Archivio mensile per aprile, 2022

Il killer instinct nel tennis

Quante volte abbiamo visto buttare all’aria dei match point e poi perdere la partita? Troppe!

Quante volte si è visto tennisti giocare alla pari un set e poi perdere clamorosamente quello successivo magari a zero? Molte!

Quante dopo qualche servizio sbagliato si è visto tennisti perdere la testa e continuare con questa sequenza negativa fino alla fine del set? Molte!

Sono tutte situazioni in cui ha prevalso il killer instinct di un giocatore sull’altro, il risultato è che uno imponeva il suo gioco mentre l’altro con il suo atteggiamento negativo lo subiva.

Cos’è il killer instinct:

  • È la volontà di fare ciò che è ragionevolmente necessario per vincere o per raggiungere il proprio obiettivo.
  • È la consapevolezza di quando bisogna spingere per chiudere un game, un set o la partita e lo si fa.
  • È la consapevolezza che quando si conduce non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di continuare a farlo.
  • È la consapevolezza che quando l’avversario è sotto, bisogna continuare a tenerlo sotto.
  • È la volontà di volere riemergere con successo da una fase di gioco negativa.

 Come svilupparlo:

  • Mai pensare che sarà facile vincere. Nessuno ci può garantire il risultato finale e tantomeno noi stessi.
  • Mai rilassarsi quando si sta conducendo una partita, se la tensione cala datti degli obiettivi gioco per gioco, per mantenere elevata la concentrazione.
  • Quando si sta vincendo si può ridurre la tensione agonistica e questo è pericoloso. Usa immagini mentali che mantengano costante il livello di attivazione.
  • L’eccesso di fiducia può diventare una trappola che avvolge e favorisce l’emergere di distrazioni. Bisogna agire mentalmente per restare concentrati colpo su colpo, perché i conti si fanno solo al termine dell’ultimo colpo.
  • Mai pensare al risultato finale ma come detto stai centrato solo sul presente e sul giocare al meglio delle tue abilità.
  • Mantenere sempre elevata la pressione sull’avversario è una delle chiavi del successo. Lo scopo è di trasmettere al tuo avversario l’idea che qualsiasi cosa possa fare, lui resterà sempre sotto.
  • Mai affrettare l’azione nel cambio palla, devi avere sempre lo stesso tempo di preparazione sia che tu serva o che risponda.

Come cambiare i pensieri negativi in positivi

Ogni volta che appare nella tua mente un pensiero negativo, dì a te stesso:

STOP

e trasformalo in un pensiero positivo. Allenati molto a fare in questo modo, anche al di fuori del tennis, sino a quando un po’ per volta non avrai più bisogno di dirti STOP! Perché subito avrai una reazione positiva. Per fare questo esercizio, parti sempre da un bel respiro profondo e immaginati un pensiero positivo. Ricorda che i pensieri devono: essere brevi, essere espressi al presente, contenere la parola io, esprimere ciò che vuoi fare, trasmetterti convinzione su ciò che stai per fare.

Qui sotto trovi una tabella con pensieri negativi e la loro trasformazione in frasi positive.

Pensieri negativi Pensieri positivi
Ho appena sbagliato una risposta facile, che stupido!

Ho sbagliato di nuovo.

Cosa penserà di me il maestro dopo questo ennesimo errore.

Sono troppo teso, sbaglierò sicuramente.

Non sopporto il suo servizio.

Ho il cuore in gola e non so che fare.

Questo avversario è troppo forte.

Non devo perdere questo set.

Vado avanti, concentrato sul prossimo scambio!

Respiro profondo e guardo l’avversario.

Mi concentro sul dare il meglio di me.

 

Respiro e visualizzo il servizio.

Sono reattivo sulle gambe.

Il mio cuore è pieno di energia, sento forza.

Guardo la palla, colpisco la palla.

M’immagino di servire come so fare.

Come si prepara una partita di calcio decisiva?

Non è difficile dare una spiegazione alla sconfitta subita dall’Inter contro il Bologna. L’ansia da prestazione generata dal dovere vincere a ogni costo ha scatenato nervosismo che è aumentato con il passare del tempo, determinando una prestazione negativa e un risultato inaspettato. Poteva accadere lo stesso al Liverpool contro il Villareal, ma la squadra si è comportata esattamente all’opposto dell’Inter. Ha mantenuto costantemente sotto pressione la squadra spagnola, non ha avuto fretta nel volere concludere le azioni e in questo modo sono arrivati due goal e soprattutto non ne ha subiti.

Sarebbe, invece, interessante conoscere in che modo sono state preparate dal punto di vista psicologico queste due partite. Aldilà delle differenze tra Inter e Liverpool, cosa hanno fatto e detto i due allenatori, Inzaghi e Klopp, per garantirsi che le loro squadre avrebbero giocato così come era stato deciso? In che modo hanno stimolato la combattività dei loro giocatori unitamente a un pensiero di gioco da condurre da inizio a fine? La combattività non deve di certo essere interpretata in termini di agire senza pensare, altrimenti si trasforma in un gioco impulsivo privo di logica.

Non so cosa possa avere detto e fatto Inzaghi ma in ogni caso non ha funzionato.

Di Klopp conosciamo invece alcuni suoi principi e credo che anche con il Villareal si sia ispirato nel preparare la partita a queste tre idee:

Costruire esperienze memorabili – “Giocare partite indimenticabili, essere curiosi e impazienti di giocare la prossima partita per vedere cosa succederà, e questo è ciò che dovrebbe essere il calcio. Se fai tuo questo atteggiamento, avrai successo al 100%”.

Essere disciplinati – “Non abbandonare mai i tuoi obiettivi, stai sempre focalizzato. Certamente insegnare questo ai giovani calciatori è difficile. E’ molto di più di crederci, perché si può credere in qualche cosa ma perdere anche facilmente questa convinzione, per questo è più importante sentirsi forti nei momenti difficili”.

Essere appassionati – “Bisogna servirsi della tattica con il cuore. La partita va vissuta intensamente altrimenti è noia”.

Ritengo che per vincere queste partite decisive queste tre idee siano determinanti e in sintesi si riassumono con queste parole: obiettivi chiari, tattica, cuore, curiosità.

Cambiare atteggiamento durante una partita di tennis

La nostra vita quotidiana è piena di episodi in cui le nostre prestazioni sono influenzate dagli stati d’animo e dalle emozioni che proviamo in quei momenti. Non sempre l’umore con cui si affrontano prove impegnative è di aiuto nel favorire prestazioni soddisfacenti, talvolta ci si può sentire troppo arrabbiati per stare ad ascoltare qualcuno le cui idee potrebbero essere utili per noi, oppure si è pessimisti sulla possibilità di essere in grado di fare bene o ancora si ritiene di non essere capaci per cui si affronta un determinato compito in modo poco convinto. Quante volte si pensa: “Se non mi fossi sentito in quel modo, avrei fatto sicuramente meglio.” Sono pensieri comuni che mettono in evidenza il ruolo centrale delle emozioni. 

Lo stesso avviene sul campo di gioco e … racchette sbattute per terra, darsi addosso, pensare che non si giocherà mai più una partita, arrabbiature contro l’avversario che perde tempo o contro il destino che fa andare fuori solo le nostre risposte sono modi di reagire in cui tutti siamo inciampati.

Un modo utile per migliorare la propria consapevolezza in relazione all’influenza delle emozioni nel gioco del tennis consiste nel ripensare:

  1. alle partite migliori che si è giocato, focalizzandosi sulle azioni effettuate per renderle possibili e sulle emozioni provate. In tal modo si diventa  più consapevoli del proprio modo di pensare e di sentire e di come questo influenza il nostro modo di giocare.
  2. ai primi game delle partite, identificando quali sono stati gli stati d’animo e i pensieri prevalenti. Sono contento oppure vorrei essere diverso? Quali sono le emozioni e i pensieri che potrebbero migliorare l’efficacia del mio gioco all’inizio della partita?

Sono, invece, da evitare le spiegazioni pessimiste che portano a non cambiare e a accettare il proprio gioco in modo fatalistico, dando per scontato un pensiero del tipo: “Io ho sempre fatto questi errori e non sono mai riuscito a cambiare” oppure “Sono sempre stato un tipo nervoso, che si arrabbia facilmente appena comincia a sbagliare e non posso mica cambiare adesso dopo una vita passata a giocare così.”

Potrebbe anche essere vero che si è provato a cambiare senza avere ottenuto un risultato soddisfacente, convincendosi di conseguenza che non sia possibile migliorarsi. Nella quasi totalità dei casi queste prove di cambiamento sono state però fatte in modo sbagliato, senza seguire un sistema di miglioramento. Spesso le persone provano a cambiare un comportamento (ad esempio: arrabbiarsi dopo un errore) dicendo a se stesse di non farlo (“Non ti devi arrabbiare”). Di solito l’effetto di questa azione è di continuare a sentirsi arrabbiati. Tutti hanno sentito dire dal maestro di tennis che per calmarsi e recuperare si deve  fare un bel respiro profondo; si segue questo consiglio ma spesso non funziona e, quindi, ci si convince che respirare profondamente non serve a nulla.

Dove hanno sbagliato questi tennisti, che pure hanno provato a reagire alle difficoltà?

Il primo caso evidenzia che non si cambia semplicemente dicendosi di “non fare una cosa”, altrimenti i nostri cambiamenti si attuerebbero a colpi di frasi: sei arrabbiato, basta dire “non essere arrabbiato”, sei agitato dì che non vuoi essere agitato, sei distratto dì che non vuoi esserlo e così via. Dirsi delle frasi non serve a nulla se non si incide nello stesso tempo anche sulle emozioni.

Il secondo caso è molto tipico nello sport, perché anche molti atleti non sanno eseguire correttamente un respiro profondo, e quando provano a farlo inspirano poca aria, magari la prendono a scatti e la mandano fuori troppo velocemente, in questo modo il loro respiro somiglia di più a un sospiro o a uno sbuffo. Per questa ragione non risulta efficace. Al contrario, tutti possono imparare a fare un respiro profondo, però prima bisogna esercitarsi a farlo in modo corretto, la sua efficacia va sperimentata in allenamento e solo in seguito andrà eseguito in partita; a quel punto non c’è nessun dubbio che sarà utile a ridurre la tensione emotiva.

 

Respira

(Photo by Simon Berger)

Qual è la tua motivazione dominante a migliorare?

Programmi di sviluppo per giovani aiutano i bambini a uscire dalla povertà quando sono adulti

Un programma di sviluppo giovanile gratuito che serve bambini e adolescenti neri che vivono in una comunità segregata a basso reddito ha dimostrato risultati educativi e finanziari positivi a lungo termine nei suoi ex allievi, secondo uno studio dell’Ann & Robert H. Lurie Children’s Hospital di Chicago pubblicato sulla rivista BMC Public Health.

Un follow-up di 33 anni ha rivelato che gli alumni si sono laureati al doppio del tasso dei loro coetanei che non hanno partecipato al programma di sviluppo giovanile. Per ogni anno di iscrizione al programma, gli alumni avevano il 10% di probabilità in più di completare il college. Gli alumni erano anche più propensi a risparmiare denaro alla fine del mese e a segnalare un migliore tenore di vita rispetto ai loro genitori.

“Il nostro studio dimostra che un intervento relativamente semplice può interrompere il ciclo della povertà generazionale, soprattutto quando i giovani trascorrono anni nel programma”, ha detto l’autore principale Karen Sheehan.

Il Dr. Sheehan ha co-fondato il Cabrini Green Youth Program con Joseph DiCara del Lurie Children’s e l’autore principale dello studio, quando entrambi erano studenti di medicina. Da allora, quello che ora si chiama Chicago Youth Programs, è cresciuto in un’organizzazione che serve giovani e famiglie in almeno 30 delle 50 circoscrizioni della città.

I programmi offrono attività ricreative in uno spazio sicuro e accogliente, così come la lettura, il tutoraggio, la preparazione al college, la consulenza sulla carriera e una clinica medica. I partecipanti di solito passano da 8 a 10 anni nel programma.

“Formare relazioni a lungo termine con adulti premurosi al di fuori della famiglia crea una forte forza stabilizzante per i bambini nel nostro programma, e l’impatto di queste connessioni sociali è notevole”, ha detto Sheehan.  ”I nostri risultati dimostrano che questo approccio è efficace, nonostante tutte le sfide strutturali che i giovani devono affrontare crescendo nella povertà e afflitti dalla violenza del quartiere. Possiamo fare un’enorme differenza nella vita dei bambini semplicemente stando lì per un lungo periodo”.

Come parli con gli atleti?


10 azioni da non fare e fare per un tennista

Cara/o tennista,

  1.  Non insultarti quando sbagli e non fare il tifo contro te stesso. Sostieni  in maniera sempre positiva il tuo impegno, anche quando la palla fa fuori o stai sotto.
  2. Non urlarti contro, giocherai peggio. Gioca con gioia, liberamente e fai le scelte che vuoi fare.
  3. Non criticare come giocano gli altri solo per fare intendere che capisci di tennis. Sostieni gli amici meno bravi del Circolo, fa sentire loro il tuo sostegno.
  4. Ricordati che la tensione eccessiva è dannosa, anche se stessi giocando la finale di Wimbledon. Divertiti, usa l’umorismo per ridurre le tue paure.
  5. Finita la partita non dirti che sei profondamente deluso e che smetterai di giocare. Accetta le sconfitte, anche quelle che bruciano di più.
  6. Non dare sempre la colpa al campo, al tempo, alla sfortuna. Ricordati che è la tua mente a comandare la tecnica e la tattica e non viceversa.
  7. Non mancare di rispetto nei confronti degli avversari. Dimostra a loro il rispetto in ogni tuo comportamento sul campo.
  8. Non sono mai gli altri a farti sbagliare. Sei tu che non hai saputo rispondere a un colpo o non ti sei adattato a quel tipo di gioco.
  9. Non fare sempre lo stesso errore, non insistere su un colpo che non ti entra. Quando sbagli fai qualcosa di diverso e cambia modo di giocare.
  10. Non giocare per chiudere il prima possibile il punto o il game. Prenditi il tempo necessario per costruire il  punto.

Napoli: ansia da prestazione?

Si parla, in questi giorni, dell’ansia da prestazione che avrebbe ostacolato il Napoli almeno nelle ultime due partite, importanti per restare tra le favorite al titolo finale. Attribuire i risultati negativi di una squadra a questa dimensione psicologica ha avuto molto successo tra i media. Vuol dire sentirsi insicuri nei momenti decisivi del campionato, con l’effetto di fornire prestazioni insoddisfacenti. E’ un ragionamento che etichetta una squadra ed esprime una condizione psicologica collettiva invalidante. Fossi un allenatore rifiuterei questa spiegazione chiedendomi: “In che modo i calciatori devono interagire in campo allo scopo di mostrarsi uniti e fiduciosi delle proprie competenze di squadra?”. Mi chiederei anche “Come posso stimolare prestazioni che sono superiori a quelle che ognuno potrebbe fornire singolarmente?”. Napoleone era solito affermare di vincere le sue battaglie anche con i sogni dei suoi soldati, questa frase è una metafora efficace di cosa si debba intendere per efficacia di squadra. In questo modo non si parla più di ansia ma di efficacia collettiva e di come allenarla. Il tema consiste nel comprendere quale sia l’approccio comportamentale necessario per raggiungere la vittoria, fornendo a ogni calciatore compiti precisi e diversi per ognuno, così che quando qualcuno commette un errore gli altri sanno cosa fare. Ogni giocatore deve conoscere ed essere artefice di un pezzo della storia che la squadra sta costruendo con il trascorrere dei minuti e questo orientamento al compito deve essere allenato in modo specifico durante le settimane. Non è comunque una questione solo tecnico-tattica, richiede che ogni calciatore si percepisca parte attiva di un programma che va oltre la sua persona e che riguarda il successo della squadra. Sviluppando questa mentalità collettiva si potrà uscire efficacemente dalle situazioni di maggiore pressione agonistica, senza lasciarsi cadere nel vittimismo insito nella spiegazione che attribuisce gli insuccessi all’ansia, manifestazione di un limite caratteriale che richiede tempi lunghi  per cambiare mentre il campionato muovendosi su appuntamenti settimanali necessita di una grande disponibilità al cambiamento. Quindi la domanda non riguarda tanto se i calciatori sono ansiosi ma quanto sono disponibili a cambiare con rapidità comportamenti non efficaci.