Monthly Archive for June, 2010

La presunzione di sapere e lo scoprire di non sapere

La questione è come mai calciatori professionisti e affermati non sappiano entrare in campo con la determinazione e la concentrazione richieste dalla partita da affrontare. Questo è accaduto all’Inghilterra e prima di lei all’Italia. Ma ancor più grave è la constatazione che l’allenatore sembra non essersi accorto di questa condizione psicologica della sua squadra. Forse gli allenatori sono diventati così presuntuosi da convincersi che basta la loro presenza a infondere coraggio? Forse perché guadagnano troppo e, quindi, in base a ciò ritengono di non essere criticabili e per questo non mettono accanto a sé persone che potrebbero rappresentare la coscienza critica che gli manca.  Al contrario, le esperienze di leadership ad alto livello nel mondo del business insegnano proprio questo, che accanto ai grandi leader vi è sempre un’altra persona esperta con cui si confrontano apertamente e che verifica che le loro idee siano attuate. Forse questi nostri condottieri dovrebbero imparare a servirsi di aiutanti in grado di sapere se i loro calciatori sono disposti a giocare fino in fondo o sono pronti a mollare un centimetro alla volta fino alla fine. Perché è proprio questa la differenza tra vincere e lasciarsi dominare.

Messaggio da John Salmela

Uno dei principali psicologi dello sport di livello mondiale, John Salmela, mi ha mandato questo messaggio:

Cari amici i nostri pensieri sono sempre con voi, ma forse avete bisogno di allenatori e giocatori più giovani, e di nuove idee, come un intenso mental training e migliori relazioni con gli allenatori.

Grazie John.

Cannavaro senza ritegno

L’autocritica non è prevista per Cannavaro. Bastava un semplice “ho giocato male, mi spiace”. Invece no!!! La colpa è del sistema che è da cambiare. Meno male che va in Dubai.

Sei domande a Lippi

La disfatta è una prova irrimediabilmente negativa e non è certamente prodotta dal caso. La disfatta non è determinata da un minuto di follia ma è la messa in atto di una sequenza di errori ripetuti per un periodo di tempo abbastanza lungo.

La disfatta dell’Italia ai mondiali va quindi ricercata in una serie di scelte che si sono rivelate sbagliate e nel non avere voluto vedere o affrontare i problemi che hanno provocato.

Ho formulato sei domande che da leader di una squadra mi sarei posto per evitare di giungere a una conferenza stampa in cui l’unica cosa che avrei detto è “mi assumo tutte le responsabilità.” Troppo scontato.

1° domanda

Se prendo i giocatori di una squadra che è arrivata settima nel campionato, che per tutto l’anno sono stati abituati a perdere e a subire gli avversari e che ora sono stanchi e demoralizzati potrò fargli cambiare mentalità in poco tempo?

2° domanda

Se prendo quelli che hanno vinto il mondiale, anche se molti di loro non hanno fatto un campionato brillante, riuscirò a dargli fisico, voglia e idee? Come so che hanno ancora la volontà di vincere?

3° domanda

Se prendo giocatori con nessuna o poca esperienza internazionale e li inserisco in una squadra di anziani cosa può succedere?

4° domanda

Se a questo gruppo gli faccio fare due partite amichevoli, se non vincono ci saranno delle ripercussioni sulla fiducia in loro stessi?

5° domanda

Se questo è un gruppo di qualità media e senza campioni (anche per gli infortuni di Pirlo e Buffon) li ho scelti almeno aggressivi come dei leoni e li sto allenando a dimostrarlo sul campo?

6° domanda

Giacché sono il leader indiscusso, un condottiero, mi sono mai chiesto se nel mio staff c’era qualcuno in grado di rappresentare la coscienza critica, di fornirmi pareri diversi o invece  erano tutti yes man?

I CT e le emozioni

Un tema ampiamente discusso ieri riguarda l’insubordinazione dei calciatori francesi e inglesi nei confronti dei loro CT, nonché le risposte che questi ultimi hanno fornito  ai media. Mi sembra che l’impostazione dominante sia stata di ricercare a chi attribuire la colpa. Molti si sono espressi trovandola nei calciatori, basandosi sul fatto che questa squadre hanno giocato molto male e quindi chi è stato in campo non può certo avere ragione. Questo gioco a scaricabarile mi pare avvilente poiché è una spiegazione a posteriori di un prestazione negativa in cui si cerca un capro espiatorio per poterlo castigare. Non basta affermare che la propria porta è sempre aperta a tutti, come ha detto Capello, perché se nessuno viene a parlare può essere che tutto vada bene ma anche che lo si ritenga inutile. Lo stesso Domenech è stato  spesso criticato anche prima dei mondiali, cosa ha fatto per mantenere alto l’umore dei suoi atleti e la coesione della squadra? Nel business management viene insegnato un modo concreto per conoscere i propri collaboratori che si chiama management by walking around (MBWA), vuol dire che il capo va in mezzo ai suoi a parlare per conoscere le loro idee e la loro condizione emotiva. Non è una novità, lo faceva già Napoleone quando stava in mezzo al suo esercito durante le campagne di guerra per dimostrare che era lì a condividere le stesse fatiche. Immagino che in queste squadre sia mancato questo aspetto di vicinanza emotiva, senza la quale diventa facile accusarsi vicendevolmente per salvare se stessi. Finisco con una citazione ancora di Napoleone che diceva: “Vinco le mie battaglie anche con i sogni dei miei soldati.”

Lippi l’ottimista

Nonostante il dispiacere per il pareggio, Lippi parla in modo ottimista. Lo rivelano l’uso delle parole durante la conferenza stampa. Infatti, gli ottimisti attribuiscono le prestazioni negative o non soddisfacenti a fattori instabili, specifici e interni o esterni. Allora, avere preso un goal al primo tiro in porta è sfortuna, quindi, un fattore esterno, specifico e casuale. Così come la mancanza di lucidità mentale, elemento interno e instabile,  è una difficoltà che si è manifestata in questa partita ma che già dalla prossima può essere corretta. Diversamente la mancanza di capacità è invece un fattore stabile e globale, che investe quindi l’abilità a giocare in un determinato modo, se questa fosse stata la spiegazione naturalmente non potrebbe essere corretta in pochi giorni, poiché l’acquisizione di una abilità richiede più tempo.

La confusione mentale in campo

L’Inghilterra dimostra come l’assenza di un leader in campo non consente ai calciatori di controllare lo stress, che invece è dilagato durante la partita con l’Algeria.  Nessuno li dirige con l’esempio e loro sono andati allo sbando. Passaggi indietro, nessuna voglia tirare in porta e scarsa aggressività agonistica sono le prove del timore che ha paralizzato i calciatori inglesi. Non è bastato un condottiero come Capello a risolverlo; il problema è mentale. Si può pensare che con una bella dormita passa tutto ma sarebbe stato meglio affiancare alla squadra uno psicologo dello sport per risolvere la paura di sbagliare che ha attanagliato la squadra.

CT e critiche

Le critiche rivolte a Capello nella scelta del portiere per la seconda partita del mondiale come pure le molte altre ai CT delle nazionali mi suggeriscono una domanda: “e se i CT fossero pagati per ricevere critiche e la loro bravura stesse nella capacità di assorbirle e di continuare a fare ciò di cui sono convinti?” Giacché conta vincere e non il carattere dell’allenatore, avrà ragione solo chi va avanti. Per cui, per intanto, sappiamo che Domenech ha torto. E’ un calcio spietato in cui non viene accettata l’indipendenza decisionale dei CT ma ogni scelta viene messa in discussione dai media prima di vedere i risultati.

La noia e il sudore

Lo stato d’animo ricorrente guardando le partite è la noia. Il mondiale sembra infiammato solo da pubblicità spettacolari mentre sul campo di gioco non succede quasi niente. Ho guardato il Brasile nella speranza che succedesse qualcosa di interessante, ma non è successo, lo stesso con il Portogallo, peggio ancora con la Spagna chiusa nella sua presunzione di gioco. E’ stato detto che il carattere non basta per vincere le partite ed è vero. Però almeno la squadra italiana ha mostrato che è capace di sudare, non è sufficiente ma è sicuramente necessario.