Monthly Archive for July, 2011

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Le competenze psicologiche dell’allenatore

Mentre è abbastanza evidente la richiesta che gli atleti fanno di sviluppare programmi di preparazione psicologica, è invece quasi del tutto inesistente la stessa richiesta da parte degli allenatori. Al contrario molti tecnici si ritengono anche bravi psicologi, poggiando questa convinzione sul fatto di essere stati atleti e di capire i propri giovani perchè anche loro hanno vissuto le stesse esperienze. Altri pensano che sia sufficiente un buon programma di allenamento e che il resto non conta nulla e se poi non si emerge è perchè l’atleta non aveva sufficiente motivazione o talento. E quando si ha una difficoltà questa verrà risolta allenandosi di più. Mi chiedo perchè i manager ritengono i programmi di autosviluppo personale degli incentivi che l’azienda offre loro per migliorare professionalemente mentre i nostri allenatori percepiscono questo stesso percorso come una diminuzione della loro leadership, oppure la bollano con un “non ci credo”, come se si trattasse di un atto di fede.

Di nuovo nuoto

Alle tre notizie precedenti va aggiunta quelle relativa al ritorno della Manaudou alle gare. Quali doti: voglia di vincere, tenacia e dimostrare a se stessa che vale ancora. E’ un rischio molto grande quello che ha deciso di correre, ma evviva a chi vuole tornare. Ritornando alla Consiglio e al suo attacco di panico: non si poteva fare qualcosa per prevederlo e prevenirlo, perchè bisogna lasciare che gli atleti provino queste esperienze così debilitanti? Spero che la frase del medico della squadra: “si è messa paura ma sta bene; è solo una cosa psicologica” rappresenti solo una difficoltà a trovare le parole giuste, in caso contrario sarebbero di una estrema superficialità.

Nuoto e mente

Le notizie di oggi sul nuoto offrono molte idee sul rapporto che la mente ha con questo sport, solo apparentemente fatto di tecnica, forza e resistenza fisica. Ai mondiali sono state vinte due medaglie da atlete italiane (Cagnotto e Grimaldi) e questo è facile da commentare, tutto ha funzionato bene e la mente è servita a esaltare la loro abilità tecnica e la competitività. Peggio è andata a un’altra nuotatrice (Consiglio) nella 10km in mare aperto fermata da una crisi respiratoria dovuta a un attacco di panico mentre nuotava in mezzo al gruppo. Esperienza terribile, l’atleta è stata subito presa e fatta uscire dall’acqua. Ciò rivela la nostra fragilità, non basta essere nell’elite mondiale per evitare queste crisi … gli psicologi dovrebbero rifletterci e gli atleti dovrebbero essere più preparati a prevenirle. Sono espisodi che in forme diverse possono capitare a tutti quando si è in situazioni di competitività o in ambienti instabili. Terza esperienza, fra pochi giorni una nuotarice di 61 anni (Nyad) farà a nuoto da Cuba alla Florida 165km in mare aperto, senza alcuna protezione dagli squali. E’ una nuotarice professionista e vuole dimostrare che anche a questa età è possibile realizzare imprese di questo tipo. Non c’è ovviamente nessuna ragione per compiere imprese di questo tipo, le si fa semplicemente perchè si è spinti da una motivazione interiore. Dimostrano quanta forza mentale ci sia in noi se solo l’alleniamo che non appartiene solo ai giovani ma è dentro ognuno, basta volerla trovare. Leggi: http://diananyad.com/

La tenacia delle calciatrici giapponesi

Il Giappone ha vinto il campionato del mondo di calcio femminile. A mio avviso è stata la vittoria della pazienza e della tenacia, perchè le giapponesi non hanno mai rinunciato a ragionare anche quando si trovavano in svantaggio o subivano il gioco delle avversarie. Le americane oltre le due reti segnate hanno preso due pali a dimostrazione che per vincere conta anche la fortuna . Nel calcio il momento è importante e quando non si sa sfruttare queste fasi di gioco in cui il goal sembra che possa arrivare in ogni istante, se le avversarie non perdono la testa è facile che possano loro mettere a segno una rete. Infatti, è quello che è successo, due opportunità e due goal, segnati alla fine del tempo. Le americane erano sicure di vincere e hanno giocato dominando molte fasi di gioco ma senza essere efficaci. I rigori hanno poi dimostrato che le giapponesi continuavano a essere concentrate mentre le americane non erano affatto preparate a questa ulteriore fase di gioco. Incredule, forse, di doversi giocare il titolo in quel modo. Per loro la partita era già finita e invece quello è stato il momento decisivo. Non l’hanno capito.

FIFA Women’s World Cup 2011

Un consiglio, guardate stasera la finale Giappone-USA. esquadra USA si è detto molto, la rivelazione è il Giappone che come dice il suo allenatore non è una squadra alta o fisicamente forte ma quando una si muove, tutte si muovono. L’articolo che riporto è molto interessante per spiegare l’approccio mentale negli sport di squadra: http://espn.go.com/espnw/news-opinion/6769697/women-world-cup-japanese-team-measured-heart-not-height

Geografia della psicologia dello sport in Europa

Durante il congresso europeo è stato eletto il nuovo direttivo della Federazione Europea di Psicologia dello Sport (Fepsac) ed è emerso chiaramente che i paesi leader e anche più disponibili a sostenere dei candidadti sono in prevalenza nell’Europa centro-ovest. Infatti presidente e segretario generale sono in Belgio e Olanda, altri membri provengono dalla Francia, Germania, Danimarca e nuovamente Olanda e Belgio. Altre zone dell’Europa sono rappresentate dall’ Italia (tesoriere) e dalla Grecia; non vi sono membri dell’Europa dell’est. Lo stesso master europeo di psicologia dello sport ha il maggior numero di studenti provenienti dagli stessi paesi con l’aggiunta della Gran Bretagna e Scandinavia. E’ sempre l’economia che regola questo tipo di prevalenze, che mi auguro non si accentuino altrimenti molti nostri colleghi avranno grandi difficoltà nell’esercitare la loro professione se non faranno parte della nazioni più ricche.

Evoluzione psicologia dello sport

La notevole evoluzione che sta avendo la psicologia dello sport la si può notare anche dai titoli dei libri che vengono pubblicati in lingua inglese. Alcuni esempi: Essential readings in sport and exercise psychology, Social psychology in sport, Xritical essays in applied sport psychology psychology, Psychobiology of physical activity, Inside sport psychology, Motivating people to be physically active, Deviance and social control in sport, Sport psychology in practice, Founations of sport and exercise psychology, Self- efficacy in sport, Attention and motor skill learning, Adavnces in sport psychology, Doing sport psychology. Sono tutti pubblicati dallo stesso editore e non sono certamente tutti. Quanti ne avete letti…

Congresso europeo psicologia sport

Si tiene in questi giorno il XIII° Congresso di Psicologia dello Sport a Madeira. 600 partecipanti, di cui 12 italiani. Non sono più i tempi in cui le presenze erano ancora più ridotte però siamo sempre pochi rispetto alle presenze degli altri paesi.

Calciatori e non limoni da spremere

Inutile questa Coppa America di calcio dove si vedono calciatori che sono l’ombra di se stessi e valori in campo ribaltati. Tutti lo sanno che non si può giocare dopo campionati e coppe faticose ma si continua. I tifosi protestano e fischiano. I calciatori nonostante i loro soldi non contano niente, nessuno che abbia protestato neanche chi potrebbe permetterselo, meno male che preferiscono giocare male piuttosto che giocare bene grazie a qualche aiuto farmacologico.

Da grande vuoi fare l’atleta?

Mi sto rendendo sempre più conto che i ragazzi di 19/20 anni che sono atleti spesso non sono consapevoli di cosa comporti intraprendere questa carriera e soprattutto se quanto fanno è sufficiente per verificare se ne posseggono le caratteristiche. Ad esempio, un adolescente che si allena 15 ore alla settimana in un determinato sport individuale può aspirare con questo tipo d’impegno a diventare un giovane di livello internazionale? L’ho chiesto a molti ma in generale la risposta è: “Non so, io faccio quello che mi dice l’allenatore.” Con una carriera che se va bene dura 10 anni, come si fa a non sapere se ciò che faccio oggi è sufficiente (oltrechè valido) per raggiungere ciò che voglio? Altra domanda: “Hai 20 anni che vuoi fare? Vuoi continuare in questo modo che probabilmente ti permetterà di gareggiare a livello assoluto in Italia? O vuoi qualcosa di più?” La risposta il più delle volte è il silenzio. E allora: perchè gli allenatori non spiegano che con quel tipo d’impegno e di ore di allenamento si può raggiungere questo livello e invece, con un altro allenamento e più ore si può aspirare a un livello di prestazione superiore. Secondo me, non lo fanno semplicemente perchè non ci pensano e non per scelta o forse perchè temono di perdere quei pochi atleti che hanno. Quale che sia la ragione è comunque un peccato che si faccia così poco per rendere i nostri giovani più consapevoli di cosa comporti intraprendere la carriera di atleta. Anzichè ripetere il ritornello che sono pigri, perchè non cominciamo a pensare che forse si annoiano perchè non hanno davanti a loro sfide motivanti.