Le squadre parlano di progetto e gli allenatori vengono mandati via anche dopo pochi mesi. Questa è l’esperienza attuale del nostro calcio e questi due fatti di realtà ovviamente si contraddicono a vicenda. Un progetto richiede stabilità nell’impiego delle risorse (finanziarie, organizzative e umane) e ha senso solo se queste si coniugano insieme con un’altra variabile rappresentata dal tempo. Spesso gli allenatori vengono mandati via per le bizze dei presidenti e a questo non c’è rimedio. Altra volte perché s’incolpano della mancanza di risultati, come nel caso di Luis Enrique, che a mio avviso non ha compreso del tutto l’ambiente nel quale ha lavorato. Sbaglierò ma mi sembra si sia intristito strada facendo e questo non ha fatto bene a lui e alla squadra. Il Napoli ha chiuso un ciclo basato “sulla novità e entusiasmo” ora deve decidere (il suo presidente) se diventare una grande squadra o restare una buona squadra. L’allenatore sarà sempre lo stesso? In altre parole: è l’allenatore adatto per un livello superiore? Un’altra questione che influenza la durata riguarda lo stress percepito dall’allenatore: Guardiola se ne è andato per riposarsi. E poi ancora, mi sembra sia stato Trapattoni a dire che un allenatore non può restare più di cinque anni sulla stessa panchina, perché s’insinua una sorta di abitudine che deteriora la voglia di migliorarsi. Ovviamente vi è l’eccezione di Ferguson. In sostanza vi sono molti fattori che determinano la durata sulla stessa panchina e qualcuno dovrebbe studiare questi aspetti. Direi che gli allenatori hanno bisogno sempre di nuovi stimoli e così le squadre, quindi alcuni anni (5?) sono già un gran successo poi bisogna cambiare. Questo vale anche negli altri sport di squadra: Messina, Rudic e Velasco per ricordare solo tre nomi non allenano più in Italia da tempo.
Monthly Archive for May, 2012
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più di venti fa Dan Peterson, l’allenatore di basket, scrisse le regole che devono governare le squadre vincenti. Credo che siano assolutamente attuali e continuino a ispirare lo stile di comando dei migliori allenatori.
Favorire la partecipazione
Dare a tutti l’opportunità di esprimere le loro idee, suggerimenti, preoccupazioni e critiche.
Trattare tutti con lo stesso metro
Significa usare sempre gli stessi criteri di valutazione, senza adottare favoritismi.
Premiare i comportamenti altruistici
Quando un giocatore fa un canestro, un altro si è sacrificato per metterlo in quella condizione di realizzazione. Questi comportamenti vanno apertamente riconosciuti: chi si è sacrificato ottiene una gratificazione e l’altro non si monta la testa; entrambi sono contenti.
Smorzare i comportamenti individualistici
Gli atleti che accentrano troppo su di sé il gioco tendono a creare malcontento da parte degli altri. E’ necessario trovare soluzioni tecniche per ridurre questa tendenza ed equilibrare l’apporto di ognuno al collettivo.
Parlare in termini di NOI
L’allenatore influenza notevolmente, con il suo atteggiamento il collettivo: “NOI abbiamo perso”, “NOI vogliamo fare questo”.
Utilizzare rinforzi positivi
Significa ridurre l’enfasi su cosa non va e concentrare l’attenzione su ciò che invece funziona bene. La critica costruttiva comporta evidenziare errori o mancanze specifiche, evitando osservazioni di tipo globale.
Fissare obiettivi
Il gruppo deve sapere dove vuole arrivare. Determinare mete precise è il elemento di coesione. E’ necessario che siano: chiari e precisi, realistici e condivisi.
Disciplinare
In un gruppo non tutti possono fare le stesse cose. E’ compito dell’allenatore definire per ogni atleta il suo ruolo e specificare le mansioni e le responsabilità che questo comporta.
La Juventus ha vinto e Conte è il suo leader.Conte è stato un insieme di molte abilità. Dirò qualcosa che può apparire scontato ma che è alla base degli allenatori vincenti: sapere adattare le proprie convinzioni alle caratteristiche dei giocatori, che a loro volta devono avere fede nelle sue idee. Per me Conte è stato un martello-flessibile. Significa sapere battere ogni giorno con determinazione sul sistema che si vuole insegnare ma nel contempo sapere modificare le idee in funzione di come vengono giocate le partite e dei risultati. Secondo, non si può essere solo impositivi, bisogna entrare nel cuore dei giocatori. Anche in questo caso direttività e affettività si devono integrare, se prevale una dimensione a discapito dell’altra succedono disastri, la squadra percepirà l’allenatore come troppo distante o come un dodicesimo compagno. Non a caso Conte ha detto che per lui sono necessari in ordine d’importanza mente, cuore e gambe.
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Ancora sul caso di Delio Rossi che sarebbe più corretto chiamare caso Fiorentina, stimolato dalla lettura sul web e su twitter dei tanti commenti a sostegno dell’allenatore. Si è detto molto, principalmente, che chiunque avrebbe reagito in quel modo se portato all’estremo da calciatori che ormai sono solo bambini viziati a cui è concesso tutto, rappresentati da quello reale che ha provocato Rossi diventando il simbolo negativo di una intera categoria professionale. Ha sbagliato chi ha provocato e altrettanto chi ha reagito, questa semplice verità va ribadita con chiarezza perché in caso contrario ogni forma di convivenza civile viene a meno.
1. Da parte dei calciatori vanno rispettate le regole e le persone, se ciò non avviene la società su indicazione dell’allenatore deve intervenire a punire chi vuole abbandonarle.
2. L’allenatore deve bloccare sin dall’inizio quegli atteggiamenti e comportamenti che prima ancora di disunire la squadra boicottano il suo lavoro.
3. L’applicazione di questo modo di agire è alla base della vita di qualsiasi gruppo: a scuola, a casa o nel lavoro.
4. Utilizzare come giustificazione la chiave interpretativa che addossa solo allo stress prolungato queste reazioni è inutile e fuorviante.
5. Non è esente da responsabilità neanche la società sportiva che non si accorta di quanto avveniva o forse ha deciso di lasciare solo l’allenatore.
Questa è a mio avviso la riflessione da fare, senza scendere invece nel moralismo di prendere le difese di qualcuno. La questione è che tutti: società, allenatore e giocatori hanno sbagliato, si pongano piuttosto la domanda riguardante come evitare che situazioni di questo tipo si ripropongano.
Tutte e due sono stanche. La Juve può avere l’ansia di dovere chiudere e finire come il Barcellona: tirare ma non segnare. Il Milan ha l’energia di chi di colpo crede che l’impossibile possa realizzarsi. Vediamo chi dei due sarà più bravo a gestire questa tensione che, siamone consapevoli anche noi, sarà pazzesca per i prossimi 10 giorni.
Il gesto di Delio Rossi è ovviamente da condannare sicuramente rappresenta l’esito finale di un grado di tensione diventato per l’allenatore intollerabile. L’aspetto più grave è la mancanza di controllo che non è giustificabile in nessun modo e e che dimostra la difficoltà di un uomo a gestire in modo adeguato situazioni di tensione. In questi si sente dire “si è persa la testa”, un po’ come nel caso della testata di Zidane a Materazzi. Certo il gesto attrae l’attenzione ma bisogna conoscere cosa è che è portato a questa reazione, perché se Rossi vuole capirsi e cambiare è dagli antecedenti che deve capire. Come mai non li aveva metabolizzati? Ne era consapevole? Spesso dico che gli allenatori di calcio avrebbero bisogno di servirsi di un consulente psicologo che li aiuti a vivere e gestire meglio meglio la loro carriera professionale. Se Rossi l’avesse avuto questo probabilmente non sarebbe successo. Anziché coltivare troppo spesso solo il loro orgoglio, perché non riflettono che la loro esposizione pubblica non li rende più forti ma più vulnerabili. Perché i manager l’hanno capito e vivono questa opportunità come un benefit che l’azienda offre loro?