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How it’s difficult to be competitive

“To accomplish something difficult. Mastering, manipulating, or organizing physical objects, human beings, or ideas. Do it as quickly and independently as possible. Go beyond obstacles and maintain high standards. Excelling for oneself. To rival and surpass others. Increase awareness through observing one’s own successful experiences that are the result of one’s talents.”

H.A. Murray said in 1938.

I dedicate these words to the young athletes in Italy who in team sports play little because of foreigners.

In individual sports certainly they can compete, since no one can take away their team place, sometimes they train alone or alone, at best with coaches and trainers equally willing but alone too.

Best wishes and may your persistence and dedication always be your friend.

Having fun in competition is not a joke

Having fun is not a joke.
Often coaches say to athletes: “Go and have fun”. And they look at them with two eyes out of their sockets saying but “what are you saying, here I have to give my best I am not going to the pizzeria with friends”.

They are both right and wrong. How do you have fun when you are committed to giving your best? Then the athletes are right. Maybe there is a way to have fun in the most competitive moments? So the coaches are right.

The question is well expressed by Sun Yingsha: You must have the pleasure of facing difficult situations! In this way the fun is given by the pleasure of facing challenges with all the risks involved.

Napoli: how to react to the defeat against Juventus

The mental coaching for the ultramarathons

  • Il prossimo 28 giugno centinaia di atleti parteciperanno alla 40^ edizione della Pistoia-Abetone. Ad attenderli ci sarà un duro percorso di 50 km. Possiamo dare qualche consiglio su come affrontare al meglio questa gara?

La pazienza è la prima qualità che deve dimostrare di possedere un ultra-maratoneta. All’inizio della gara ci si deve annoiare, nel senso che il ritmo della corsa deve essere facile ma non bisogna cadere nella tentazione di correre più veloce di quello che si è programmato.

  •  In una competizione così lunga sono inevitabili i momenti di crisi. Come è possibile superarli?

Nella corsa di lunga distanza le difficoltà sono inevitabili, quindi la domanda non è tanto “se ci troveremo in difficoltà” ma “quando verrà quel momento cosa devo fare per superarlo”. La risposta non può essere improvvisata in quel momento ma deve essere già pronta, poiché anche in allenamento avremo incontrato difficoltà di quel tipo. Quindi in allenamento: “come mi sono comportato, che cosa ho pensato, quali sensazioni sono andato a cercare dentro di me per uscire da una crisi?”. In gara abbiamo dentro di noi queste risposte, dobbiamo tirarle fuori. Ogni runner in quei momenti deve servirsi della propria esperienza, mettendo a fuoco le immagini e le emozioni che già in passato gli sono state utili.

  • Malgrado le difficoltà e i sacrifici per affrontare una gara di lunga distanza, il popolo dei maratoneti è in aumento. Come si spiega questa tendenza?

La corsa corrisponde a un profondo bisogno dell’essere umano. Infatti noi siamo geneticamente predisposti alla corsa di lunga distanza e più in generale si può affermare che il movimento è vita mentre la sedentarietà è una causa documentata di morte. Sotto questo punto di vista la corsa si è tramutata nelle migliaia di anni in attività necessaria per sopravvivere agli attacchi degli animali e per procacciarsi il cibo in un’attività che viene oggi svolta per piacere e soddisfazione personale. Inoltre, oggi come al tempo dei nostri antenati, la corsa è un fenomeno collettivo, è un’attività che si svolge insieme agli altri. Per l’homo sapiens era un’attività di squadra, svolta dai cacciatori per cacciare gli animali; ai nostri tempi la corsa soddisfa il bisogno di svolgere un’attività all’aria aperta insieme ai propri amici.

  •  Cosa non bisognerebbe mai fare a livello mentale in una competizione sportiva?

Non bisogna mai pensare al risultato ma concentrarsi nel caso della corsa sul proprio ritmo e sulla sensazioni fisiche nelle parti iniziali e finali della gara. Nella fase centrale è meglio avere pensieri non correlati al proprio corpo.

  •  Chi è per lei un campione?

Chiunque sia in grado di soddisfare i propri bisogni è il campione di se stesso e deve essere orgoglioso di avere raggiunto questo obiettivo personale. Quando invece ci riferiamo con questo termine ai top runner, i campioni sono quelli che riescono a mantenere stabili per un determinato periodo di tempo prestazioni che sono oggettivamente al limite superiore delle performance umane nella maratona e che in qualche occasione sono riusciti a superare.

  •  Nella sua esperienza di psicologo al seguito di atleti partecipanti alle Olimpiadi, c’è un ricordo o un aneddoto che le è rimasto nel cuore?

Prima di prove importanti i campioni provano le stesse emozioni di ogni altra persona. Spesso le percepiscono in maniera esagerata, per cui possono essere terrorizzati di quello che li aspetta. La differenza con gli altri atleti è che invece riescono a dominarle e a fornire prestazioni uniche. Ho vissuto questa esperienza per la prima volta ad Atlanta, 1996, in cui un atleta che poi vinse la medaglia d’argento, non voleva gareggiare in finale perché si sentiva stanco ed esausto. Questa stessa situazione l’ho incontrata in altre occasioni ma questi atleti sono sempre riusciti a esprimersi al loro meglio nonostante queste intense espressioni di paura.

  • Analizzando il panorama dell’atletica italiana, si ha la sensazione che i risultati migliori arrivino da atleti anagraficamente non così giovani come ad esempio negli anni Ottanta e che il vivaio di talenti stenti a decollare. Quale interpretazione possiamo dare di questo fenomeno e come evitare l’alta percentuale di drop-out sportivo nell’adolescenza?

Nel libro intitolato “Nati per correre” di A. Finn e dedicato agli atleti keniani vengono prese in considerazioni molte ipotesi sul loro successo emerge con chiarezza che la molla principale risiede nel loro desiderio di avere successo.

“Prendi mia figlia, ha aggiunto, è bravissima nella ginnastica, ma non credo farà la ginnasta. Probabilmente andrà all’università e diventerà medico. Ma un bambino keniano, che non fa altro che scendere al fiume per prendere l’acqua e correre a scuola, non ha molte alternative all’atletica. Certo anche gli altri fattori sono determinanti, ma la voglia di farcela e riscattarsi è la molla principale” (p.239).

  •  Si può affermare che la pratica di uno sport svolga un ruolo di prevenzione rispetto a disturbi mentali quali l’ansia e la depressione?

Lo sport e l’attività fisica promuovono il benessere se vengono svolte come attività del tempo libero e per il piacere di sentirsi impegnati in qualcosa che si vuole liberamente fare.  Al contrario quando vengono svolte allo scopo di fornire prestazioni specifiche possono determinare, come qualsiasi altra attività umana, difficoltà di ordine psicologico e fisico. Direi che vale anche per lo sport e l’attività fisica la stessa regola che è valida per qualsiasi attività umana. Il problema non proviene da cosa si fa: sport agonistico o ricreativo ma da come si fa: crescita e soddisfazione personale o ricerca del risultato a ogni costo e dagli obiettivi del contesto sociale e culturale nel quale queste attività vengono praticate: sviluppare la persona attraverso lo sport o vincere è l’unica cosa che conta.

(From Runners e benessere, Giugno 2015)

Sports are tough games

  • More events lost than won – always fight
  • Failure + Frustration are part of the game
  • A lot of time to think: Boredom and worries
  • 3 or 4 moments become critical in every competitions
  • Control of performance processes not the results
  • Athletes must be focus to win/perform/learn

To have the right toughness to start again is not easy

For an athlete who in his career has reached the absolute top, be in a position of having to go back to work on his technique and on a different race management, because the rules of his sport have been changed is not an easy task. Especially if it happens in the post-Olympic period in which the majority of athletes tend to take some time to recover from the Olimpic stress. The combination of these aspects, rules changes and the need to maintain the commitment at the highest level, can lead to a condition of mental stress in which the athlete would not want to be in this stage of his career. In addition, the young athletes of the same sport perceive the post-Olympic period as an opportunity to gain experiences at the international level and therefore they are motivated to make every effort to be noticed by the national coach. There are so many reasons that prevent from living this year so undemanding but instead push in the direction of a fastf adaptation to new technical rules and competition changes.

Choose your mental coaching program

Tell your dreams. We will help you  to reach them

 

 CEI Consulting helps athletes to: 

  • Identify their specific concentration strengths and weaknesses with the most sophisticated performance enhancement assessment system.
  • Be aware of their performance profile with a 360° assessment program (technical, mental and physical).
  • Be aware of their skills when compared with those of the best athletes in the world.
  • Develop coaching programs for improving and performing at their best.

CEI Consulting uses The Athlete’s Mental Edge, an exclusive performance enhancement system used by Olympic and championship-level athletes worldwide. It is a distillation of 30 years of research made in USA and Canada, Europe and Australia and hands on consulting with many of the world’s greatest athletes.

CEI Consulting is an assessment and coaching program including:

  1. Your goals 
  • How establish goals
  • Which commitment show the tough athletes
  • The correct mental habit during the coaching sessions
  • The focus: on the performance and not on the results
  • The athletes’ main mental mistakes 
  1. The stress management 
  • What is relaxation
  • Strategies of optimal activation pre-event
  • How to learn relaxation and reach the right activation
  • When/how to use them during the competition 
  1. The concentration 
  • Which kind of focus you need
  • Strength and weakness points of each athlete
  • The focus during the performance
  • Exercises to be focused during the coaching 
  1. Which are your fears 
  • Are you worried about what?
  • Are you ready to perform, to do your best?
  • Is the fear useful?
  • How to manage the fear 
  1. Planning the competition 
  • How to stay in your individual zone of optimal activation
  • One hour before the events: what to do
  • Your thoughts and feelings before the beginning and during the event
  • What to do during the competition days
Contact for further information: info@ceiconsulting.it

Never suffer coaching and competition

Among the difficulties that an athlete has to face is to be ready not to suffer a workout, an opponent or situations that arise during the competition. To suffer means to renounce at own value, entering into a state of mind that complains, feelings of failure and recrimination. An athlete can complain against the coach who proposes exercises that he does not like or because he feels unlucky. Are thousand the reasons to snap to enter in this negative state of mind for a few moments away the responsibility for what happened, because it is the fault of others or bad luck. This satisfaction is short-lived, because soon after the athlete feels dominated by a state of lack of confidence toward himself.

These are precisely the times when you must react. The first thing to do is to be aware that everyone is the owner of his daily actions and no one else. The second concerns the knowledge that the obstacles are the only opportunities to improve and therefore must be sought in order to learn to deal with them. Third, the athlete must rethink the difficulties that he has experienced, knowing how he is dealt with and whether he could do better. Fourth, he needs to think about the next few days, imaging what obstacles might present and planning for more effective action.

Lo stress da competizione

Tutti ci diciamo che lo stress è qualcosa che prima s’insinua dentro di noi e poi esplode impadronendosi delle nostre emozioni e del nostro modo di pensare. Lo stress è dei campioni e degli allenatori ma anche delle persone che vogliono migliorare e che ogni giorno vivono lo stress della competizione quotidiana. Oggi non c’è tempo per rilassarsi perchè le persone sono spesso arrabbiate, deluse o stanche. Rilassarsi viene vista come un’altro impegno, una fatica aggiuntiva; oppure come impossibile prima di avere risolto i problemi del momento, o ancora come qualcosa che può fare chi a tempo perdere. Non si capisce che è proprio nei momenti di difficoltà o d’impegno frenetico che è importante trovare del tempo per ridurre lo stress. Non basta l’esperienza per non essere stressati, bisogna agire attivamente per ridurla. Questa idea non è invece diffusa e per questa ragione siamo sempre più stressati.

L’errore quando si gioca bene

Un errore tipico degli atleti e che ultimamente ho dovuto affrontare più volte, riguarda le aspettative generate durante la competizione dallo stare fornendo una buona o anche ottima prestazione, ma che a un certo punto, nella sua fase finale, invece, comincia a deteriorarsi sino a diventare insufficiente. Si può sintetizzare così: “sto facendo bene e poi apparentemente quasi di colpo ho fatto male e non mi sono più ripreso”. Questo risultato evidenzia la difficoltà a controllare le aspettative di concludere così come si è cominciato, si pensa che dovrà succedere proprio in questo modo e poi al primo errore si entra in uno stato mentale d’incredulità per l’errore commesso, incrementando la tensione in modo disfunzionale alla prestazione. Che fare. Il primo passo consiste nello spiegare a questi atleti che trovarsi in difficoltà è un fatto fisiologico e che soprattutto quando si sta facendo bene la pressione su di sè cresce e questa, se non controllata, aumenta di molto la probabilità di sbagliare. Si può fare molto, ma questo è il tema di una prossima volta.