La gioia del successo è reale ma dura poco

Se si osserva il livello più alto della piramide dei bisogni elaborata dallo psicologo Abraham Maslow — quello dell’autorealizzazione — oppure si riflette sugli insegnamenti dei filosofi stoici dell’antica Grecia, o ancora si legge l’opera fondamentale dello psichiatra e sopravvissuto ai campi di concentramento Viktor Frankl“Uno psicologo nei lager”, si arriva a una conclusione condivisa: ciò che motiva profondamente l’essere umano non è il successo materiale in sé, ma il bisogno di dare un significato alla propria vita. Trovare uno scopo, qualcosa di più grande a cui dedicarsi, è ciò che ci guida davvero e ci sostiene nei momenti difficili.

Nel contesto dello sport, questo si traduce nel fatto che, pur essendo le vittorie e i trofei momenti importanti e gratificanti, non bastano da soli. Come sottolinea il golfista Scottie Scheffler, la gioia del successo è reale, ma dura poco — pochi minuti, forse qualche ora — e non è in grado di appagare i desideri più profondi del cuore, quelli legati all’identità, alla crescita personale, alla connessione con gli altri e al senso della propria esistenza.

Non si tratta quindi di sminuire l’importanza della vittoria: gli atleti sanno bene quanto essa conti. Tuttavia, riconoscono anche che vincere, proprio perché è un’esperienza passeggera e legata a fattori esterni, non può essere l’unico motore che alimenta il loro impegno e le loro prestazioni. Per mantenere un alto livello di motivazione e raggiungere l’eccellenza in modo duraturo, è necessario che ci sia qualcosa di più profondo: un perché più grande, un senso che dia valore a tutto ciò che fanno, anche nei momenti in cui la vittoria non arriva.

0 Risposte a “La gioia del successo è reale ma dura poco”


  • Nessun commento

Contribuisci con la tua opinione