Bella mattina di calcio integrato a Roma: 8 club e quasi 100 giovani calciatori e calciatrici. @PMinocchi @FISDIR http://accademiacalciointegrato.org
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Bella mattina di calcio integrato a Roma: 8 club e quasi 100 giovani calciatori e calciatrici. @PMinocchi @FISDIR http://accademiacalciointegrato.org
In partita è meglio pensare? Oppure pensare rallenta l’azione? Nella mia esperienza molti atleti non hanno risposte precise a queste domande e non sanno cosa sia meglio fare. Non voglio entrare nel merito di come da più giovani hanno imparato, se hanno seguito essenzialmente quanto gli veniva richiesto dall’allenatore o se hanno anche sviluppato pensieri autonomi. Anche se è ovvio che ognuno si forma mentalmente nei primi anni di gioco.
Tuttavia a me interessa parlare di come ragiona un giovane, ormai sportivamente competente durante una partita che sia di uno sport di squadra o che riguardi sport situazionali come il tennis, il tennis tavolo, la scherma e gli sport di combattimento. Sport di opposizione in cui l’obiettivo è dominare gli avversari. Per raggiungere questo obiettivo, in gara, si pensa?
Se confronto la mentalità degli atleti di vertice mondiale con cui ho lavorato (in 7 olimpiadi ho collaborato con atleti che hanno vinto 12 medaglie olimpiche nel tiro a volo, scherma, windsurf e lotta e ai Giochi del Commonwealth 2 medaglie con l’India) e quella di atleti di livello internazionale, uomini e donne, ma che non sono tra i primi 10 al mondo nella loro specialità ritengo che la differenza principale riguarda essenzialmente come usano in gara la loro mente. Teniamo sempre presente che anche gli atleti di vertice non sono sempre vincenti, spesso perdono, tuttavia più di frequente degli altri si ritrovano a lottare per una medaglia.
Alcuni esempi di pensieri di atleti di livello assoluto:
Giovanni Pellielo - “L’ultima delle serie di selezione è stata la più pesante, ho fatto zero al penultimo bersaglio in prima pedana, ho chiuso con ventitre ed è stata la serie in cui ho sofferto di più perché bisognava fare il risultato in condizioni difficili e con un carico emotivo altissimo in quanto ero comunque l’uomo che aveva vinto due medaglie alle Olimpiadi. Diciamo che in quell’occasione tutti i fantasmi sono arrivati alla mente: è stato difficile chiudere quel risultato ma l’ho chiuso. Poi ho pensato alla finale facendo riferimento al bagaglio di quattro anni d’esperienza e ho rivissuto tutto quello che avevo fatto nell’ultimo anno a livello di preparazione soprattutto psicologica così da affrontare la finale come io volevo e desideravo.”
Francesco D’Aniello - “Lo stress lo accumuli se pensi al risultato. Nella finale olimpica sapevo che tutti mi guardavano ma convogliavo la mente su quello che serviva per rompere i piattelli. La mia concentrazione era convogliata nel pensare solo a quel che dovevo fare per rompere i piattelli. Sapevo che il cinese mi aveva raggiunto, uno zero non glielo avevano dato e questo fattore mi poteva distruggere. Quindi mi sono detto: “Se faccio uno zero questo mi mangia”, quando ho realizzato che non potevo più fare zero mi sono concentrato solo sul mio gesto tecnico”.
Manavjit Singh Sandhu – “Competere testa a testa con due campioni olimpici in un solo giorno e avere la meglio su entrambi è stato davvero speciale. Tuttavia, ritengo che nel tiro si cerchi semplicemente di centrare il proprio obiettivo e che il punteggio parli da sé. Psicologicamente, può essere intimidatorio sparare contro le leggende, ma non ho lasciato che questo mi disturbasse”.
Emerge in modo evidente, che nei momenti di pressione agonistica, dopo un errore, quando le emozioni potrebbero determinare un blocco mentale, questi atleti s’incoraggiano e si concentrano su quello che devono fare. Se pensano al risultato è solo per pochi momenti, perchè la mente va subito alla prestazione, a cosa fare. Come Roberta Vinci quando nella partita vinta contro Serena Williams si ripeteva: “Corri e buttala di là”. Questo è l’autocontrollo dei campioni che dobbiamo allenare nei giovani atleti.
La salute mentale e il benessere di atleti e allenatori è diventato in questi anni un tema rilevante a cui molte organizzazioni sportive nel mondo stanno dando risposte significative. Il testo che segue riguarda un’indagine condotta dalla National Collegiate Association Athletic (NCCA) che organizza gli sport praticati in Canada, USA e Portorico nei college e nelle università.
In un sondaggio condotto dalla NCAA, oltre l’80% degli allenatori capo, assistenti e associati di tutte e tre le divisioni ha dichiarato di dedicare più tempo a discutere di salute mentale con gli studenti-atleti rispetto a prima della pandemia COVID-19. In percentuali elevate, gli allenatori hanno anche riferito di aver affrontato personalmente difficoltà di salute mentale.
Più di 6.000 allenatori di tutti gli sport sponsorizzati dalla NCAA hanno completato il sondaggio, condotto dalla ricerca NCAA per capire meglio come gli allenatori sostengono gli studenti-atleti e la loro stessa salute mentale. La ricerca NCAA ha condotto anche tre indagini sul benessere mentale degli studenti-atleti dall’inizio della pandemia.
Circa un terzo degli allenatori ha dichiarato di provare “costantemente” o “quasi ogni giorno” stanchezza mentale, sensazione di essere sopraffatti da tutto ciò che dovevano fare e difficoltà a dormire. Nelle loro risposte, gli allenatori hanno citato i fattori legati alla pandemia, le sfide legate alla gestione del gruppo, tra cui l’evoluzione del panorama dei trasferimenti e l’aumento dell’eleggibilità, le preoccupazioni per il loro lavoro e per i bilanci del dipartimento di atletica e la gestione di situazioni personali come lo stress finanziario e la cura dei figli.
Gli allenatori di 40 anni o più giovani hanno riportato tassi più elevati di problemi di salute mentale rispetto ai loro coetanei più anziani. Ad esempio, il 46% degli allenatori considerati millennial (nati tra il 1981 e il 1996) e il 44% considerato parte della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) hanno riferito di essere quasi costantemente esausti dal punto di vista mentale, rispetto al 34% della Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980) e al 19% dei baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964). Inoltre, gli allenatori che si sono identificati come neri o persone di colore, donne o membri della comunità LGBTQ+ hanno riportato tassi più elevati di problemi di salute mentale, simili ai dati trovati nelle indagini sugli studenti-atleti.
Alla domanda sulla gestione della rosa, quasi un terzo degli allenatori capo di tutte e tre le divisioni ha dichiarato di essere “molto preoccupato” dalla possibilità che i giocatori si trasferiscano. Contemporaneamente, il 25% degli allenatori della I Divisione, il 18% della II Divisione e il 12% della III Divisione hanno riferito di essere molto stressati dalla necessità di reclutare giocatori trasferiti per quattro anni nel loro programma. Oltre il 30% degli allenatori di I Divisione ha riferito di essere molto preoccupato per la gestione dei roster a causa dell’eleggibilità aggiuntiva concessa dalla COVID-19.
Il sondaggio prevedeva anche domande aperte per consentire agli allenatori di fornire un feedback specifico sul tipo di supporto che desideravano in futuro. Le risposte hanno incluso più personale, una migliore retribuzione e l’accesso alle risorse per la salute mentale.
L’NCAA Sport Science Institute fornisce risorse per la salute e la sicurezza agli atleti universitari, agli allenatori, agli amministratori di atletica e ai partner del campus. Le risorse educative sulla salute mentale includono una revisione delle migliori pratiche, dati e ricerche, nonché vertici e task force. Il Gruppo consultivo sulla salute mentale, creato per consigliare la NCAA sugli sviluppi emergenti nella scienza e nella politica della salute mentale, ha iniziato a riunirsi nell’autunno del 2022. Il gruppo ha il compito di rivedere e raccomandare gli aggiornamenti delle Best Practices sulla salute mentale dell’NCAA e di altri materiali rilevanti per la salute mentale.
I risultati dell’indagine sono stati presentati agli organi di governo delle tre divisioni in occasione della Convention NCAA del 2023 a San Antonio. È stata inoltre organizzata una sessione di formazione specifica per la Divisione II, “Il benessere mentale dal punto di vista dell’allenatore”. I dati aggregati relativi agli sport saranno condivisi con le varie associazioni di allenatori per un potenziale sviluppo di formazione e risorse nel corso di questo mese.
Tutti gli allenatori sono fortemente consapevoli della stretta interazione tra motivazione e apprendimento. La motivazione è però un concetto teorico che non può essere direttamente osservato e che può` essere solo ipotizzato sulla base del comportamento degli atleti. In ogni caso, la conoscenza del processo motivazionale è un fattore cruciale per ogni allenatore, che voglia insegnare in modo efficace.
Le motivazioni più importanti riconosciute dai giovani atleti sono relative a:
Viceversa, le cause principali della diminuzione della motivazione o dell’abbandono della pratica sportiva sono da ascriversi a: mancanza di divertimento, mancanza di successo, stress da competizione, assenza di appoggio da parte dei genitori, incomprensioni con l’allenatore, noia e incidenti sportivi.
In sintesi sono i tre principali bisogni che l’atleta vuole soddisfare per mezzo dell’attività sportiva:
Con riferimento al bisogno di stimolazione si può affermare che:
Per quanto riguarda il bisogno di competenza, è compito dell’allenatore stimolare sia il bambino che il giocatore evoluto non solo ad imparare specifiche tecniche sportive ma, anche, a sviluppare il desiderio di progredire e la curiosità verso se stessi e l’ambiente in cui agiscono.
A tale proposito l’allenatore dovrà rammentare che:
Quanto al Bisogno di affiliazione esso si fonda sull’esigenza di appartenere ad un gruppo e di esserne accettati, stabilendo così con gli altri membri della squadra rapporti significativi. Soddisfacendo il bisogno di affiliazione e di stima, l’atleta sperimenta maggiore fiducia verso se stesso e maggior controllo nei riguardi delle situazioni che si presentano. In effetti ogni atleta e allenatore sa per esperienza che quando vi sono fra loro problemi di comunicazione è difficile seguire il programma di allenamento che è stato prefissato.
I punti chiave per soddisfare il bisogno di affiliazione e di stima degli atleti possono essere così riassunti:
In altri termini, l’allenatore per sviluppare nei suoi atleti i il senso di appartenenza a quel particolare gruppo, deve mostrarsi credibile e costante nei suoi atteggiamenti e comportamenti.
Per essere credibili bisogna essere sinceri con tutti i propri atleti: giovani e adulti, esperti e meno esperti, titolari e riserve. A tale proposito è necessario:
Sifan Hassan, campionessa olimpica a Tokyo sui 5mila e 10mila metri, all’esordio sulla distanza ha vinto la maratona di Londra allo sprint in 2h18’33″. L’atleta di religione mussulmana si è allenata nel periodo del Ramadan e, quindi, ha aggiunto un ulteriore difficoltà alla già faticosa preparazione di una maratona in cui è giunta a correre settimanalmente 200km.
Ha fatto questa scelta per sfidarsi ulteriormente, non ci si sottopone a questo tipo di allenamenti per soldi o fama. Il suo allenatore avrebbe voluto che arrivasse alla maratona magari fra due anni ma lei ha preso questa decisione nonostante che sino al momento della partenza abbia messo in dubbio di portarla a termine.
Aveva dichiarato: “Il mio obiettivo è quello di incontrare la maratona e conoscerci meglio”. Situazione simile a quella di Mo Farah nel 2014 nella stessa maratona. Aveva già vinto tre titoli mondiali e due ori olimpici quando ha debuttato con un 8° posto a Londra, poi è tornato alla pista e ha accumulato altri cinque titoli mondiali prima di passare alla maratona a tempo pieno nel 2018.
Il suo allenatore, Tim Rowberry, ha dichiarato. “Il cambiamento più importante nell’allenamento è stato che Sifan ha imparato a correre lentamente. È abituata a fare tutto ad alta intensità. Quando ha iniziato ad allenarsi con quei ragazzi, gli olimpionici Bashir Abdiand Abdi Nageeye, loro le dicevano sempre: “Rallenta, rallenta! Devi fare molti chilometri, se fai troppo ti ammazzi”.
Anche in Hassan, come per molte altre campionesse, emergono determinazione, coraggio e umiltà.
Con questo incipit inizia su Netflix la storia di Manuel Fangio, considerato il punto di riferimento primario dai piloti di Formula 1. Queste poche parole descrivono in modo essenziale lo scopo principale dello sport competitivo: un lungo percorso per individuare il genio.
Sai quante persone guidano auto al mondo? Milioni.
Quante licenze di guida per gareggiare ci sono al mondo? Migliaia.
Ma sono solo poche centinaia quelli che gareggiano.
E tra quei duecento 0 trecento ce ne sono solo un centinaio che sono particolarmente bravi.
E poi arrivi ai Gran Premi. Ci sono solo 21 piloti nel Gran premio.
Di questi 21, ce ne sono solo sei che sono davvero bravi.
E tra quei sei, solo tre sono eccezionali.
E, di solito, solo un genio.
Un innovativo programma “Gen32 Coach Program” è stato lanciato in Australia nel luglio 2022 con 55 allenatori uomini e donne che partecipano a un programma che ha l’obiettivo di migliorare la diversità all’interno fra quanti allenano atleti e atlete nello sport di livello assoluto.
Questo programma vuole soddisfare le esigenze degli allenatori moderni, con supporto per l’assistenza all’infanzia e accordi di lavoro flessibili per gli allenatori con figli, e promuove l’apprendistato retribuito come allenatori. L’investimento supplementare estenderà l’apprendistato retribuito da due a tre anni per 29 allenatori donna, per garantire che siano pronte a fare il passo successivo nella loro carriera.
L’obiettivo è di raddoppiare il numero di allenatori entro i Giochi Olimpici e Paralimpici di Brisbane 2032. E ”Il governo australiano è impegnato a risolvere il problema della sotto rappresentazione delle donne nello sport, soprattutto nei ruoli di allenatore ad alte prestazioni”, ha dichiarato il ministro Wells.
Il semplice fatto è che non ci sono abbastanza allenatori donna nelle squadre nazionali e questo deve cambiare”. Le donne, infatti, hanno rappresentato solo il 18% degli allenatori accreditati per la squadra australiana ai Giochi Olimpici di Tokyo e solo il 23% alle Paralimpiadi. Il Gen32 Coach Program è un modo tangibile per migliorare questo rapporto in vista dei Giochi di Brisbane.
È un programma moderno che non costringe le donne a scegliere tra i figli e la carriera di allenatore e mi congratulo con l’AIS e l’Australian Sports Commission per l’impegno profuso nel realizzarlo.
Il Gen32 Coach Program viene realizzato in collaborazione tra l’AIS, le organizzazioni sportive nazionali e i partner del National Institute Network con un investimento totale di oltre 11 milioni di dollari. L’AIS investirà oltre 7 milioni di dollari, di cui 3,9 milioni annunciati come parte del Women’s Leadership Package nel bilancio federale del 2022-23.
Il miglioramento è un processo continuo, che si sviluppa su base quotidiana e che richiede un impegno costante da parte dell’atleta e di coloro che seguono questa sua attività. L’obiettivo è l’incremento delle prestazioni agonistiche e delle competenze fisiche, psicologiche e tecniche. Il raggiungimento e il conseguente mantenimento dell’efficacia competitiva richiedono un continuo orientamento al miglioramento in tutte le aree che partecipano a determinare la prestazione finale.
Per un atleta è molto importante la qualità dell’ambiente sportivo in cui è inserito e gli atteggiamenti caratteristici di un ambiente positivo sono i seguenti:
La pressione agonistica che ogni atleta avverte, a prescindere dal suo livello di competenza, è determinata da diversi fattori. Di seguito quelli principali:
Ieri ho parlato di questo tema ha un Corso per psicologi che lavoreranno nel tennis.