. Perché si dica quel che si vuole ma io sono un maratoneta”.

Fonte:  Murakami Haruki “L’arte di correre”, Torino, Einaudi.

Sei un runner? Partecipa a una ricerca

Se sei un runner partecipa a questa ricerca realizzata dal Centro Studi della Fidal per conoscere quanto e come ti alleni e quali le principali ragioni per cui pratichi questo sport. Clicca sulla figura e vai alla pagina dove troverai le domande a cui rispondere. Partecipa anche tu a fare conoscere il mondo degli amanti della corsa.

Le esperienze degli ultramaratoneti

Review

“It’s Not about Taking the Easy Road”: The Experiences of Ultramarathon Runners

Duncan Simpson,  Phillip G. Post,  Greg Young,  Peter R. Jensen 

The Sport Psychologist, 2014, 28, 176-185

Ultramarathon (UM) running consists of competitive footraces over any distance longer than a marathon, which is 26.2 miles  The distances of UM races vary from 31 to over 100 miles and are often distinct due to the challenging environments in which they take place (e.g., forests, mountains, jungle, and desert).

Research that has been conducted has primarily examined the sport motivations, changes in mood states, and sport-specific cognitions of UM runners. Research on UM participant motivations suggest that these athletes compete to experience feelings of personal achievement, to overcome challenges, socialize with other runners, and to be in nature.

Evaluations of UM runners’ cognitive orientations, race thoughts and mental strategies indicate that these runners are more confident, committed to running, have higher goal-orientations compared with other athletes, use dissociative thoughts (e.g., thinking of friends, music) and use several mental skills (i.e., imagery, goal setting, self-talk).

Results

The present study explored UM runners’ experiences of training and competition using the method of existential phenomenological interviewing: 26 participants ranging in age from 32 to 67 years.

UM Community was the most prominent theme that emerged from the interviews. Specifically, these participants perceived the UM community helped them to effectively prepare for events (e.g., obtain information on how to train), manage in race demands (e.g., support from crew members), discover new environments (e.g., running new races) and enhanced their sense of personal achievement (e.g., the exclusivity of the small number of individuals participating in UM).

UM Preparation/strategy highlights the amount of time, dedication, and personal sacrifice needed to be a successful UM runner. While prior research indicates that training hours are key predictors of success, it does not adequately describe the dedication and sacrifice made by these runners. UM runners train for long periods of time without large incentives (e.g., monetary rewards, sponsorships) or established training protocols (e.g., coach, training guidelines). To train effectively these UM runners often sacrificed social relationships, family, and work needs. Therefore, the incentive to train and decisions about nutritional/training needs largely rested with each individual.

UM Management is consistent with prior UM research examining cognitive strategies and goal orientations. With regard to goal orientations, prior research suggests that UM runners focus on task goals (i.e., process) more than outcome goals (i.e., winning the race). This was supported in the current study, with the majority of participants indicating that they were primarily focused on simply doing their best. This included running specific time goals or simply finishing the event within the allotted time. In terms of cognitive strategies, participants described using goal setting, self-talk, attentional focus strategies, cognitive restructuring and imagery to assist with managing the physical and mental demands of the race.

UM major factor in dealing with pain was being able to accept the pain. Specifically, before the race participants acknowledged that the run was going to hurt, and as long as the pain did not exceed a certain threshold, it was viewed as a normal aspect of the race. Several runners also described using associative strategies to manage pain.

UM Discovery and personal achievement suggest that UM are motivated to participate in these races to experience personal achievement, to push themselves beyond their perceived capabilities, and to experience nature. Discovery was also about exploring the unknown, overcoming fear, and unveiling new personal insights (e.g., that they were capable of running a much farther distance than they thought possible).

Una maratona in mezzo ai leoni

 La 15 ° edizione della  Safaricom Marathon ha avuto luogo presso Lewa, sabato 28 Giugno 2014. Organizzata da Tusk Trust e con Safaricom, questo evento di raccolta fondi ha ospitato 1.000 atleti provenienti da oltre 20 paesi diversi. La Safaricom Marathon è considerata come una delle maratone più difficili al mondo. Tuttavia, podisti di ogni livello ne prendono parte, da chi corre per divertimento, a escursionisti e appassionati, ai professionisti come Paul Tergat, keniano ex-primatista mondiale. L’impatto della manifestazione è stato enorme ed i benefici sono tangibili. Dalla sua nascita la manifestazione ha raccolto oltre $ 4,2 milioni. Tusk e Lewa hanno sempre condiviso un obiettivo comune per la conservazione della fauna selvatica come catalizzatore per alleviare la povertà, ridurre i conflitti e migliorare l’istruzione e i mezzi di sussistenza nelle aree rurali ricche di biodiversità.

Corsa e meditazione

Il runner e maestro buddista Shambhala, Sakyong Mipham vive l’attività fisica come essenziale per il benessere spirituale. In questo libro visionario e pratico, offre alcune semplici lezioni che integrano la serenità mentale con il movimento fisico che ognuno può perseguire – indipendentemente dall’età, dal background spirituale e dalla propria abilità. Il risultato consiste in un migliore stile di vita – più energia, più focus, più pazienza – che va bene per i runner, per coloro che ricercano una vita spirituale e per chiunque sia interessato a migliorare la salute e il benessere.

(http://runningmind.org/)