Monthly Archive for November, 2011

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Accettare per cambiare

Lontano da casa finora il Palermo ha raccolto solo un punto. L’allenatore, Devis Mangia ha detto ”Non deve diventare un peso, ce la giocheremo.” Avrei detto invece: “E’ un peso e lo supereremo.” Perchè per cambiare, bisogna prima accettare i limiti di un determinato momento senza negarli.

Nuvole e vento per essere bravi

In questi giorni lavoro con atlete/i che si lamentano di avere pensieri/emozioni che li ostacolano nelle loro prestazioni anche i allenamento e ciò accade proprio ora che si sentono in forma e che devono affrontare appuntamenti agonistici per loro molto importanti. La difficoltà loro è quella di capiare che è causa del loro elevato livello di forma e della rilevanza delle gare che stanno per fare che si sentono in questo modo. Mi sono aiutato con la metafora delle nuovole che non sappiamo quando vengono ma che un colpo di vento può allontanare. Quindi il loro impegno deve essere rivolto non tanto contro se stessi perchè non sono capaci di non avere questi pensieri ma a attivare il loro vento interiore e così potranno esprimersi come sanno quali che siano le difficoltà che arriveranno. Questo lavoro su se stessi è un pezzo fondamentale dell’allenamento mentale.

Il perfezionismo positivo

Leggo un’intervista a Spielberg e a Jackson il produttore del film su Tintin dove afferma: ” Probabilmente abbiamo speso due o tre anni di lavoro per realizzare ogniparticolare nuance e sottigliezza del volto di Tintin. Steven e io abbiamo avuto lunghe video conferenze con il tem dei disegnatori … chiedeno loro “Gli occhi possono essere del 15% più piccoli? Le sopracciglia possono essere un po’ più basse?” Queste sono richieste di perfezionismo che il regista e il produttore avevano in mente e che in questo modo sono state soddisfatte. E’ un perfezionismo positivo perchè si è concretizzato in un risultato efficace. Un altro aspetto di questa ricerca è che richiede tempo, bisogna provare e riprovare e poi provare ancora. Nel frattempo si presentano degli ostacoli, ci sono fasi che sembrano insuperabili, poi viene il giorno in puzzle si compone e si giunge alla soluzione. Gli atleti, quelli bravi, fanno lo stesso ripetono migliaia di volte le stesse azioni con qualche piccola modifica fino a quando “appare” il movimento ottimale per loro stessi. A quel punto ci si allena per ripeterlo, entrando così nella fase chiamata della “disponibilità varaibile” in cui l’azione può essere avviata e condotta a termine indipendentemente dalle carattersitiche della situazione agonistica. Solo così si raggiunge l’eccellenza.

A lezione da Thorpe e Woods

Credo che Thorpe e Woods vadano seguiti e ammirati per ciò che fanno. Non parlo dei risultati sportivi ma della volontà di volere provare a se stessi che si può, coa? Il primo che dopo essersi ritirato si può nuovamente raggiungere altissimi livelli e il secondo che non finito, nonostante sia intorno alla 50° nel ranking. E’ possibile che vi siano anche risvolti economici alla base di quetse scelte, ma non sono di certo sufficienti a mettere nuovamente la propria faccia, sapendo di rischiare di non farcela. Questo per me è il punto fondamentale, l’accettazione del rischio, probabilmente questa è anche la caratteristica dei fuoriclasse, accettare gli errori e le disfatte ma essere lì con tutto se stessi nel volerci riuscire. Noi lo faremmo?

Il riscaldamento è anche mentale

Molti allenatori spesso mi chiedono come sia possibile entrare pronti in gara sino dal primo istante. Non vi è una risposta unica poichè la prontezza dipende dallo stato di forma di quel momento, dai risultati delle gare precedenti o ancora dall’importanza della competzioni che deve affrontare. Al di là di questi fattori, però, è risaputo che gli atleti si prepararno alla gara attraverso il riscaldamento fisico. E’ a questo punto che ci si deve porre la domanda seguente: cosa faccio per riscaldare la mente? Cosa faccio, quindi, per potere Spesso atleti e allenatori non sanno rispondere a questa domanda perchè non ci hanno mai pensato, per loro il riscaldamento o prontezza mentale pre-gara viene spontaneamente e comunque è subordinata di molto al riscaldamento fisico che una volta raggiunto porterebbe con se anche quello mentale.

E’ utile cambiare allenatore durante il campionato?

Le squadre italiano di calcio cambiano spesso allenatore, talvolta anche prima dell’inizio del campionato, la domanda che ci si pone riguarda ovviamente l’utiità di questo modo di agire dei presidenti della società. Le statistiche sono a questo riguardo di poca utilità, poichè evidenziano che talvolta le squadre cambiano in meglio ma in altre occasioni non si ottienequesto stesso risultato. Si cambia perchè i calciatori contestano il tecnico o per seguire gli stati d’animo dei tifosi o per capriccio del presidente. o perchè l’allenatore vuole imporre la sua filosofia di gioco in modo rigido. In questo periodo si prala spesso di “progetto della squadra” ma credo sia più un modo di dire che un programma specifico e dettagliato costruito su un’idea del tecnico. Progetto vorrebbe dire che società e tecnico sono concordi nel seguire una strada, che dovrebbe essere stata tarata in precedenza sulle caratteristiche dei calciatori che formano la squadra. In caso contrario è una parola vuota, e alle prime difficoltà tutti si troveranno a dare addosso all’allenatore, che diventa così il capro espiatorio, che viene di conseguenza licenziato. Giocare al genio incompreso da parte del tecnico non è a mio avviso per lui professionalmente utile perchè i presidenti non sono dei mecenati pazienti e i calciatori se non capiscono non sono motivati, pur se sono professionisti, a impegnarsi a realizzare quanto richiesto. In altre parole, l’allenatore che vuole porare avanti le sue idee deve tenere presente il contesto nel quale le dovrà applicare, di questo fanno parte i calciatori e il presidente, se non è convincente nel suo operato nessuno sarà disposto a dargli quella fiducia che serve a realizzare un progetto nuovo. Ogni situazione avrà poi anche altre specificità che sono solo sue, ma la regola principale è che non si può far fare alle persone ciò che non vogliono fare, specialmente se come cantava Giorgio Gaber: “… tu sei solo e loro sono tanti.”

I due alpinisti sul Bianco sono morti

Purtroppo sono morti i due alpinisti sul Bianco e non sapremo mai il perchè. La montagna è così fatta, non lascia scampo quando si sbaglia. L’errore, se c’è stato, è stato di fidarsi troppo delle proprie abilità e partire per un’impresa già difficile con il bel tempo, sapendo che sarebbe peggiorato e di molto. Questo è successo ed è quasi impossibile resistere a quell’altezza con quella temperatura. In montagna gli errori si pagano spesso con la vita o con gravi menomazioni; l’eccesso di sicurezza è spesso una causa d’incidenti, si pensa di essere immortali e poi ci viene dimostrato il contrario. L’alpinismo non è uno sport ma quanto è accaduto fa certo parte del capitolo: rendimento e preparazione psicologica. Si potrebbe dire in modo cinico: pensavamo di essere così bravi da ingannare la montagna.

Armando Picchi

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Dispersi da 5 giorni sul Monte Bianco

“Ancor prima che sia montata la tenda, comincia a imperversare la bufera … La bufera è così forete che rinunciamo all’idea di parlarci. Come se si fosse interrotto il collegamento della voce da faccia a faccia. MOmenti simili restano nella memoria. La visibilità copre uno spazio di due metri per due. Pieni di immagini paurose. Nella tenda, sull’esile cengia tra il crepaccio e l’abisso, aspettiamo i peggio … Mi rannicchio nella tenda senza dirmi quello che penso. Soltanto dopo alcune ore la stanchezza e il freddo mi rendono indifferente. Entrambi ci addormentiamo a tratti … In situazioni così pericolose non c’è una via d’uscita: farsene una ragione … Non penso più a niente, Né a pericoli, né alle paure, né al domani. H smesso di reagire … Così trascorre la notte. La mia vitalità ha toccato il livello più basso da molti anni a questa parte parte.” Così ha scritto Messner, insieme a Kammerlander, la notte di bufera durante la salita all’ Annapurna (da Corsa alla vetta, 1986). Questo è ciò che si prova. Speriamo che i due alpinisti francesi bloccati a 4000 metri sul Monte Bianco da 5 giorni stiano ancora resistendo.

Coraggio o incoscienza

Si è corsa ieri la maratona di New York con un successo incredibile di partecipanti (47.000) che conferma quanto queste gare/eventi sportivi partecipano a soddisfare quel bisogno di movimento che è dentro ognuno di noi. Tra le donne, successo dell’etiope Dado Firehiwot in 2h23’15″ davanti alla connazionale con passaporto americano Deba Buzunesh e alla keniana Mary Keitany. E’ stata proprio quest’ultima a correre una gara in cui ha dimostrato coraggio e incoscienza, perchè è stata da sola in testa sino dai primi chilometri raggiungendo un vantaggio di più di 2 minuti, ma non ce l’ha fatta a tenere lo steso ritmo tanto che a tre chilometri dall’arrivo è stata raggiunta dalle due inseguitrici. A questo punto la Keitany ha reagito e non si è fatta superare, anzi, ha preso qualche metro di vantaggio. Purtroppo per lei con questo ulteriore sforzo di orgoglio ha consumato le ultime energie ed è stata superata. Gara coraggiosa per questa ragazza perchè non ha esitato nella fase iniziale a credere in se stessa e per 36 chilometri ha dimostrato di saperlo fare, pur soffrendo è stata in testa rallentando il ritmo e indurendosi nella corsa per poi appena recuperato ritrovare più scioltezza. E’ stat, però anche incosciente perchè è giunta nella fase decisiva della maratona, che sono gli ultimi chilometri, senza le energie fisiche e mentali per gestire questa fase finale e giungere prima al traguardo. Credere in se stessi e volerlo dimostrare è un fattore decisivo per il successo, ma anche per i fuoriclasse la chiave della vittoria nella maratona sta in questi ultimi chilometri. Un maratoneta non fa di certo molte gare durante l’anno, anzi forse due sole maratone in dodici mesi. Pertanto, non si può sprecare un possibile successo per eccesso di ottimismo. La lezione per tutti quale sia il tempo che farai è che devi correre sempre a un ritmo che ti consenta giunto al 36°km di continuare con quello stesso passo fino al traguardo.