Si lavora nel calcio per migliorare la maturità psicologica dei calciatori?

Pioli, allenatore del Milan, è ritornato sullo stesso tema toccato da Maldini giorni fa e che riguarda la necessità di avere del tempo per permettere ai giocatori di maturare per arrivare a essere in grado di gestire lo stress agonistico nei momenti più importanti: “La società non ha sbagliato gli acquisti, sono tutti giocatori talentuosi. Semplicemente è meglio fare giocare i più solidi nei momenti difficili. Ognuno ha la sua crescita e vi assicuro che i nostri ragazzi stanno crescendo”.

Anch’io lavorando con giovani atleti/e mi trovo a pensare le stesse cose e a lavorare con loro su come sviluppare queste capacità. Ciò di cui parlano Maldini e Pioli è la difficoltà più importante, a mio avviso, che un calciatore deve superare indipendentemente dal suo talento e dalla quantità di allenamento. Ci si può allenare anche 20 ore a settimana ma se non si mette a focus questo obiettivo si manterrà intatto lo stesso limite.

Credo che la maggior parte dei calciatori s’impegni molto, non credo sia questo il loro problema. E’ un modo per rilevare questa difficoltà consiste nell’osservare la sua reazione a un fallo. Subisce un fallo ma è subito pronto a riprendere l’azione oppure subisce un fallo, protesta e riprende a giocare?. Il primo atteggiamento è una dimostrazione di maturità psicologica mentre il secondo non lo è. Una partita di calcio, è piena di episodi di questo tipo che permettono di capire il grado di maturità mentale di un giovane.

A questo punto la mia domanda è: con che frequenza si allena la consapevolezza del calciatore rispetto a questi episodi che ne evidenziano i limiti e come insegnano gli allenatori a sviluppare un atteggiamento diverso in campo. La questione è piuttosto facile da definire. E’ l’atteggiamento del calciatore rispetto alla partita che determina come svilupperà in campo i compiti che gli sono stati forniti. Se l’atteggiamento è sbagliato perchè è poco motivato, è frustrato dall’aggressività degli avversari, vuole essere protagonista indiscusso senza collaborare con i compagni allora è probabile che il suo contributo sarà insufficiente e tenderà a escluderlo dalla partita.

Non mi stupisco della presenza di questi limiti, perchè sono delle strettoie da cui gli atleti devono passare per diventare atleti di livello assoluto o ottimi calciatori. Mi chiedo come mai nel calcio, lavorando con giovani di questo tipo ma che guadagnano milioni, non ci si renda conto dell’importanza della perdita (economica e prestativa) e quindi dell’urgenza di limitare al minimo il tempo in cui un calciatore sta in questa situazione veramente dannosa per la squadra e per lui stesso. Pioli dice “vi assicuro che stanno crescendo”. Nei team in cui lavoro c’è un’attenzione notevole su questo tema e continuamente ci chiediamo quale sia l’allenamento migliore per loro, come intervenire per migliorare la consapevolezza piuttosto che il senso di responsabilità, come migliorare la loro capacità di gestire le frustrazioni. In sostanza, si tratta di un lavoro quotidiano svolto a ridurre queste problematiche. Per dirla in poche parole, insegnamo agli atleti a trovarsi comodi in situazioni scomode. Siamo certi che nei club vi sia lo stesso senso di urgenza nel volere eliminare questo limite?

 

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