Monthly Archive for June, 2011

Perchè vincere

Alcuni amici con cui corro mi hanno chiesto perchè ho scritto un libro dedicato anche a loro quando non vinceranno mai. Gli ho detto che ovviamente hanno ragione se considerano vittoriosi solo coloro che arrivano primi, ma cambiando la prospettiva questa affermazione non è più vera. Tutti possiamo vincere. Ho corso 100km in 13 ore e per me ho vinto, sono convinto di avere raggiunto il mio obiettivo e anche a distanza di un mese continuo a pensare di avere fatto una delle prestazioni migliori della mia vita. Vincere è stato anche, prima ancora di gareggiare, portare a termine il programma di allenamento che avevo scelto di fare. Quindi, chiunque può vincere, non è solo uno slogan che fa il verso agli americani. Vuole dire perseguire un obiettivo che si ritiene abbastanza impegnativo ma raggiungibile e seguire quelle regole ne permettono la realizzione. E’ altrettanto ovvio che questo percorso prevede che si debba imparare a tollerare il fatto che potrebbe non essere raggiunto e che questo è parte della condizione che si sta vivendo. Se ci si impegna in questo modo si esce psicologicamente arricchiti e soddisfatti.

Allenarsi per vincere

E’ uscito il mio nuovo libro intitolato “Allenarsi per vincere.” E’ dedicato agli sgobboni e non hai bravi per un giorno. E’ per chi vuole correre il rischio di diventarlo e non si accontenta dei successi facili. E’ per chi ritiene che le imprese eccezionali siano il frutto dell’impegno quotidiano, è per chi fa anche quando piove e il traguardo è ancora lontano. E’ dedicato anche a chi, pur non avendo più il tempo o l’età per diventare un atleta di alto livello, vuole comunque coltivare la sua passione sportiva e allenarsi a migliorare quelle abilità psicologiche che gli permetteranno di conoscersi meglio e di sviluppare quelle competenze mentali che gli faranno vivere questo impegno in maniera gratificante e positiva. In anteprima su: http://www.calzetti-mariucci.it/mediacenter/FE/home.aspx

Il Motivatore

Se l’uso delle parole possiede ancora un senso, il Motivatore (inglesismo che non esiste nel vocabolario italiano) è colui che fornisce la motivazione, la passione, l’interesse per riuscire. E’ colui che agisce per motivare qualcuno a fornire determinati comportamenti. Mi sembra che questo approccio riveli una concezione passiva dell’essere umano che deve venire motivato da qualcuno altro. In psicologia è riconosciuto che gli individui si motivano da loro stessi e che gli altri sono importanti nel fornire delle ragioni per rafforzare modi di pensare e di essere già esistenti. Infatti la preparazione mentale a un evento è  un percorso di ampliamento della consapevolezza e di affinamento delle competenze mentali e sociali che permetterranno di affrontarlo in una condizione che per quella singola persona sarà quella ottimale. Inoltre i motivatori sono persone laureate in materie non psicologiche o non lo sono affatto che hanno scoperto di avere qualità psicologiche che li portano a influenzare altre persone e che hanno acquisito alcune tecniche psicologiche che spesso afferiscono alle PNL e all’ipnosi. Queste loro convinzioni gli permettono di essere certamente più aggressivi e propositivi rispetto agli psicologi. Per contrastare la diffusione di questo ruolo gli psicologi devono essere più visibili sul mercato del lavoro con proposte di qualità, devono essere percepiti come utili dai loro potenziali clienti, devono smettere di piangersi addosso e devono promuovere in modo incessante la loro professionalità.

Gli errori e le emozioni

Alcune frasi di atleti che sbagliano in sport come i 100 metri nell’atletica, il golf, il tiro a volo, il tennis. “Ero troppo convinta e mi è successo che negli ultimi 30m mi sono indurita.” “Ho sbagliato per sei volte lo stesso piattello, ho un problema su quelli che vanno a destra.” “E’ inutile in allenamento non sbagliavo mai, oggi invece cinque errori sui primi 50 piattelli.” “Mi sono preparato come le altre volte prima d’iniziare, ho finito il riscaldamento con il drive che dovevo fare alla buca 1, lì però l’ho sbagliato.” “Mi chiedo ancora perchè ho fatto tutti questi errori, quando imbracciavo il fucile non andava mai dove doveva, non puoi gareggiare con questa sensazione.” “Sono andata subito sotto di un set a zero, mi sono così arrabbiata che ho perso la testa.” La cosa interessante di queste frasi è che l’hanno dette atlete/i di alto livello che sanno cosa vuole dire lottare per vincere e per dare il meglio di sé; in questo ultimo fine settimana non ne sono stati capaci e questi sono stati i loro pensieri e stati d’animo. Voglio mettere in evidenza la difficoltà che s’incontra quando pur avendone le possibilità non si riesce a gareggiare come si vorrebbe. Questi atleti sono forti non solo quando vincono ma anche perchè sanno che devono riprendersi da questa frustrazione e ritornare a essere pronti alla prossima occasione, che per molti loro si presenterà nel giro di pochi giorni. Noi saremo utili se siamo in grado di fornire indicazioni per accettare questi risultati negativi e per fare riprendere il cammino positivo verso la prossima gara.

La gestione dell’errore

La competenze nella gestione degli errori è l’arma vincente degli atleti. Tutti gli atleti hanno difficoltà ad accettare l’errore e la loro abilità nel guidarsi in questi momenti determina la differenza fra coloro che forniscono prestazioni ottimali e gli altri. Commettere un errore non è mai un problema, è un fenomeno ricorrente, si potrebbe dire fisiologico della prestazione sportiva. La differenza si determina nella reazione, chi è in grado di accettarlo e di ri-focalizzarsi sulla prestazione successiva scava un abisso tra sé e gli avversari. Pertanto gli psicologi non si devono preoccupare degli errori ma piuttosto di come si comportano gli atleti subito dopo. Prendersi cura di questi aspetti è solo apparentemente facile poichè l’atleta è veramente un blade runner. Bisogna capire e sapere come intervenire e non basta solo il semplice utilizzo di una tecnica psicologica, vi è qualcosa di più e di cui parleremo in una prossima occasione

Educare in mezzo alla natura

Il tema dello sviluppo del bambino attraverso la vita all’aria aperta, la conoscenza della natura e di come viverla è trattato nel nuovo libro “A piedi nudi nel parco” di Anna Oliverio Ferraris e Albertina Oliverio. Fa piacere che anche il mondo accademico ponga questo tema al centro dell’attenzione e che non sia demandato solo a chi si occupa di psicologia dello sport. Se si riuscisse a creare anche da noi un movimento di opinione a favore del recupero della intelligenza motoria e del suo sviluppo non solo attraverso lo sport ma grazie a un più frequente contatto con la natura, si potrebbe orientare la politica delle organizzazioni sportive di ogni tipo (dalle federazioni sportive a quelle dello sport per tutti) a valorizzare e fare praticare questo tipo di esperienza. Anche per i genitori dei bambini una vita più all’aria aperta sarebbe certamente un valore positivo da aggiungere alla loro esistenza. Oltretutto lo stare su un prato è ancora gratuito.

L’intensità in allenamento

L’intensità dell’allenamento significa provare quanto si è capaci a affrontare situazioni difficili, che possono essere simili a quelle delle competizioni. Molti atleti non si servono di questo sistema, i campioni sì. Un esempio, Giovanni Pellielo, vincitore di tre medaglie olimpiche nel tiro a volo in tre olimpiadi ora si allena nel suo campo senza alcuna tettoia che lo protegga dal sole. E’ l’unico in Italia a fare in questo modo; la ragione è che nelle gare internazionali non vi sono le tettoie che riparano dal sole, cambiando quindi la percezione. Per provare cosa significa, basta stare per mezz’ora (la durata di una serie nel tiro a volo) al sole cercando di mantenere un livello massimo di concentrazione quando vi sono al minimo 30 gradi e il piattello corre a 100km all’ora. Capito cosa si intende per intensità dell’allenamento?

Anche loro fanno parte della meglio gioventù

Gli atleti fanno parte di quella che è stata chiamata la meglio gioventù. Ovviamente non si tratta di fornire patenti morali a qualche categoria rispetto ad altre, ma mi serve questa metafora per evidenziare un aspetto che da noi non è preso in considerazione. Si tratta del passaggio da una carriera di atleta a quella di ex atleta, e già la scelta del termine “ex” sta a indicare persone che vengono identificate per cosa non sono più e non per cosa sono o vogliono diventare. Perchè al di là delle parole, l’atleta  finisce un’attività che è stata totalizzante e nella maggior parte dei casi non  è pronto e nonsa come organizzare il proprio futuro. Sono invece convinto che al termine della loro carriera sportiva gli atleti sono un valore importante per una nazione che non deve essere assolutamente perso. Qui al massimo si sente dire “ma quello è ricco, che vuole?” oppure “lo sapeva che sarebbe finita.” Si passa in quella condizione sociale che gli americani molto pragmaticamente hanno definito “from hero to zero.” Da noi non esiste alcun programma in nessuno sport per la qualificazione di queste persone in nuovi ruoli, sono totalmente abbandonati a se stessi. Al massimo qualche azienda gli trova un posto che consente di ricevere un salario come successe per gli Abbagnale. Invece gli atleti sono un valore non solo perchè il loro lavoro li ha formati a essere affidabili, responsabili, scrupolosi e onesti. Dico questo senza retorica, so benissimo che non tutti hanno queste qualità, ma la maggior sì. Noi come paese non li prendiamo in considerazione, non gli forniamo opportunità per imparare nuove professionalità, tanto ormai il loro dovere l’hanno fatto. Chissà perchè nei paesi anglosassoni piuttosto che in Francia non è così, sono dei filantropi? Il problema è sempre lo stesso, le istituzioni non se ne preoccupano perchè non portano più medaglie (come con le donne quando aspettano un figlio) e allora basta, avanti con un altro finchè dura.

Il motivatore continua a diffondersi

Quando durante il raduno della Lega si sente dire alla folla dei militanti: “il filmato che abbiamo visto prima di Braveheart carichiamoci tutti” vuole dire che chi comanda crede che bastino frasi d’incitazione per cambiare; è una concezione bruta dell’essere umano. Bene questi, i motivatori, sono nostri avversari professionali, dobbiamo dimostrare di essere più bravi. Vedilo su: http://tv.repubblica.it/copertina/maroni-e-castelli-fanno-le-foto-col-telefonino/71054?video=&ref=HREA-1

Bianchi e bravi

W Christophe Lemaitre ma non tanto perchè è bianco, sprinter e corre veloce ma soprattutto perchè dimostra che i talenti in atletica esistono anche in Europa. Noi sono anni che non facciamo niente per trovarli e quei pochi che sono bravi si allenano con il proprio coach ma in modo isolato senza coordinamento. Non sono i giovani che non vogliono più sacrificarsi, è la Federazione che non ha più idea e con la scusa che la scuola trascura lo sport ha trovato una giustificazione apparentemente valida alla propria mancanza di progettualità.