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Le abilità di un allenatore per creare una strategia

In questi giorni si sta parlando molto della differente concezione del calcio che hanno Simeone e Guardiola si è parlato addirittura di un confronto fra un calcio preistorico e un calcio nuovo. La strategia e la tattica sono uno dei centri d’interesse principali di un allenatore e da decenni se ne continua a parlare quando ricordiamo il calcio totale olandese, quello inglese di una volta “palla lunga e pedalare e il “catenaccio” italiano. Ognuno ha una propria idea ma per comprendere le scelte di un allenatore verso un determinato tipo di gioco è di aiuto conoscere cosa si debba intendere per strategia e a questo proposito riporto il pensiero di Henry Mintzberg (1989) uno dei principali studiosi di scienze aziendali.

“L’elaborazione di una strategia è un’operazione affascinante, che non si limita a fissare le semplici coordinate di quella che normalmente viene definita programmazione. … formai nel ‘71 un team di lavoro sul tema …nel periodo in cui le nostre ricerche stavano per essere concluse mia moglie modellava oggetti di ceramica nel seminterrato di casa e fu durante una sua presentazione in occasione di una mostra retrospettiva della sua produzione che mi resi conto che tutto ciò che lei diceva corrispondeva a quello che era già stato affermato da esperti di strategia di impresa. Così decisi di creare la metafora creare artigianalmente per analogia e per indicare le difficoltà che si incontrano nell’elaborare la strategia di un’impresa dinamica:

  • Spesso i manager leader sono costretti ad agire in un’atmosfera di caos calcolato per elaborare le loro strategie, operazione complessa e necessariamente collettiva.
  • Le strategie sono a un tempo programmi per il futuro e modelli operativi ricavati dal passato.
  • Non sempre le strategie sono frutto di calcolo. A volte sono – in varia misura – spontanee.
  • Le strategie di successo seguono percorsi incredibilmente strani.
  • Gestire una strategia significa elaborare sapientemente teoria e pratica, conoscere l’arte di controllare e di apprendere, saper conciliare stabilità e cambiamento.

Nelle leggende popolari del Medio Oriente si racconta di un uomo chiamato Nasrudin che, un giorno, cercava qualcosa per terra. Passò un amico e gli chiese: “Hai perso qualcosa, Nasrudin?” “La chiave” rispose Nasrudin. Allora l’amico si inginocchiò accanto a lui e lo aiutò nella ricerca. Dopo qualche minuto gli chiese: “Dove ti è caduta, esattamente, la chiave? “In casa”, rispose Nasrudin. “Ma allora, perché la cerchi qui?” “Perché  qui c’è più luce che dentro casa”.   … I manager leader di razza sono indubbiamente quelli nella cui mente le proprietà positive dell’emisfero cerebrale destro (impressione, intuito e sintesi) si coniugano armonicamente con quelle dell’emisfero cerebrale sinistro (lucidità, logica, analisi). Ma la scienza della direzione aziendale farà pochi passi avanti se i manager e i ricercatori continueranno come Nasrudin, a cercare la chiave del successo alla luce di un’analisi sistematica. Troppi interrogativi rimarranno senza risposta nell’oscurità dell’intuizione”.

Il Bayern ha sbagliato l’approccio mentale alla partita

Partiamo dalle statistiche estremamente a favore del Bayern contro l’Atletico Madrid: 33 tiri a 7, 72% di possesso palla a 28%, 23 cross su azione a 2. Solo leggerle rende ben chiaro l’andamento del match dell’Allianz Arena. Bayern a tratti incontenibile, con ritmi infernali, pressing continuo e stupende sovrapposizioni sulle fasce laterali. Cross, inserimenti, tiri da fuori di due bombardieri come Alaba e Vidal. Se non per 90 minuti, almeno per 75. Eppure l’Atletico è rimasto in partita, ha sofferto enormemente, ha colpito alla prima occasione buona e ha resistito anche nell’infuocato finale, mostrando una notevole capacità di resistere al gioco della squadra tedesca.

Nelle due semifinali il Bayern ha tirato 52 volte, ma ha segnato solo due goal. Dal punto di vista mentale il furore agonistico del Bayern è stato un ostacolo alla finalizzazione delle sue azioni, che consiste nel fare goal agli avversari. Questo avviene quando una squadra è prigioniera della bellezza del suo gioco, che trasforma più in un’azione estetica che in una centrata sull’ottenere un vantaggio determinato dalle reti messe a segno. Vuol dire che i calciatori hanno mancato in determinazione e tenacia nel raggiungere l’obiettivo della qualificazione alla finale. Certamente è bello divertire il pubblico e produrre del bel gioco ma bisogna anche vincerle le partite che sono decisive. Questa lo era e l’atteggiamento in campo della squadra è stato sbagliato.

Allenare emotivamente i giovani

Simeone, l’allenatore dell’Atletico Madrid, dopo la finale di Champions League persa ha detto che “si può vincere perdendo se dai tutto te stesso”. E’ un concetto chiave per lo sviluppo di un atleta e dovrebbe venire insegnato sino dal primo giorno che un bambino o una una bambino entrano iniziano uno sport. Al contrario si vedono giovani che appena commesso un errore si arrabbiano con se stessi o si deprimono. Sappiamo che ciò succede per la congiunzione di motivi diversi: i genitori sono distratti e non danno molto peso a questi comportamenti, gli allenatori sono più concentrati a insegnare la tecnica piuttosto che a allenare emotivamente gli atleti e i giovani stessi pure non sono bravi a esprimere le loro emozioni e a prendersi cura dei loro stessi in modo positivo. E così osservo quotidianamente tennisti che sbattono la racchetta a terra do po un errore alternano stati d’animo di rabbia e depressione contro di sé o in altri sport in cui fatto un errore ne ripetono altri perché si fanno dominare dalla frustrazione.  Per cambiare questo modo di vivere le sconfitte e gli errori servono genitori e allenatori più consapevoli del loro ruolo di allenatori emotivi e della necessità di lavorare con i loro figli e atleti a modificare questi comportamenti. Non bisogna imporre di certo imporre le nostre soluzioni di adulti ai loro problemi. Bisogna invece ascoltare in modo empatico e non per giudicare, così  che si sentano sostenuti e rispettati nei loro stati d’animo. Solo dopo questa fase si dovrebbe iniziare a parlare di cosa si potrebbe fare di diverso, dando tempo ai ragazzi di esprimere le loro idee e a noi di esprimere le nostre. Agire in questo modo richiede tempo e spesso è per questa ragione che gli adulti non seguono questa strada. Bisogna però essere consapevoli che se si agisce spesso in questa maniera i giovani cominceranno a pensare che le loro reazioni non interessano a genitori e allenatori e peggio ancora continueranno a comportarsi con se stessi in modo negativo. Se vogliamo che i nostri ragazzi sviluppino l’abilità di gestire con efficacia e soddisfazione i loro stress quotidiani dobbiamo spendere del tempo a insegnare loro come comportarsi, sentire e pensare in quei momenti.