Molti atleti incontrano difficoltà nel seguire un programma di allenamento mentale, e questo accade spesso a causa di pregiudizi e resistenze che nascono da una visione distorta del lavoro sulla mente.
Tra le obiezioni più comuni si sentono frasi come:
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“Non ne ho bisogno.”
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“So già come gestire ansia e concentrazione.”
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“Ho capito che la mente è importante, quindi so già come fare.”
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“È noioso mettersi a fare esercizi di respirazione o visualizzazione.”
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“Tanto sotto pressione non riesco comunque a farlo.”
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“So che dovrei pensare alla gara prima che inizi, ma se lo faccio mi agito.”
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“Tanto non funziona.”
Questi pensieri rappresentano vere e proprie barriere mentali che impediscono di riconoscere il valore dell’allenamento psicologico come parte integrante della preparazione sportiva.
Molti atleti credono che la mente si “autogestisca”, o che basti avere carattere per saper affrontare le pressioni della competizione. Ma sapere che la mente è importante non significa saperla allenare.
Proprio come la tecnica o la forza fisica, anche la mente ha bisogno di allenamento costante, metodo e disciplina. Concentrarsi, gestire l’ansia, mantenere la fiducia o ritrovare la calma dopo un errore non sono capacità innate, ma abilità che si costruiscono nel tempo, attraverso esercizi mirati.
Il pregiudizio più diffuso nasce dal fatto che i risultati dell’allenamento mentale non sono immediatamente visibili: non si misurano in chilogrammi sollevati o in secondi migliorati. Tuttavia, i benefici emergono nei momenti decisivi — nella capacità di restare lucidi sotto pressione, di reagire agli imprevisti, di mantenere equilibrio emotivo e continuità di rendimento.
Riconoscere che la mente è un muscolo da allenare non è un segno di debolezza, ma di maturità sportiva. Significa dare alla propria performance una base più solida e completa, in cui corpo e mente lavorano in armonia, trasformando il potenziale in risultati reali.





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