Archivio mensile per aprile, 2022

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Recensione: Il controllo del pallone

Il controllo del pallone

I cattolici, i comunisti e il calcio in Italia (1943-anni settanta)

Fabien Archambault

Le Monnier, 2022, p. 420, euro 29

Questo libro approfondisce il ruolo del calcio nella lotta politica italiana dal dopoguerra agli anni settanta, e che evidenzia anche il ruolo dell’Uisp in quella fase storica. e una delle ipotesi che propone è che il legame tra sfera calcistica e sfera politica sia all’origine dell’ascesa del calcio nella cultura italiana di massa, al posto del ciclismo. La storia di questo sport chiarisce in effetti le strategie di inquadramento politico, di radicamento sociale e di fabbricazione del consenso realizzate dalla Chiesa, dalla Democrazia cristiana e dal Partito comunista, dalla caduta del fascismo fino alla fine degli anni Settanta. Il calcio ha infatti rappresentato una delle dimensioni significative dello scontro tra cattolici da un lato e sinistra comunista e socialista dall’altro. Entrambi gli schieramenti politici utilizzarono le forme di socialità associativa legate al movimento calcistico per promuovere i propri progetti.

Sergio Giuntini, storico dello sport, ha apprezzato il libro, in particolare per il contributo alla riflessione critica sull’evoluzione del fenomeno sportivo in Italia. Vi proponiamo la sua recensione del testo.

“Sulla storia dell’Uisp, e in specie sulle sue fasi genetiche e sugli anni a cavallo dei ’60 e ‘70 della cosiddetta svolta “alternativistica”, esiste ormai una discreta letteratura. Ad arricchirla si segnala il recente, eccellente lavoro “Il controllo del pallone. I cattolici, i comunisti e il calcio in Italia (1943-anni Settanta”) del francese Fabien Archambault, professore associato di Storia contemporanea all’università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. La tesi di fondo avanzata da Archambault nel suo libro è la seguente: lo sviluppo del calcio italiano, nel secondo Dopoguerra, quando divenne progressivamente lo sport più  popolare del Paese ai danni del ciclismo, dipese da un suo legame piuttosto stretto con la sfera politica. Ovvero di esso di servirono, da un lato la Chiesa, la Democrazia Cristiana, il Centro Sportivo Italiano di Luigi Gedda, dall’altro il Partito Comunista Italiano, il Fronte della Gioventù di Enrico Berlinguer, l’Uisp, per le proprie strategie di insediamento sociale e inquadramento politico delle masse miranti alla conquista del consenso.

In una tale ottica, lo scontro intorno al football fra questi due fronti, e non a caso il saggio si apre con una gustosa baruffa calcistica fra Don Camillo e Peppone tratta dalle opere di Giovanni Guareschi, fu durissimo, senza esclusione di colpi, vedendo inizialmente prevalere quello catto-moderato arroccato attorno alla capillare rete degli oratori e delle parrocchie. Tuttavia l’Uisp cercò di reagire a questa egemonia del “calcio oratoriano”, e il volume di Archambault ne offre degli esempi emblematici soprattutto nel secondo capitolo: “Il calcio popolare” (pp. 71-118). Vale a dire che l’Unione si sforzò, in quella difficile stagione post bellica segnata dalla sconfitta epocale del 18 aprile 1948, di delineare una propria, specifica ideologia calcistica e, all’interno d’una siffatta elaborazione, di instaurare un problematico rapporto tra calcio dilettantistico e professionistico. Nondimeno, il testo di Archambault offre un illuminante spaccato dei tanti sabotaggi, politici e amministrativi, subiti dall’Uisp in quella temperie: dai rapporti polizieschi alle prefetture, che la dipingevano come un’organizzazione “segreta” con propositi insurrezionali, alla mancata e strumentale concessione degli impianti, viceversa concessi con larghezza alle parrocchie e alle sezioni del CSI. Una delle ragioni per cui, allora, l’Uisp si vide gioco-forza costretta a puntare maggiormente sul ciclismo, disciplina sportiva che non abbisogna di terreni da gioco, rispetto alla pratica del calcio.

Questo clima di scontro frontale si attenuerà con gli anni ‘60, seppure anch’essi politicamente caldissimi, giungendo a una maggiore legittimazione reciproca da parte dei due schieramenti. E a ragione di ciò occorre chiamare in causa la maggior capacità dell’Uisp, rispetto allo sport cattolico, di cogliere le profonde trasformazioni che stavano investendo lo sport e la società italiana. In conclusione un volume di assoluto spessore, sostenuto da un imponente mole di documenti archivistici, che porta un fondamentale contributo alla riflessione critica sull’evoluzione del fenomeno sportivo in Italia e sulla storia interna dell’Uisp in particolare”.

Conoscere le caratteristiche dello sport è indispensabile

Per  intervenire in una disciplina sportiva specifica allo scopo di migliorare le prestazioni degli atleti è necessario, come primo passo, identificare quei fattori che la caratterizzano. A titolo esemplificativo vengono riportate le caratteristiche di due discipline che anche se sono tra loro molto diverse, richiedono un elevato impegno psicologico: la vela olimpica e la fossa olimpica nel tiro a volo

Caratteristiche distintive delle classi olimpiche della vela

  1. Sport open skill in cui la prestazione è influenzata dai cambiamenti che avvengono nell’ambiente esterno.
  2. Richiede il controllo e la guida di un’imbarcazione e il corpo è un mezzo che permette di regolare l’azione di forze esterne ad esso
  3. La prestazione viene effettuata in condizioni ambientali variabili, in cui il vento, la corrente del mare, l’onda e altri fattori meteorologici possono subire ampie e improvvise variazioni.
  4. La prestazione si svolge in un periodo di più giorni con due prove al giorno come da regolamento delle regate olimpiche;
  5. Comporta una notevole competenza tattica e rapidità decisionale.
  6. Lo svolgimento nell’arco di una giornata è di circa cinque ore tra preparazione, avvicinamento al campo di gara, regata, pausa tra le due prove e ritorno a terra.
  7. Per alcune classi olimpiche, che non sono individuali, richiede una forte intesa con il partner.
  8. Comporta una visione degli avversari limitata da diversi fattori: ambientali, postura sul mezzo, rotte differenti per raggiungere la boa.

Caratteristiche distintive della specialità della fossa olimpica nel tiro a volo

  1.  Sport closed skill in relazione all’uniformità del gesto tecnico, ma che richiede anche una notevole capacità di adattamento dell’atleta al variare anche improvviso (colpi di vento e cambi di luce) delle condizioni ambientali.
  2. Dopo che il tiratore ha sparato passano circa 45 secondi prima che ritorni il suo turno
  3. Questa condizione si ripete per tutta la serie che è di 25 piattelli e che, con sei tiratori in pedana, ha una durata complessiva di circa 25 minuti.
  4. Il tiratore ha il fucile imbracciato, due colpi a disposizione e tempi di uscita del piattello certi e immediati.
  5. Vi è incertezza nella determinazione della direzione del piattello (traiettoria, angolazione e altezza).
  6. Le condizioni meteorologiche possono condizionare la prestazione.
  7. La competizione si svolge nell’arco di due giornate (tre serie la prima giornata e due serie la seconda, più l’eventuale finale).
  8. Tra una serie e l’altra trascorre almeno un’ora durante la quale il tiratore deve: nella prima parte   recuperare  l’energia fisica e  psicologica e nella seconda ri-attivarsi per entrare in pedana nella sua condizione migliore.

La conoscenza delle caratteristiche dello sport nel quale si opera è di primaria importanza, in quanto consente di comprendere quali siano le implicazioni psicologiche e le richieste attentive connesse a quel tipo di prestazione. Ad esempio,   l’identificazione  delle caratteristiche del tiro a volo nella fossa evidenzia come il tiratore debba essere in grado di gestire l’imprevedibilità dell’uscita del piattello, mantenendo nel contempo la fluidità e la precisione del gesto tecnico. Inoltre, il tiratore deve essere sufficientemente calmo da gestire le pause di 50 secondi con sicurezza ma, una volta imbracciato il fucile e chiamato il piattello, dovrà essere altrettanto pronto e reattivo ad eseguire la sua azione. Maggiore sarà la sua capacità di alternare una condizione psicologica all’altra, maggiore sarà la probabilità di fornire una prestazione al massimo delle sue possibilità di quel momento. Per ogni tiratore diventa così necessario ridurre/eliminare qualsiasi tipo di pensiero negativo e autosvalutante, e incrementare ogni forma di azione positiva che lo metta in condizione di esprimere il meglio di sé come atleta.

Diversamente nella vela si evidenzia come all’atleta venga richiesto di svolgere un compito che non solo richiede elevato impegno mentale, in quanto è decisiva la scelta del tipo di azione da eseguire e sul come effettuarla e si svolge in un ambiente soggetto a forti variazioni dovute all’interazione fra imbarcazione ed elementi naturali. Inoltre, richiede un’accurata preparazione atletica e lo sviluppo di un elevato grado di tolleranza alla stanchezza fisica e mentale, in un contesto che necessita di previsioni rapide e scelte immediate. Una caratteristica della concentrazione nella vela è di dover essere rivolta costantemente verso l’ambiente esterno. Il velista sia nelle classi individuali che quando è parte di un equipaggio deve saper anticipare correttamente gli eventi muovendosi in maniera coordinata al continuo mutare delle situazioni, infatti, anche il più piccolo errore di valutazione del vento, piuttosto che una non adeguata regolazione delle vele o una mancanza di sincronismo nei movimenti dell’equipaggio possono causare la perdita di secondi preziosi.

Concentrazione

Le abilità di un allenatore per creare una strategia

In questi giorni si sta parlando molto della differente concezione del calcio che hanno Simeone e Guardiola si è parlato addirittura di un confronto fra un calcio preistorico e un calcio nuovo. La strategia e la tattica sono uno dei centri d’interesse principali di un allenatore e da decenni se ne continua a parlare quando ricordiamo il calcio totale olandese, quello inglese di una volta “palla lunga e pedalare e il “catenaccio” italiano. Ognuno ha una propria idea ma per comprendere le scelte di un allenatore verso un determinato tipo di gioco è di aiuto conoscere cosa si debba intendere per strategia e a questo proposito riporto il pensiero di Henry Mintzberg (1989) uno dei principali studiosi di scienze aziendali.

“L’elaborazione di una strategia è un’operazione affascinante, che non si limita a fissare le semplici coordinate di quella che normalmente viene definita programmazione. … formai nel ‘71 un team di lavoro sul tema …nel periodo in cui le nostre ricerche stavano per essere concluse mia moglie modellava oggetti di ceramica nel seminterrato di casa e fu durante una sua presentazione in occasione di una mostra retrospettiva della sua produzione che mi resi conto che tutto ciò che lei diceva corrispondeva a quello che era già stato affermato da esperti di strategia di impresa. Così decisi di creare la metafora creare artigianalmente per analogia e per indicare le difficoltà che si incontrano nell’elaborare la strategia di un’impresa dinamica:

  • Spesso i manager leader sono costretti ad agire in un’atmosfera di caos calcolato per elaborare le loro strategie, operazione complessa e necessariamente collettiva.
  • Le strategie sono a un tempo programmi per il futuro e modelli operativi ricavati dal passato.
  • Non sempre le strategie sono frutto di calcolo. A volte sono – in varia misura – spontanee.
  • Le strategie di successo seguono percorsi incredibilmente strani.
  • Gestire una strategia significa elaborare sapientemente teoria e pratica, conoscere l’arte di controllare e di apprendere, saper conciliare stabilità e cambiamento.

Nelle leggende popolari del Medio Oriente si racconta di un uomo chiamato Nasrudin che, un giorno, cercava qualcosa per terra. Passò un amico e gli chiese: “Hai perso qualcosa, Nasrudin?” “La chiave” rispose Nasrudin. Allora l’amico si inginocchiò accanto a lui e lo aiutò nella ricerca. Dopo qualche minuto gli chiese: “Dove ti è caduta, esattamente, la chiave? “In casa”, rispose Nasrudin. “Ma allora, perché la cerchi qui?” “Perché  qui c’è più luce che dentro casa”.   … I manager leader di razza sono indubbiamente quelli nella cui mente le proprietà positive dell’emisfero cerebrale destro (impressione, intuito e sintesi) si coniugano armonicamente con quelle dell’emisfero cerebrale sinistro (lucidità, logica, analisi). Ma la scienza della direzione aziendale farà pochi passi avanti se i manager e i ricercatori continueranno come Nasrudin, a cercare la chiave del successo alla luce di un’analisi sistematica. Troppi interrogativi rimarranno senza risposta nell’oscurità dell’intuizione”.

La regola del panino

Quando vuoi essere critico con qualcuno o vuoi che modifichi certi suoi atteggiamenti o imprecisioni segui la regola del panino! 

Inizia ogni interazione con un gruppo o con un singolo interlocutore nel modo seguente:ù

  1. evidenzia qualche elemento positivo delle loro prestazioni recenti,
  2. continua esprimendo in maniera diretta che cosa non va bene e perché,
  3. spiega cosa ti aspetti che facciano di diverso,
  4. attribuisci ad ognuno responsabilità che siano specifiche e non generali,
  5. afferma che li riterrai totalmente responsabili dei compiti affidatigli,
  6. sottolinea con forza che ti aspetti che questo cambiamento avvenga sin da subito,
  7. concludi riconoscendo qualche altro aspetto positivo che hai notato.

In sintesi: una critica tra due aspetti positivi viene digerita meglio, ma ricorda che il panino dovrà essere adeguatamente riempito!

 

Sei un appassionato?

Spesso usiamo parole senza fermarsi a comprenderne il valore. E’ il caso di quando parliamo della passione. Cosa intendiamo quando diciamo che siamo appassionati di qualcosa, che gli amatori (oggi più frequentemente chiamati master), ad esempio, sono degli appassionati del nuoto, della corsa o della bicicletta. Ovvero che svolgo illavoro che ho sempre desiderato.

La passione consiste in una motivazione particolarmente forte verso una ben definita attività, è molto utile per comprendere ciò che spinge all’allenamento, allo studio o al lavoro. Un’indagine condotta nel 2019 aveva messo in evidenza che il 55% degli italiani è soddisfatto del proprio lavoro. la soddisfazione si situa a un livello più basso della passione pur se positiva e determinata da esperienza valutate come gratificanti.

La passione emerge in quei lavori che prevedono un certo grado di creatività e che sono percepiti da chi lo svolge come più appassionanti, poiché richiedono autonomia, capacità decisionale e ragionare in modo divergente. Chi valuta necessaria l’introduzione di fattori innovativi nelle proprie esperienze professionali rispetto a chi effettua scelte più conservative, certamente rientra fra coloro che svolgono un lavoro con passione.  Gli atleti che sono riusciti a trasformare la passione per il loro sport in un lavoro rientrano in questa tipologia. Al di fuori del contesto lavorativo, chi è impegnato in attività guidate dal piacere che gli forniscono, da cui non traggono guadagno o riconoscimenti materiali sono individui rivolti a coltivare una passione.

Come ogni dimensione psicologica, anche la passione può essere interpretata in un modo costruttivo e piacevole e in un altro più negativo, in questo caso si può parlare di:

  • Passione armoniosa, si basa su motivi autonomi. il piacere e il sentimento di padronanza.
  • Passione ossessiva, consiste nel sentirsi obbligati o compensare altri aspetti della personalità. Riduce la concentrazione. Ostacola l’autoregolazione.

 

Come vivete personalmente la fatica?

Il tema che trovate presentato in questa slide è un argomento di cui non si ha diretta esperienza è molto difficile da insegnare agli atleti.

Come ti sei preparato a fare lo psicologo dello sport?

Voglio parlare di un tema importante e spesso sottovalutato in psicologia dello sport: la supervisione. Premetto che questa attività è ormai richiesta e definita dalle principali organizzazioni internazionali di psicologia dello sport fra cui l’associazione mondiale, International Society of Sport Psychology (ISSP) e quella Europea di Psicologia dello Sport (Fepsac).

Ciò a parte spesso mi scrivono psicologi che vorrebbero fare con con me il tirocinio e, come spesso letteralmente scrivono: “vedere come lavoro”. Questo non mi è possibile per il tipo di organizzazione del mio lavoro. Comunque tramite il Master di psicologia dello sport e l’attività dell’Accademia di calcio integrato seguo psicologi per il tirocinio. Al contrario, non mi è mai capitato che uno psicologo dello sport mi chiedesse di supervisionare il suo lavoro. Lascio a voi la spiegazione, forse dovuta al fatto che il tirocinio è gratuito mentre la supervisione ha un costo per lo psicologo; il lavoro è poco pagato per cui si perderebbe il guadagno; il lavoro è semplice e quindi anche un novizio lo può gestire con efficacia; l’area della psicologia dello sport è comunque solo uno degli ambiti in cui si lavora e quindi si è poco interessati a implementare le competenze specifiche; si ritiene comunque che una volta abilitati a svolgere questa professione si è già investito a sufficienza per cui la supervisione è inutile.

Ognuno si fornisca la sua spiegazione e voglio darvi la mia.

All’inizio, quando ho conosciuto Ferruccio Antonelli, nel 1981, mi diede da tradurre gli abstract dall’inglese in italiano dell’International J. of Sport Psychology e poi me li correggeva facendomi notare dove la traduzione non aveva senso compiuto nella nostra lingua. Capii che ciò che contava era farsi capire da lettore. Poi mi diede dei libri da leggere. Tramite lui non ho mai visto un atleta, ma ho letto molto e dopo un anno sapevo chi erano i principali autori a livello internazionale sui principali argomenti della psicologia dello sport. Nel contempo, sempre nel 1981, conobbi Carmelo Pittera, ct della nazionale maschile di pallavolo e grande uomo di cultura e apertura mentale. E anche in questa esperienza, che durò 7 anni, si passava il tempo a studiare l’anticipazione motoria, come allenarla con gli atleti, come trasferire queste conoscenze ai bambini del minivolley e agli insegnanti. Questo approccio permise la produzione di 4 libri di educazione motoria (tuttora validi), un libro sulla psicologia degli arbitri di pallavolo (mai più ripetuto in nessun altro sport di squadra), il mio libro del Mental Training e ricerche pubblicate su riviste internazionali.

Questo per dire che alla base della riuscita vi è la conoscenza specifica, altrimenti saremo come quel medico che s’improvvisa ortopedico o cardiologo. Nel frattempo, in quegli anni ho fatto due scuole di psicoterapia per un totale di 6 anni. Oggi, il mio approccio rimane lo stesso. Nel 1998 ho pubblicato con Il Mulino il manuale “Psicologia dello Sport” e nel 2021 è uscita un’edizione totalmente nuova e aggiornata intitolata “Fondamenti di Psicologia dello Sport”. Questo è tutto.

Voi come vi siete preparati a svolgere questa professione?

Le competenze psicologiche degli atleti e delle atlete di élite

La ricerca dell’eccellenza ha avvicinato molte/i atlete/i alla psicologia dello sport. Spinti dal desiderio di potenziare, oltre al fisico, anche la mente, diversi professionisti si sono rivolti a questo tipo di sostegno, così da aumentare la probabilità di fornire prestazioni eccezionali. 

Negli ultimi 20 anni l’allenamento mentale è entrato a far parte della preparazione svolta per gareggiare nelle competizioni più importanti, come i campionati del mondo e le Olimpiadi.  Negli anni ’60 si pensava che il segreto per vincere le medaglie fosse la padronanza della tecnica migliore ma si scoprì che da sola non bastava e che se i risultati non venivano era perché non si era preparati fisicamente. 

Così negli anni ’70  salirono alla ribalta i fisiologi: analizzavano le richieste fisiche degli sport e fornivano programmi per rendere più adeguata la condizione atletica. Nonostante questo tipo di preparazione molte/i atlete/i con eccellenti fisici, un’ottima condizione atletica e tecnica continuavano a fallire. Ciò determinò anche uno caratterizzazione dell’attività sportiva in termini professionali, una preparazione a tempo pieno ai più alti livelli tecnici e di preparazione fisica e il risultato fu una maggiore omogeneità delle prestazioni.

Negli anni ’80 gli esperti cominciarono a pensare che la psicologia umana poteva giocare un ruolo centrale nel favorire il successo, quello che gli americani hanno chiamato il vantaggio mentale. Oggi sappiamo che a parità di abilità tecnica e di preparazione atletica la differenza la fa la testaovvero che il successo per l’80% è mentale. Esiste una relazione circolare positiva per cui una condizione mentale ottimale permette di fornire le prestazioni migliori e il successo ottenuto sviluppa un approccio mentale positivo alla prestazione.

Le principali abilità utilizzate da atlete/i top level possono essere così sintetizzate: 

  • Capacità di gestire lo stress agonistico attraverso l’autoregolazione dei livelli di attivazione ed emozionali.
  • Livello elevato di fiducia in se stessi e, in particolare, percepirsi in grado di affrontare le situazioni agonistiche più intense.
  • Capacità di stabilire obiettivi  a breve e a lungo termine che siano sfidanti e raggiungibili.
  • Abilità a concentrarsi solo sulle cose essenziali per la prestazione.
  • Abilità a ri-concentrarsi rapidamente dopo una fase negativa o un errore.
  • Percepirsi determinati e impegnati a raggiungere gli obiettivi.
  • Avere un dialogo positivo con se stessi, essere abituati a guidarsi in maniera affermativa (dicendosi esattamente solo quello che deve essere fatto, senza mai pensare a ciò che non deve essere fatto).
  • Prendersi cura del proprio benessere mentale e fisico.

Juan Jesus è il nuovo leader del Napoli

Una squadra ha bisogno di leader in campo, se invece l’unico leader è l’allenatore non potrà diventare una squadra vincente. È quindi possibile che le dichiarazioni post partita di Juan Jesus, che lo rendono sempre più un leader, siano espressione di questo processo di cambiamento non solo suo personale ma del Napoli.

La squadra sta lottando per vincere lo scudetto e le parole di Spalletti confermano la necessità di avere leader in campo: “Dobbiamo guardare negli occhi gli avversari, i giocatori lo hanno capito e percepito, sono tutti lì determinati a giocare la prossima partita… qualcosa è cambiato a livello di atteggiamento, ci siamo resi conto che dobbiamo fare quello in cui siamo bravi. Nel momento di difficoltà soffri, ti adatti, poi riprendi in mano quella che è la tua convinzione, quella che è la tua qualità”. Juan Jesus ha risposto a questa richiesta.

Il cambiamento è stato stimolato e favorito dalla posta in palio ma trova le sue fondamenta nella passione che alimenta il desiderio di vincere. Assumersi responsabilità richiede coraggio di affrontare i problemi, non vuol dire non sbagliare mai, bensì sapersi rialzare subito. Questo è un passaggio decisivo che si trova in ogni cultura. Se un americano dice che non importa quante volte cadi ma quanto in fretta di rialzi, un cinese lo afferma con altre parole: “Cadere 7 volte, alzarsi 8”. Questo è il senso delle parole del calciatore quando ha affermato: “Bravi a reagire, ora dobbiamo fare il nostro gioco!”. Non importa se sei un titolare inamovibile o se entri a partita in corso, questa è la mentalità indispensabile che tiene unita la squadra che lotta per ottenere risultati importanti.