Per quali ragioni ancora oggi molti allenatori ritengono di svolgere solo un lavoro tecnico senza percepire il valore del loro ruolo d’insegnante e quindi della componente mentale del loro lavoro.
1. Formazione tradizionale
- Molti percorsi di abilitazione mettono ancora al centro tattica, tecnica e preparazione fisica, lasciando poco spazio a psicologia, pedagogia o comunicazione.
- L’allenatore “nasce” come tecnico, e fatica a vedersi come educatore.
2. Cultura sportiva diffusa
- In molti contesti (soprattutto giovanili), il risultato in campo viene percepito come l’unico metro di giudizio.
- Questo porta a valorizzare schemi e prestazioni immediate, piuttosto che la crescita della persona.
3. Pressione di società e famiglie
- Dirigenti e genitori spesso chiedono “vittorie” e non “sviluppo umano”.
- L’allenatore si sente misurato solo su classifiche e successi, non sull’impatto educativo.
4.Scarsa consapevolezza del proprio ruolo
- Alcuni allenatori non riflettono sull’influenza che esercitano: non si rendono conto che, oltre a trasmettere tecnica, stanno formando carattere, motivazione e capacità relazionali.
5. Timore o mancanza di strumenti
- Lavorare sulla dimensione mentale richiede competenze di comunicazione, gestione delle emozioni e leadership empatica.
- Chi non è stato formato in questo senso può sentirsi insicuro e preferire restare nell’area “confortevole” della tecnica.
6. Visione riduttiva dello sport
- C’è ancora chi considera lo sport solo “prestazione e risultato” e non anche un ambiente educativo che modella persone e cittadini.
In sintesi, la ragione principale sta nella combinazione tra formazione tecnica limitata, pressione esterna sui risultati e scarsa consapevolezza educativa.





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