La curiosità potrebbe essere il segreto dei vincenti

Quando l’atleta ma anche ognuno di noi si chiede: “Ce la farò ad affrontare questa prestazione con successo?” lo può fare in due modi opposti. Il primo è quello che nasce dall’insicurezza e dall’ansia di non essere sufficientemente capaci e genera pensieri di preoccupazione eccessivi e di disistima verso noi stessi. Con questo approccio è probabile che il risultato della prestazione sarà negativo. Il secondo approccio nasce, invece, dalla curiosità di volere verificare cosa succederà performando al meglio, se si riuscirà a rendere il possibile (vincere) reale (avere vinto). Questo secondo atteggiamento mette in luce la pazienza della persona nell’esprimere una valutazione di sé solo al termine della prestazione, ponendo attenzione a ciò che serve fare per realizzare il proprio scopo.

Questo concetto l’ha illustrato con estrema chiarezza il filosofo Michel Foucault:

“La curiosità … evoca la “cura”, l’attenzione che si presta a quello che esiste o che potrebbe esistere, un senso acuto del reale, che però non si immobilizza di fronte a esso, una prontezza a giudicare strano e singolare quello che ci circonda; un certo accanimento a disfarsi di ciò che è famigliare e a guardare le stesse cose diversamente, un andare a cogliere quello che accade e quello che passa, una disinvoltura nei confronti della gerarchie tradizionali tra ciò che è importante e ciò che è essenziale. Sogno una nuova era della curiosità”. (M. Foucault, Il filosofo mascherato, in  A. Pandolfi (a cura di), 1998).

La curiosità ci deve spingere a non immobilizzarsi o spaventarsi di fronte al reale, la prestazione e le gerarchie sportive, e c’invita a guardare le cose diversamente e a essere immersi totalmente nelle nostre azioni.

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