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Non bastano solo 10.000 ore per avere successo

Il talento da solo non basta servono anche 10.000 ore di pratica per avere successo non solo nello sport ma in qualsiasi altro campo di applicazione. Questa idea si va sempre diffondendo dalla BBC inglese ai quotidiani (la Repubblica di oggi). In realtà la questione è più complessa e articolata rispetto a come viene divulgata. Intanto è necessario che queste ore vengano distribuite in un lungo periodo di tempo. Se si parla di giovani (come nel caso dello sport e dei musicisti) sono anche necessari almeno 10 anni. Poichè all’inizio si spenderà un tempo ridotto di circa 300 ore all’anno, che dopo i 15/16 anni diventano 600/700 ore, 900 a 18/19 anni e 1200 negli anni successivi e così di seguito sino a fine carriera. La distribuzione nel lungo periodo del tempo dedicato a un’attività  è un fattore essenziale, altrimenti l’allenamento o qualsiasi altra forma di apprendimento non sarebbero altro che attività nevrotiche e alienanti. Inoltre per diventare esperti servono dei maestri eccellenti e non basta la sola applicazione. Nessun impara da solo e l’eccellenza si raggiunge con insegnanti di alto livello, in termini di abilità a guidare i giovani e mantenere elevata la loro motivazione. Le famiglie costituiscono un altro tassello fondamentale nella formazione, poichè forniscono non solo il sostegno economico ma anche il sostegno affettivo. Sappiao che esistono genitori particolarmente negativi e opprimenti, ciò non toglie che un ambiente sociale stabile sia un fattore che gli atleti, diventati adulti, riconoscono che sia stato importante per loro. Infine va detto che 10 anni possono anche non bastare, ad esempio per entare nella squadra olimpica US sono necessari 12/13 anni da quando si è iniziato a praticare il proprio sport. In altre parole, noi adulti non dobbiamo mai dimenticare che l’impegno di un giovane è un processo a lungo termine. Pertanto, pensare di avere un campione in casa quando un ragazzo/a è  all’inizio dell’adolescenza serve solamente a determinare inutili illusioni che quasi sicuramente la realtà farà crollare, con conseguente negative sulla fiducia del giovane nelle sue capacità.

Lo sviluppo del tennista

Stage #4 CONSOLIDATING   in tennis - Ages: Girls 12-14, Boys 13-15
Psychological factors:

  1. Maintaining enthusiasm and enjoyment  both in practice and competition despite  the ups and downs experienced during this  stage.
  2. The development of an identity as a “tennis  player”. intrinsically motivated to train and  compete.
  3. Becoming resourceful in competitive situations.
  4. Developing a “going for it” mentality “ hitting the right shot under pressure” regardless of the score or situation.
  5. Enjoys the pressure of competition.
  6. Has an awareness of the importance of different situations and what is required.
  7. Developing a “no excuse” style – always tries to find a way to be competitive mentality.
  8. Developing an understanding of the critical factors that effect the ideal performance state.
  9. Developing the ability to manage arousal levels through proper breathing and relaxation techniques.
  10. Acquiring the skills to control the pace of the match via both an understanding of match momentum and the use of routines and rituals.
  11. Displaying positive self-talk, belief, thinking and body language.

 

Shan, Charlotte e Petra: le donne che vincono gli uomini

Shan Zhang, Charlotte Dujardin e Petra Zublasing sono tre donne che hanno battuto gli uomini nelle più importanti gare internazionali. La prima nel 1992 alle olimpiadi di Barcellona nel tiro al piattello, la seconda alle olimpiadi Londra nel dressage (ed è l’ultima di una lunga serie di vincitrici, poichè agli uomini la vittoria manca dal 1988) e la terza, italiana, ha appena stabilito il record del mondo nella carabina. Nel tiro a volo, perchè ciò non avvenisse più, dalle olimpiadi successive donne e uomini hanno gareggiato separatamente. Niccolò Campriani (oro e argento a Londra nel tiro) e fidanzato di Petra sintetizza così le qualità delle atlete: “Alle olimpiadi se vuoi sapere chi è il più veloce devi vedere i 100 metri maschile, se vuoi sapere chi è il più forte devi vedere la boxe maschile. Ma se vuoi vedere chi è il più forte di testa, devi andare alla finale di tiro. E guardare le ragazze”. Nel medagliere italiano molte atlete sono fra coloro che hanno più vinto: dai dream team della scherma, al tennis femminile, al windsurf con Alessandra Sensini, la canoa con Josefa Idem e il nuoto con Federica Pellegrini che hanno conquistato una numero di titoli che nessun collega maschio ha mai ottenuto. Purtroppo sono poche le ragazze che fanno sport rispetto ai ragazzi, bisognerebbe invertire la tendenza per cui il picco di partecipazione si ha a 11 anni e poi è una costante decrescita. Non vi sono politiche sportive per favorire la partecipazione delle ragazze allo sport e ridurre il fenomeno della dispersione dei talenti. Come in tanti altri campi domina “il fai da te”.

Noi siamo ciò che facciamo quotidianamente

Aristotele diceva che “Noi siamo ciò che facciamo costantemente. L’eccellenza quindi non è un atto ma una abitudine.” Infatti lo sport è pieno di storie di giovani che sono stati rovinati dal loro talento (fisico e tecnico), perchè hanno pensato che questo dono fosse sufficiente per avere successo e quando poi la vita li ha messi di fronte alle prove decisive loro hanno perso e sono scomparsi. Perchè noi siano ciò che facciamo quotidianamente, studio, lavoro e per gli atleti allenamento. Quindi l’eccellenza nasce dall’abitudine a allenarsi con una dedizione pressochè totale. Chi non capisce che questo è la strada da percorrere quotidiamente crede di sopperire con il proprio talento naturale; purtroppo è solo un’illusione che alle prime asperità verrà demolita.

C’è relazione tra eccellenza e talento?

Si parla spesso di talento come di qualcosa fortemente collegato all’eccellenza delle prestazioni. Spesso parlare di talento serve invece come criterio per eliminare degli atleti, perchè secondo qualcuno non lo posseggono oppure viene utilizzato per cercare il pelo nell’uovo scordandosi dell’importanza dell’uovo. A questo riguardo il pensiero di un campione come Michael Phelps può servire a riflettere su quanto l’atteggiamento mentale dell’atleta sia l’aspetto decisivo per allenarsi a fornire prestazioni eccellenti.

“Le persone dicono che ho un grande talento, ma la mia opinione è che l’eccellenza non ha nulla a che fare con il talento. Riguarda invece in che cosa scegli di credere e quanto sei determinato a crederci. La mente è più potente di ogni altra cosa”. Michael Phelps

Le ragioni per insegnare ai cani a salire sugli alberi

La ricerca del talento si è spesso basata su un’idea di base che può essere così riassunta: perchè insegnare a un cane a salire su un albero, quando le scimmie lo fanno così bene. Apparentemente il ragionamento non fa una grinza e di conseguenza gli scienziati si sono messi a ricercarle e a scartare i cani. Poi sono sorti i primi problemi, per cui ad esempio i lemuri pur trovandosi a loro agio sugli alberi sono troppo lenti, altre sono troppo indisciplinate e aggrediscono e così via . Nonostante queste limitazioni ancora oggi molti selezionano gli atleti/scimmie sulla base delle  caratteristiche fisiche e motorie che mostrano in un determinato momento. La natura ci porta però anche altri esempi che di solito non vengono considerati. La storia del bruco che diventa farfalla o quella del cigno che da giovane non è proprio uno splendore come lo è da adulto insegnano che l’apparenza, quindi come si è in un determinato momento dello sviluppo, può non corrispondere a come si diventerà.  Queste storie ci devono insegnare che la ricerca sul talento non si deve basare sulla semplice somma delle capacità possedute in un detereminato momento ma deve essere impostata su un tragitto a lungo termine, perchè non è detto che i più bravi a 14 anni lo saranno anche a 16. Impegno e dedizione sono due dimensioni che di solito non fanno parte delle dimensioni esaminate, ma sono considerate come le più importanti dagli atleti di alto livello, dovrebbero invece cominciare a essere prese in considerazione. L’altro aspetto decisivo per avere successo come atleta consiste nel valutare il grado di miglioramento di un giovane durante una stagione agonistica. Atleti inizialmente meno competenti possono giungere a gareggiare con quelli più bravi grazie a una maggiore disponibilità a imparare dall’allenamento. Per cui non scartiamo per definizione i cani, potrebbero riservarci sorprese interessanti.

Nuove frontiere dello sport: il trasferimento del talento

Un articolo di ieri sulla Gazzetta dello Sport di Andrea Buongiovanni, parla di metamorfosi a proposito di quegli atleti di alto livello che sono capaci di passare dal loro sport di origine a un altro. E’ un aspetto nuovo dello sport di oggi che evideniza come vi siano abilità trasversali che possono servire a primeggiare in sport diversi. Nell’articolo di ieri si parla del discobolo inglese di 21 nni Lawrence Okoyo (68,24) che è impegnato nelle selezioni per entrare in una squadra di football americano. In Italia abbiamo avuto i casi di Maria Canins (fondo/ciclismo), Francesco Postiglione (nuoto/pallanuoto) e Antonella Bellutti (atletica/ciclismo/bob). L’atleta italiao più di successo in questo cambiamento resta ancora oggi Cesare Rubini (pallanuoto e basket) che è entrato nella Hall of Fame d ambedue questi sport.

Il trasferimento del talento avviene quando un atleta abbandona o riduce il suo coinvolgimento in uno sport in cui ha investito in modo significativo il suo tempo, lavoro e risorse e sposta il suo sforzo in  un altro sport che per lui è nuovo ma simile a quello precedente per le abilità di movimento, le richieste fisiologiche e gli aspetti tattici. Un esempio di questo tipo di cambiamento è il passaggio dalla ginnastica ai tuffi, oppure gli sport possono essere ancora più simili come è il caso del passaggio dalla pallavolo al beach-volley. Vi sono infine atleti più dotati e versatili che possono muoversi fra sport tra loro piuttosto dissimili per abilità richieste e fisiologia, ad esempio nuoto e boxe o canoa e judo o canottaggio e salto in alto.

 

 

Cristiano Ronaldo tennista?

Fenomeno indiscutibile col pallone tra i piedi ma, secondo qualcuno, ipotetico big anche con la racchetta in mano. Cristiano Ronaldo viene scelto da Boris Becker come un giocatore di calcio che potrebbe esprimersi bene anche nel tennis: ”Il tennis è uno sport molto impegnativo - ha detto Becker alla Cnn -dove ci vuole fisico. Per questo penso che Ronaldo sia tagliato per questo sport anche per la prontezza nei riflessi”.

Totti e Pirlo: gli ultimi campioni

Francesco Totti e Andrea Pirlo sono un po’ come l’ultimo dei Mohicani, al termine della loro carriera potranno dire di essere stati gli ultimi campioni che il calcio italiano ha prodotto. Abbiamo sempre avuto grandi campioni come Mazzola, Rivera, Bulgarelli, Baggio, Mancini, Del Piero, Vialli, Zola per ricordarne solo alcuni ma ora sono finiti. Chi dobbiamo ringraziare di questo stato delle cose, direi coloro che sono al centro del calcio e quindi gli allenatori e i preparatori fisici. La mia idea di come ciò sia avvenuto è semplice. Arrigo Sacchi ha rivoluzionato il calcio, introducendo il calcio totale però questo tipo di gioco era interpretato dai forti campioni che giocavano nel Milan, così come prima era stato introdotto dalla nazionale olandese ma in cui giocavano alcuni dei più forti calciatori del mondo. Quando il sistema si è diffuso si è imbarbarito per cui con i ragazzi si è speso molto più tempo a insegnare la tattica e a prepararli fisicamente anzichè insegnargli la tecnica. Così facendo è quasi impossibile che emerga un giovane, perchè Rivera e Maradona sarebbero stati scartati come troppo gracili o forse non avrebbero mai giocato a calcio in un club perchè si sarebbero annoiati.

Allora sarebbe il momento che gli allenatori mettano da parte i loro narcisismi tattici e i preparatori fisici le loro idee da allenatori di giocatori di football americano  e dedichino molto più tempo nell’insegnare la tecnica del calcio, che è prendere, passare e tirare la palla.

 

Ma quale ricerca del talento!

Se questo è vero, come credo che sia, siamo spacciati:

Cosa si dovrebbe fare invece?
Gli uffici delle risorse non fanno più cultura del lavoro. Noi siamo diventati della fabbriche di collocamento. Le aziende non ci chiedono più una bella consulenza dove per un profilo potevamo andare a dire che quel profilo non era quello giusto. Adesso chiedono solo nomi, nomi, nomi. Sanno che il primo non accetta, il secondo dubita, il terzo prende. Le aziende devono cominciare a fare girare offerte di lavoro etiche, concrete opportunità, e non delle prese in giro che per ovvi motivi molti sono costretti a accettare. Dobbiamo tornare a costruire dei canali dove filtrano solo offerte etiche. Noi dobbiamo cominciare a fare di nuovo un po’ di cultura del lavoro, proprio dove non ce n’è più. (da: http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/notizie/dettaglio/confessioni-di-un-recruiter-stiamo-rovinando-il-lavoro/4236839?ref=HREC2-1)

Questo avviene anche nello sport, se si scrive una email al presidente piuttosto che al segretario non ottieni mai una risposta. La risposta l’avrai se qualcuno ti presenta a queste persone. E’ il sistema italiano basato sulla cooptazione per conoscenza diretta e non per competenza. A pochi interessa il tuo curriculum, quello che serve è l’amicizia perché non si è interessati alla funzione (in questo dello psicologo dello sport) ma si stabilisce un rapporto di lavoro per fare un piacere a un amico. La guerra dei talenti di cui tanto si parla in Italia non esiste, domina la cultura del familismo o del prenderti per fame, tanto gli psicologi che hanno bisogno di lavorare sono tanti. Quando dal mondo del lavoro a quello sport si diffondono queste modalità d’impiego si può solo andare via.