Sono passati esattamente 30 anni da quando l’antropologo Desmond Morris ha pubblicato il suo bellissimmo libro intitolato “La tribù del calcio”. E’ un testo estremamente interessante e attuale, che poco risente degli anni. Morris ha così definito il gioco del calcio:
- “… i cacciatori diventano calciatori, l’arma è la palla e la preda è porta” ( p. 15)
- “immaginarla come una specie di guerra in miniatura … Quello che conta è proprio la differenza tra il numero di goal segnati dalle due squadre … il risultato finale si ricollega invece al simbolismo della battaglia” (p. 17-18).
- “Se la squadra di casa vince una partita, i tifosi locali possono vantare un’importante vittoria anche in campo psicologico e sociale … Non c’è disgrazia peggiore per le tribù della retrocessione: in caso di retrocessione la perdita del prestigio sociale è talmente grande che la squadra si autopunisce con un sacrificio simbolico: in genere licenziando l’allenatore” (p. 22-23).
- “E’ importante ripetere una volta per tutte che non esistono dubbi circa il significato religioso di una partita di calcio … il cittadino è sempre più affamato di occasioni di incontro di massa, in cui può vedersi o essere visto come facente parte di una comunità” (p.23).
- “Ogni partita di calcio è un’impresa commerciale preceduta da molta pubblicità” (p.27).
0 Risposte a “La tribù del calcio”