Archivio mensile per giugno, 2023

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Il calcio continua a perdere le partite decisive: 5 in un mese

Nell’ultimo mese le squadre italiane di calcio hanno perso 3 finali di club, una finale del mondiale U20 e una semifinale della Nations League. Non c’è nessuna relazione fra queste squadre, diversi gli avversari, diversi gli allenatori e ovviamente diversi i calciatori. Tuttavia sono accomunate dal non essere riuscite a superare l’ultimo ostacolo.

Il calcio italiano non si è qualificato agli ultimi due mondiali di calcio. Sono 8 anni, a cui si devono aggiungere i prossimi 4 di attesa. 12 anni sono lunghi, un bambino ha tempo di nascere diventare adolescente senza avere ancora visto l’Italia giocare il torneo più importante al mondo. Si dice che il calcio è la cosa più importante fra quelle meno importanti. Tuttavia, basta ricordarsi l’entusiasmo dei napoletani per la vittoria dello scudetto e degli argentini per quella dell’ultimo campionato del mondo per capire che è un generatore di felicità.

Se come ha detto Eduardo Galeano: “Giocare senza tifosi è come ballare senza musica”, mi chiedo se in un’epoca così egoista e narcisista, in cui ogni sospiro personale genera una storia su instagram, i calciatori che hanno giocato queste partite così importanti siano realmente consapevoli di questo ruolo dei tifosi e se nel loro animo pensino di avere fatto anche un po’ più di tutto per ottenere un risultato diverso.

Il ruolo dei genitori nell’apprendimento motorio

Questo blog è dedicato ai genitori per illustrare quanto sia importante che i loro figli sin dai primi anni dell’altro vita stiano all’aria aperta e si possano muovere liberamente così da sviluppare le abilità motorie e l’intelligenza necessaria per il loro sviluppo.

Nei primi anni di vita un giovane deve imparare i movimenti di base e lo scopo dell’educazione motoria è di insegnare in modo divertente ai bambini e alle bambine a muoversi in modo efficace e efficiente, in un ambiente sicuro e con la consapevolezza di ciò che stanno facendo. Per la formazione del giovane il raggiungimento di questo risultato è tanto importante quanto l’acquisizione dell’alfabetizzazione linguistica e matematica.

Nello specifico dai tre ai sei anni i bambini devono acquisire le abilità motorie di base (ad esempio, piegarsi sulle gambe) che rappresentano il fondamento di tutta l’attività fisica e  dalla cui combinazione nascono le principali competenze di ogni sport. Sono questi gli anni in cui vanno sviluppate le seguenti abilità:  passo (andatura), piegamento sulle gambe, muoversi rapidamente in avanti, flessione, spingere, tirare, ruotare e fare una torsione. I movimenti complessi sono composti da questi differenti elementi di base e le azioni del bambino saranno adeguate se saprà integrare fra loro le diverse sequenze motorie. Ad esempio, saltare si basa sul movimento del piegarsi sulle gambe mentre nel lancio del frisbee a questo movimento si aggiungono lo spingere e la rotazione.  In ogni gesto sportivo, anche nel più complesso, sono rintracciabili questi schemi motori di base. Pertanto, se un giovane non ha imparato a padroneggiarli con maestria, i suoi ulteriori apprendimenti motori potrebbero essere compromessi o ridotti.

Non è, però, solo questione d’insegnare in modo letterale i movimenti di base, poiché ogni forma di schematizzazione comporta una semplificazione eccessiva della realtà motoria e una riduzione delle esperienze di movimento. E’ quindi necessario fornire ai bambini l’opportunità di sperimentare il più ampio numero di comportamenti. Ad esempio, a partire dall’età di due anni si può già insegnare ad andare sui pattini in linea, in bicicletta o ad arrampicarsi se i genitori sono disposti a insegnare ai propri figli come fare. Questo dato evidenzia il ruolo decisivo che gli adulti, in questo caso i genitori, svolgono nel favorire o ostacolare lo sviluppo motorio, comprese le implicazioni psicologiche e sociali ad esso connesse. Bambini iperprotetti che ha tre anni non salgono da soli sull’altalena o camminano poco perché è più comodo portarli in passeggino o lasciarli a casa a guardare la televisione, sono esempi di come si può quotidianamente sviluppare una riduzione della motricità e sviluppare uno stile di vita sedentario.

Si può affermare che nel corso dello sviluppo il bambino è il principale artefice della costruzione dei propri processi conoscitivi siano essi tipicamente motori, cognitivo-affettivi o sociali. Alla base di questo percorso evolutivo vi sono alcuni fattori che  costituiscono le cause dello sviluppo. Il primo si riferisce alla maturazione del sistema nervoso, necessario perché forme più avanzate di autonomia si affermino. Questo non è comunque l’unico fattore poiché l’esperienza acquisita e l’interazione sociale rappresentano due altri fattori di sviluppo altrettanto necessari.

Nel primo caso ci si riferisce alle azioni e alle ripetizioni di azioni, agli esercizi che il bambino effettua autonomamente sulla realtà ambientale in cui vive e alla percezione di consapevolezza che ne deriva. In tal modo conosce le proprietà degli oggetti, ne fa esperienza, li pone in relazione con se stesso, arricchendo così la sua conoscenza del mondo e del modo di rapportarsi ad esso. Pensiamo ai diversi modi di salire e poi di scendere, ad esempio da un divano, che il bambino mette in atto attraverso un numero ampio di ripetizioni. Prova così gli schemi motori di base, ogni volta in modo diverso da quella precedente, li compone spontaneamente in sequenze differenti e attraverso la ripetizione giunge a sviluppare un’abilità motoria specifica. Questo processo di apprendimento può essere accelerato attraverso l’interazione sociale, che avviene essenzialmente per mezzo del linguaggio. A tale riguardo l’interazione con un adulto che osserva il bambino in questa sua azione sarà positiva se è volta a incoraggiarlo e  a garantirgli lo svolgimento in un ambiente sicuro. Diventerà negativa e, pertanto, ostacolante l’esperienza se l’adulto interviene per inibire l’azione o per renderla troppo facilitata. Di conseguenza l’opportunità di fare esperienza e le interazioni sociali rappresentano il contesto al cui interno il bambino svolge le sue azioni.

Il fattore causale decisivo per lo sviluppo è il fattore di equilibrio, che delinea un  bambino attivo e non passivo, che si modifica attraverso il suo rapporto con l’ambiente. Questo fattore deve essere inteso come ottenimento di un equilibrio tra perturbazioni esterne e attività del bambino. Diventa così più evidente la ragione per cui l’ambiente fisico e sociale rappresentano degli scenari in cui esercitare le proprie azioni. L’equilibrio e il conseguente adattamento si raggiungono attraverso i processi di assimilazione e accomodamento. L’assimilazione consiste nel fare propri gli elementi di novità che vanno ad arricchire gli schemi motori e mentali, così facendo vengono incorporati i dati dell’esperienza in funzione delle strutture interne già esistenti. L’accomodamento, invece, è il processo per mezzo del quale le strutture interne vengono cambiate dalle esperienze esterne, consentendo ai processi di sviluppo del bambino non tanto di arricchirsi di nuovi elementi ma di svilupparsi a livelli evolutivi superiori. Pertanto, l’assimilazione è un processo di conservazione e arricchimento delle competenze mentre l’accomodamento rappresenta una novità nel processo di sviluppo.

In conclusione, l’evoluzione motoria del bambino avviene attraverso un migliore adattamento all’ambiente. Il bambino evolve a partire dai movimenti primari attraverso la maturazione del sistema nervoso, l’esperienza e l’interazione sociale che costituiscono il terreno su cui interviene il fattore di equilibrio. Questo fattore consente al bambino di agire sull’ambiente attraverso le competenze motorie e psicologiche che possiede ma nel contempo queste stesse vengono modificate in funzione delle situazioni.

Quanti campioni mondiali in serbia

La Serbia è un Paese di 6,8 milioni di persone. Dal punto di vista della popolazione, è grande quanto il nord Italia. ma è sorprendente il numero di talenti sportivi d’élite di questa nazione.

Infatti,  Serbia ha attualmente i migliori giocatori di tennis e di basket del mondo. Novak Djokovic è ritornato a essere il numero 1, mentre Nikola Jokic è diventato campione NBA con la sua squadra.
Ampliando il confronto la Serbia, con una popolazione inferiore ai 7 milioni, ha attualmente 4 tennisti tra i primi 57 della classifica ATP. Gli Stati Uniti, con una popolazione di 333 milioni di abitanti, ne hanno 9 nei primi 57 posti.
In NBA, la Serbia ha attualmente 5 giocatori: Nikola Jokic, Bogdan Bogdanavic, Boban Marjanovic, Aleksej Pokusevski e Nikola Jovic. Se si includono i giocatori con cittadinanza o o di origine serba, la listasi allarga anche a Luka Doncic, Goran Dragic, Nikola Vucevic, Cedi Osman e Deni Avdija.

Se si allarga lo sguardo ad altri paesi dell’ex-Jugoslavia, la Slovenia, con 2 milioni di abitanti, nel basket si è classificata quarta alle ultime Olimpiadi. La Croazia, con meno di 4 milioni di abitanti, ha due tennisti tra i primi 25: Marin Cilic e Borna Coric. È un numero incredibile di talenti prodotti in questa regione relativamente piccola del mondo.

La salute mentale dei giovani atleti è ancora poco studiata

Purcell R, Henderson J, Tamminen KA, et al. Starting young to protect elite athletes’ mental health. British Journal of Sports Medicine 2022,  57:439-440.
Una ricerca appena pubblicata che riassume il tema della salute mentale fra i giovani atleti di élite ha evidenziato questi risultati, piuttosto allarmanti.
  • I disturbi mentali sono un’importante condizione di salute che colpisce i giovani a livello globale.
  • Circa la metà di tutti i disturbi mentali comuni emerge prima dei 18 anni.
  • Il 58% dei disturbi mentali negli adolescenti non viene individuato e trattato.
  • I giovani atleti d’élite mostrano un significativo stigma nei confronti della salute mentale e atteggiamenti negativi verso la ricerca di aiuto, compresa la paura delle conseguenze della ricerca di aiuto in un contesto sportivo d’élite.
  • Le ricerche pubblicate sulla salute mentale nello sport d’élite sono triplicate negli ultimi due decenni. Solo pochi studi trasversali hanno invece studiato atleti d’élite giovani di età compresa tra i 12 e i 18 anni.
  • Il 16,9% soffre attualmente di almeno un disturbo mentale, con una prevalenza nell’arco della vita del 25,1%. I sintomi di salute mentale auto-riferiti dagli atleti giovani variano dal 6,7% per l’ansia al 9,5% per la depressione,
  • Le ragazze/donne hanno una probabilità significativamente maggiore rispetto ai ragazzi/uomini di riferire sintomi o di essere valutati clinicamente come affetti da psicopatologia.
  • I giovani atleti che praticano sport individuali riportano una maggiore gravità dei sintomi rispetto a quelli che praticano sport di squadra.
  • Vi è urgente bisogno di uno solido sviluppo della ricerca su questo argomento.
  • I giovani atleti d’élite possono trovarsi di fronte a una serie di circostanze di vita che aumentano il rischio di sviluppare disturbi mentali, tra cui le “pietre miliari” dello sviluppo come la pubertà, il ruolo dei genitori, la navigazione in relazioni interpersonali più complesse, l’impegno con i social media come “nativi digitali” e la negoziazione di aspetti della formazione della loro identità, come il genere, la cultura o la sessualità. A sui si aggiungono quelle connesse al porre l’enfasi sui risultati sportivi.

 

Le motivazioni di Novak Djokovic

Novak Djokovic ha nuovamente vinto e ora è il tennista più vincente della storia di questo sport con 23 tornei dello Slam. Si pensava al passaggio di consegne tra Alcaraz e Djokovic ma il primo ha subito così tanto la pressione agonistica che è stato bloccato da crampi su tutto il corpo.

36 anni e non sentirli, potrebbe avere diverse ragioni per continuare a giocare.

Passione per il gioco: Djokovic potrebbe sentirsi appagato solo quando è in campo. La passione per il gioco potrebbe essere una delle principali motivazioni per continuare a competere.

Sfida personale: è un atleta di livello planetario, un vincitore seriale, ciò continua a rappresentare una forte spinta a continuare a sfidare se stesso e migliorare costantemente. Superare i propri limiti.

Stabilire nuovi record: Ora potrebbe puntare a conquistare nel 2024 il “Golden Slam” (vincere i quattro i tornei del Grande Slam e l’oro olimpico a Parigi).

Essere d’ispirazione: come uno dei giocatori di maggior successo nel tennis, Djokovic potrebbe sentirsi motivato a ispirare gli altri con il suo gioco e le sue vittorie.  Modello positivo per i giovani, incoraggiandoli a perseguire i propri sogni.

 

Perchè tifare domani per l’Inter

La finale di Champions League di quest’anno verrà giocata da due squadre, una delle quali è data per sfavorita, l’Inter, rispetto all’altra, il Manchester City.  Le ragioni addotte per formulare questa scelta sono molte e non ultima è quella di essere guidata da un allenatore dominante sulla scena mondiale da molti anni come Pep Guardiola.

In questa situazione l’Inter fa parte di quella categoria denominata underdog, definita come squadra che si trova in una situazione di svantaggio e che si prevede perda. Di storie di sfavoriti è piena la mitologia, il cinema e lo sport. Quindi perché dovremmo essere attratti da Davide contro Golia o da Rocky Balboa, dalla Cremonese che giunge alle fasi finali della Coppa Italia o dal Leicester che vinse il campionato inglese? Perché tifare per l’Inter?

In primo luogo, per l’identificazione, questo vale essenzialmente per i tifosi di questa squadra, che hanno una forte affiliazione preesistente. Altri ancora hanno un legame meno intenso ma la supporteranno in quanto squadra italiana. Vi è comunque una terza categoria di persone che tiferanno per l’Inter perchè è la squadra sfavorita, si può scegliere di simpatizzare, per la squadra svantaggiata con la quale non si ha alcuna affiliazione precedente. Poiché il successo degli underdog è per definizione inaspettato, questo può aumentare l’emozione di tifare per loro. In altre parole, le persone possono fare il tifo per l’Inter per il semplice motivo che le vittorie inaspettate sono più soddisfacenti dal punto di vista emotivo rispetto alle vittorie attese; viceversa, le sconfitte attese non sono così difficili da sopportare come le sconfitte inaspettate. Stare dalla parte di chi potrebbe ottenere un risultato meno probabile è personalmente più emozionante rispetto allo scegliere la sponda opposta.

Comunque, i primi che dovranno manifestare questa mentalità sono i calciatori e lo staff dell’Inter. Loro devono essere i primi tifosi di loro stessi. Concludo con un pensiero di Marcello Lippi: “Nella mia carriera non ho mai vinto niente, voi è da dieci anni che non vincete niente. Sarà l’ora che le cose cambino. Saremo di fronte a una grande tavola imbandita, dove ogni coppa è un piatto. Nessuno potrà avere più fame di noi”.

Napoli: squadra che vince si cambia

Il detto “Squadra che vince non si cambia” non si applicherà di certo al Napoli di quest’anno, dominatore del campionato italiano. E’ da giorni ufficiale che Spalletti non ne sarà più l’allenatore ed è probabile che alcuni giocatori lasceranno la squadra.

Sono fatti difficili da comprendere per chi ha l’idea che l’obiettivo di un club di livello assoluto sia quello di migliorarsi costantemente. Quindi, di attrarre nel futuro immediato nuove risorse, servendosi dell’attrazione rappresentata dalla valorizzazione della rosa di calciatori che vi è stata durante il campionato e dalla qualità del lavoro svolto dallo staff guidato dall’allenatore.

Questo concetto è stato, invece, messo in discussione dall’abbandono dell’allenatore e dal fatto che si discuta del possibile trasferimento di calciatori importanti come Kim min-jae, Zielinski, Osimhen e Kvaratskhelia.

Spalletti ha elogiato i suoi giocatori per il percorso svolto in Champions League. “La qualità del nostro calcio ci ha permesso di distinguerci”, ha detto. “È stato motivante per i giocatori perché si sono trovati di fronte una meritevole finalista di Champions League e dovevano dimostrare tutto quello che avevamo ottenuto durante la stagione”. Però è andato via e le spiegazioni riguardano certamente lo stress accumulato durante il campionato, l’avere ricevuto la conferma via mail con una pec, l’estrema difficoltà rappresentata dal ripetere questa vittoria. La mia impressione è che non sia stato fatto il necessario per farlo restare alla guida del Napoli.

La gioia e l’entusiasmo dei tifosi continuerà per molto tempo, come è giusto che sia, quando un successo di questo tipo viene raggiunto dopo decenni dalle vittorie conquistate dalla squadra di Maradona. Se prima di oggi questo risultato così eccezionale era stato ottenuto solo grazie al ruolo svolto nel Napoli da una leggenda dello sport, non si potrà non mostrare gratitudine alla squadra di oggi che ha permesso di unire il presente al passato, facendo intravedere come potrebbe essere il futuro.

Le prime partite della nuova stagione saranno vissute con questo stato d’animo e sarà molto positivo per la città e i suoi tifosi. I giocatori e tutta la squadra dovranno, però, ringraziare di questo supporto entusiasta e fare proprie queste emozioni trasferendole nel gioco, dimostrando di volere continuare ad alimentarle attraverso la loro voglia di continuare a stupire il mondo.

Perdere una gara perchè si sente troppo lo stress di essere favoriti

Se è vero che il risultato di una singola gara non definisce il valore di un atleta o il successo di una carriera; succede però che spesso gli atleti non sappiano reggere la pressione che vivono quando sono favoriti e di conseguenza peggiorano la loro prestazione e perdono la gara.

Spesso ci recano da soli i problemi. Ci impegnamo molto per raggiungere uno standard di prestazione di alto livello e quando lo abbiamo raggiunto, abbiamo paura dell’idea di essere i favoriti, quindi, peggioriamo il livello prestativo per uscire da questa situazione stressante. Ma non finisce lì la storia, perchè un minuto dopo avere perso ci deprimiamo o arrabbiamo con noi stessi per non avere fornito la prestazione di cui siamo capaci.

In sostanza abbiamo fatto di tutto per essere insoddisfatti perchè non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che sappiamo fare consapevoli che potrebbe non bastare a vincere.

La soluzione sarebbe semplice: concentrati sul tuo impegno e sulle tue prestazioni piuttosto che sull’esito finale.

Il problema è che si vorrebbe avere la certezza del successo, che a priori non è possibile avere. Se non si accetta questa regola,  lo stress agonistico prende il sopravvento causato dalla gara, che rappresenta il fattore scatenante esterno e che determina l’impossibilità di gareggiare al meglio.

Che fare:

  1. Respirazione e rilassamento: Pratica tecniche di respirazione profonda e rilassamento muscolare per calmare la mente e il corpo. Puoi utilizzare esercizi di respirazione lenta e profonda prima, durante e dopo la gara per ridurre l’ansia.
  2. Crea una routine di pre-gara: Sviluppa una routine pre-gara che ti aiuti a concentrarti e a rilassarti. Questa routine può includere attività come l’ascolto di musica, la visualizzazione o lo stretching.
  3. Parla con uno psicologo dello sport: Un professionista può aiutarti a identificare le tue preoccupazioni specifiche e fornirti strategie personalizzate per gestire lo stress da prestazione.
  4. Accetta e impara dalle sconfitte: Le sconfitte fanno parte dello sport. Accetta il risultato, analizza ciò che è andato storto e impara dagli errori. Utilizza queste esperienze come opportunità di crescita e sviluppo personale.

Ricorda che ogni atleta sperimenta lo stress  in modo diverso, quindi è importante trovare le strategie che funzionano meglio per te.

Il ruolo del movimento nello sviluppo dei giovani

L’essere umano è nato per correre, la corsa è uno sport, tutti dovrebbero essere sportivi. Questo sillogismo consente di illustrare un scoperta che ha portato una nuova luce sulla rilevanza del movimento per l’essere umano e per il suo sviluppo evolutivo.  Sono già trascorsi 20 anni da quando nel 2004 sono stati pubblicati su Nature, una delle riviste scientifiche più prestigiose, i risultati di una ricerca in cui si affermava, sulla base di reperti fossili risalenti a 2 milioni di anni fa, che la corsa di resistenza ha svolto una funzione significativa nello sviluppo della nostra specie. Nessun altro primate ha, infatti, sviluppato questa competenza; una delle prove risiede nei lunghi tendini connessi a brevi fasce muscolari che sono in grado di generare forza in modo economico, permettendo così di salvare il 50% del costo metabolico della corsa. L’ipotesi è che l’Homo abbia sviluppato la corsa resistente per cacciare gli animali e per portarsi via rapidamente le carcasse delle prede. Bramble e Liebermann, autori di questo studio, sostengono che la corsa resistente ha reso possibile una dieta ricca di grassi e proteine responsabile nell’Homo dello sviluppo di un corpo grande, un intestino piccolo, un cervello grande e denti piccoli. Oggi sappiamo che nella nostra società moderna la corsa di resistenza non è più necessaria per assicurare il cibo quotidiano a noi stessi e al nostro clan, ha cambiato funzione: per molti è  un ‘attività ricreativa e di promozione del benessere, mentre  per altri si è trasformata in un evento sportivo agonistico. Non dobbiamo comunque dimenticare che, milioni di anni fa, è stata una delle scintille che sono state alla base dell’evoluzione dell’essere umano che siamo ora.

Il movimento e la corsa non sono solo stati fondamento dello sviluppo della specie umana ma svolgono un ruolo altrettanto rilevante nello sviluppo di ogni singolo uomo durante l’arco della sua vita. Osservando i bambini si può facilmente notare che raramente camminano e molto più spesso corrono. I bambini sono degli atleti instancabili, sino da quando gattonano sono in continuo movimento, vanno e vengono da una stanza all’altra, salgono e scendono da divani e poltrone, amano buttarsi a terra e rialzarsi, gli piace andare sull’altalena perché sentire la velocità è emozionante. Da quando  si nasce sino ai primi tre anni di vita si è di fronte a una continua evoluzione verso l’autonomia fisica e psicologica, che culmina nel sapere correre e muoversi in ambienti in cui non vi sono adulti. Questa conquista del mondo avviene solo grazie alla possibilità dei giovani bambini di potersi muovere sempre più liberamente e nel sapere che quando ritornano dagli adulti, loro, sono lì presenti e continuano a volergli bene anche se si erano allontanati.

Compito dell’adulto è, quindi, di favorire questo sviluppo fornendo un sostegno emotivo al bambino ma anche insegnandogli come fare a imparare e a non farsi male. In questi momenti l’adulto agisce come un insegnante che educa il bambino ad assumersi dei rischi da lui controllabili. Può, ad esempio, insegnare a un bambino ad andare in bicicletta su due ruote già a due anni; questa attività comporta il rischio di cadere e il genitore deve ridurre al minimo questa eventualità. Questa modalità la si può applicare a qualsiasi altro tentativo di autonomia nel movimento; l’adulto che vieta e strilla per timore che il bambino si faccia male può, al contrario, inibirne lo sviluppo motorio e aiutarlo a sviluppare un senso di timore collegato a ogni sua azione autonoma. Inoltre, quei bambini che vengono lasciati soli a guardare la televisione per ore o che a quattro anni vengono ancora portati sul passeggino sono un esempio di come si possa sviluppare uno stile di vita sedentario. Inoltre, all’adulto deve essere altrettanto chiaro che ogni nuovo apprendimento richiede, da parte di entrambi, tempo e dedizione, non è sufficiente una sola spiegazione o poche prove, bisogna insistere e stare insieme al bambino sino a quando non avrà imparato.

Anche l’adulto va, pertanto, educato e non lasciato da solo, poiché spesso ha paura che il bambino cada e si faccia male e non sa che questo suo atteggiamento è in contrasto con la naturale maturazione di una funzione, come il camminare. Infatti, i bambini imparano attraverso decine e decine di tentativi e basta osservare quanta gioia esprimono quando riescono a stare in piedi da soli o muovono i primi passi, per capire che stanno componendo le prime semplici frasi di ciò che può essere definita come alfabetizzazione motoria, di cui i campioni dello sport rappresentano il punto culminante e più raffinato di evoluzione che l’essere umano possa raggiungere.

L’attività motoria non è, però, solo alla base dello sviluppo dei primi anni di vita ma consente al giovane, bambino o adolescente, di manifestare quelle specifiche abilità che lo accompagneranno durante l’arco dell’intera esistenza e che costituiranno le basi motivazionali per continuare a essere sportivi anche da adulti. Le abilità identificate sono le seguenti: trarre piacere dall’azione motoria o sportiva, muoversi pensando, sapersi assumere dei rischi calcolati e saper vivere in gruppo.

Trarre piacere dall’azione motoria o  sportiva è estremamente importante in quanto soddisfa una delle motivazioni determinanti, che consiste nell’imparare a entusiasmarsi e a spendere energia attraverso il movimento. Sviluppare uno stile di vita fisicamente attivo è d’altra parte una componente primaria della vita umana che in questi ultimi decenni, purtroppo, sta venendo meno, spingendo l’uomo verso uno stile di vita sempre più sedentario. Viceversa  l’attività motoria così come lo sport consentono di recuperare uno stile di vita fisicamente attivo e perché ciò avvenga è necessario che l’attività sia svolta nel rispetto della motivazione di ognuno e delle sue competenze e sia inserita nel curriculum scolastico.

Muoversi pensando richiede, invece, d’imparare a servirsi dei propri pensieri durante l’attività che si svolge. Insegnare ai giovani ad essere psicologicamente autonomi è l’obiettivo di ogni educatore. Questo atteggiamento va costruito sino da quando sono bambini, facendogli svolgere delle esercitazioni in cui devono prendere delle decisioni, rinforzando non solo la correttezza delle loro scelte ma soprattutto la capacità di operare delle scelte. Pertanto, non deve essere insegnato ai giovani solo ad agire in funzione dell’istruzione ricevuta, ma bisogna anche creare delle situazioni in cui si confrontino con problemi motori o sportivi che dovranno risolvere.

Al muoversi pensando ben si collega il sapersi assumere dei rischi calcolati. Significa avere fiducia nelle proprie abilità motorie ed essere convinti di sapere affrontare una determinata situazione motoria, perché lo si è già fatto in passato o perché è simile ad altre già conosciute. Nello stesso tempo implica la consapevolezza di non affrontare situazioni che si considera troppo difficili o che possono mettere a rischio la propria incolumità fisica. Il giovane attraverso l’esperienza motoria e sportiva, che dovrebbe essere stata ed essere ricca e differenziata, impara a decidere con rapidità cosa/come fare ma anche a fermarsi.

L’ultima dimensione da sviluppare riguarda la capacità di vivere in gruppo. Il sentirsi parte di un determinato contesto sociale, il gruppo scolastico, quello sportivo o il gruppo degli amici è uno dei bisogni primari di ciascun giovane e il condividere con altri coetanei le proprie esperienze motorie svolge una funzione formativa importante. Solo vivendo in gruppo s’impara a rispettarne le regole, a collaborare anche in un ambiente competitivo, a imparare ad anteporre i propri obiettivi personali a quelli della squadra/gruppo e, in termini più globali, insegna a vivere nel proprio contesto sociale svolgendo un ruolo positivo verso se stessi e gli altri.

Concludendo, alla base dell’affermazione dell’Homo Sapiens vi è stata la possibilità di sviluppare la corsa e quindi di cacciare le prede inseguendole per periodi lunghi e di spostarsi rapidamente in ambienti aridi e ostili. Ciò ha permesso la diffusione e lo sviluppo dell’essere umano così come lo conosciamo oggi. Inoltre ogni individuo ripete in parte la storia del genere umano e attraverso il processo di alfabetizzazione motoria diventa autonomo e  affronta il mondo che lo circonda.  In questo ambito gli adulti, svolgono un ruolo essenziale, promuovono questo processo d’indipendenza motoria e psicologica oppure possono se non inibirlo almeno comprometterlo.

In sintesi, non dimentichiamoci che l’uomo è nato per correre anche se purtroppo viviamo nell’era del passeggino, delle play station e dei social.

Bramble, D., e  Liebermann, (2004). Endurance running and the evolution of Homo. Nature, 432, 345-352.