Spesso si sente dire che i giovani atleti mancano di continuità. Ma cosa significa davvero questa affermazione? E soprattutto: è davvero così?
La parola continuità non ha un solo significato: cambia in base al contesto in cui la applichiamo. La forma più evidente è quella legata alla motivazione: quando questa vacilla, può capitare di arrivare in ritardo agli allenamenti, di affrontarli con poca energia, o addirittura di non volerli proprio fare.
Ci sono poi ragazzi che, pur essendo presenti e regolari, non mostrano il desiderio di migliorarsi. Alcuni fuggono dalla fatica, altri pensano che il talento possa bastare a coprire le mancanze. Un altro gruppo di atleti, invece, lavora con costanza e disciplina, ma lo fa con lo stesso spirito con cui si fanno i compiti a casa: per dovere, senza passione, e quindi senza quel guizzo che fa la differenza.
Infine, ci sono quelli che non riescono a digerire gli errori. Appena inciampano, si scoraggiano, perdono fiducia in se stessi e smettono di essere competitivi.
Ecco perché parlare di continuità non significa etichettare i giovani atleti come svogliati o incostanti in senso assoluto: significa piuttosto chiedersi in che modo ciascuno di loro mostra discontinuità. La domanda allora diventa: a quale di queste categorie appartengono i tuoi atleti quando la loro mente e il loro atteggiamento smettono di essere costanti?




