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Serie A: La lezione appresa

Si è appena concluso il campionato di calcio di Serie A. A mio avviso la caratteristica che lo ha contraddistinto è rappresentata, rispetto agli anni passati, dalla presenza di un maggior numero di squadre competitive. Almeno 5 squadre si sono giocate i posti più importanti, quelli per entrare in Champions League. Al di là dei loro errori, per cui ad esempio la Juventus avrebbe potuto non trovarsi in questa posizione all’ultima giornata di campionato, se non avesse perso troppo punti con squadre certamente meno forti, ma che in ogni caso grazie alla svogliatezza della squadra hanno vinto partite importanti.

La lezione da imparare è che chiunque ti può battere se non entri in campo determinato a vincere. Se questo approccio è realistico, allora il campionato è competitivo e richiede che le squadre più forti giochino sempre con l’intensità necessaria.

Se questo modo di vivere la partita diventasse l’approccio abituale alle partite di campionato, è molto probabile che anche quelle giocate nelle coppe europee sarebbero affrontate con una maggiore consapevolezza e un equilibrio emotivo migliore.

 

I pensieri di Sarri sullo scudetto

”Questo gruppo vince da anni, con allenatori diversi, quindi il merito è suo, coadiuvato dalla società. Io come tutti i bambini da grande sognavo di vincere lo scudetto. Non l’ho vinto da grande, l’ho vinto da vecchio, però l’ho vinto.” Sarri in conferenza stampa.

In queste poche parole c’è tutto: la realizzazione del sogno del bambino e il riconoscimento del valore dell’organizzazione.

Quanti allenatori, e non, hanno questa consapevolezza? E la vogliono mostrarla e condividerla in pubblico?

 

La mentalità rigida della squadra causa sconfitte

Il problema più grave per una squadra e per un atleta è quello di pensare di essere bravo.

Questa convinzione mette immediatamente le persone in una condizione di maggior soddisfazione e alimenta l’aspettativa che  tutto andrà bene così come loro si aspettano, quindi vinceremo.

Sentirsi in forma e avere la consapevolezza delle proprie capacità personali e di squadra è certamente importante. Spesso le squadre pensano che questa condizione sia sufficiente per ottenere il successo. Non capiscono che è necessaria ma non sufficiente.

Per giocare ad alto livello, bisogna avere le capacità di una squadra di alto livello. Poi bisogna dimostrarlo sul campo.

Arrigo Sacchi dice che la motivazione deve essere eccezionale, perchè su questa base il calciatore è continuamente impegnato a migliorarsi. Questo è ciò che Carol Dweck ha chiamato una mentalità orientata alla crescita. Chi non la dimostra è destinato ad avere come dicono gli allenatori dei blocchi mentali. In altri termini, questi giocatori hanno una mentalità rigida che li porta a pensare che il loro talento e la forma fisica di quel momento siano sufficienti per essere efficaci nel proprio lavoro.

Errore grave grave, equivale per uno studente a scrivere squola o quore con la q. Entreranno in campo privi della motivazione di giocare al meglio delle loro capacità. Entreranno, invece, con la convinzione che giocheranno bene così in modo spontaneo, e di fronte alle difficoltà del match non saranno pronti ad adattarsi, poiché non lo avevano previsto.

E’ facile perdere la testa, basta ragionare in questo modo.

I numeri della rovina del calcio italiano

I numeri della rovina del calcio italiano:

  • 443 calciatori hanno concluso nel 2017/18 attività nelle squadre giovanili
  • 292 giocano fuori quota in Primavera e Serie D
  • 129 sono professionisti in Italia
  • 20 sono all’estero
  • 10 sono nelle rose della Serie A
  • 16 i calciatori – di 21 anni esordienti in Serie A 2018/19
  • 12 sono stranieri
  • 4 gli italiani (Zaniolo e L. Pellegrini, Roma. Matarese, Frosinone. Sottil, Fiorentina)
  • 9 su 24 le partite vinte (10 perse) dalle squadre italiane nella Youth League

Italian job: allenatore vincente di calcio

20 anni fa Marcello Lippi, Fabio Capello e Giovanni Trapattoni avevano vinto il campionato italiano (Juventus), spagnolo (Real Madrid) e tedesco (Bayern di Monaco). Quest’anno il triplete dei campionati si è ripetuto a favore di Massimiliano Allegri (Juventus), Antonio Conte (Chelsea) e Carlo Ancelotti (Bayern di Monaco).

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Il problema della Serie A è anche un problema di allenatori troppo garantiti

Le partite del nostro campionato dimostrano troppo spesso che concetti quali:

  • Andare oltre i propri limiti e mantenere elevati standard
  • Eccellere per se stessi
  • Rivaleggiare per superare gli altri

non fanno parte della cultura attuale delle squadre se non con rare eccezioni.

La questione è come mai a calciatori professionisti e affermati non venga insegnato a entrare in campo con la determinazione e la concentrazione richieste dalla partita da affrontare. Gli allenatori pensano che la loro squadra giocherà in un certo modo e poi questo non avviene. Forse rispetto ai grandi allenatori italiani del passato quelli attuali sono diventati così presuntuosi da convincersi che basta la loro presenza a infondere coraggio? Forse perché guadagnano troppo e sono troppo garantiti dal punto di vista economico, quindi, in base a ciò ritengono di non essere criticabili e per questa ragione non mettono accanto a sé persone che potrebbero rappresentare la coscienza critica che gli manca.

Al contrario, le esperienze di leadership ad alto livello nel mondo del business insegnano proprio questo, che accanto ai grandi leader vi è sempre un’altra persona esperta con cui si confrontano apertamente e che verifica che le loro idee siano attuate. Forse questi nostri condottieri dovrebbero imparare a servirsi di collaboratori in grado di sapere se i loro calciatori sono disposti a giocare fino in fondo o sono pronti a mollare un centimetro alla volta fino alla fine. Perché è proprio questa la differenza tra vincere e lasciarsi dominare.

Campionato duro per chi non vuole retrocedere

Facile parlare della mentalità vincente Juventus, dei suoi record e di quanto può ancora fare nel girone di ritorno. Altrettanto facile parlare dei risultati positivi della Roma e del Napoli che inseguono a notevole distanza ma sono comunque al secondo e terzo posto con una media punti significativamente superiore a quella dell’anno precedente.

Più difficile è capire/sapere come entreranno in campo le 7 squadre che hanno ottenuto da 12 a 8 sconfitte e da 7 a 2 pareggi. Con che attegggiamento si entra in campo sapendo che si sono perse la metà delle partite? A questo proposito stasera si gioca Sampdoria (18 punti e 8 sconfitte) Udinese (20 punti e 10 sconfitte): giocheranno per vincere o per non perdere?  Quest’anno queste 7 squadre hanno sempre perso contro le prime in classifica, quindi l’unica speranza di restare in Serie A risiede nel vincere gli scontri con le dirette avversarie. Ma una squadra che normalmente perde e raramente pareggia riuscirà a giocare con un atteggiameno vincente quelle poche partite ma decisive partite? Infine, i commentatori dicono che ci si potrebbe salva con meno di 40 punti quindi questa squadre dovranno ottenere più punti nel girone di ritorno rispetto a quello di andata. Per chi sarà impossibile?

 

Quando vengono segnati i goal decisivi?

Dai risultati di una ricerca che ho condotto su tre campionati di Serie A è emerso che l’ultima mezz’ora di gioco non è solo il periodo in cui vengono segnate più reti (68% del totale) ma è anche la fase in cui  il 44,2% dei goal sono decisivi per il risultato finale.  Mentre, solo 16,3% dei goal decisivi sono effettuati nel primo tempo.

In questa prima giornata di campionato (in attesa ancora della partita di oggi) questo dato è solo parzialmente confermato. Infatti su 19 segnate, 7 reti sono nel periodo tra i minuti 61 e 75 e solo 1 nell’ultimo quarto d’ora. Al momento questi dati fotografano solo quanto è successo nella prima giornata ma nel corso del campionato andranno presi in considerazione, per capire se vi è un cambiamento nelle squadre in termini di mentalità e preparazione fisica per ridurre la percentuale di goal decisivi  messi a segno nelle fasi finali delle partite, goal che con l’avvicinarsi della fine della partita e la stanchezza fisica e mentale sono più difficili da recuperare.

Inizia il campionato di calcio: vince chi gestisce meglio le emozioni

Inizia una nuova stagione di calcio, quest’anno ancora più importante perché si concluderà con la coppa del mondo in Brasile. Vi è quindi un’ulteriore ragione per i calciatori a voler giocare al proprio meglio, con l’obiettivo di rientrare tra i 22 convocati per il mondiale sudamericano. In ogni caso, ciascuna squadra avrà la sua meta da raggiungere: per qualcuna sarà non retrocedere, per altre entrare in zona UEFA o confermare il risultato della stagione  precedente,  per altre ancora sarà vincere il campionato o entrare in Champions League. Al di là del livello tecnico-tattico posseduto, ogni squadra potrà mostrare il proprio valore solo se i giocatori in campo, la panchina, l’allenatore e il presidente dimostreranno un livello elevato di controllo emotivo. La gestione dello stress agonistico riguarderà tutti, nessuno  escluso.  Siamo stati spesso campioni di stress. Abbiamo il record di allenatori licenziati durante il campionato da presidenti  che non sanno contenere le proprie paure o il proprio narcisismo ferito anche da pochi risultati negativi. Siamo anche un campionato in cui si commettono troppi falli e non è vero che i calciatori non saprebbero evitarli, perché quando giocano a livello europeo ne commettono molti di meno. In Italia si sentono più liberi di non rispettare le regole, protetti da tifosi, presidenti e allenatori sempre pronti ad attribuire la colpa agli arbitri, a una congiura contro la loro squadra o al non avere capito che il calcio prevede il contrasto fisico. Gli allenatori sapendo che metà di loro durante il campionato sarà esonerato dall’incarico rischiano di vivere in modo drammatico i risultati negativi della loro squadra,  per molti si tratta di un lavoro a termine, certamente molto ben remunerato, ma rischioso come salire un ottomila di cui si conosce il numero di vittime che miete ogni anno. Nonostante queste incertezze è però assolutamente necessario che i protagonisti del calcio sappiano mantenere il sangue freddo, ricordando a se stessi gli obiettivi della squadra e come raggiungerli. Autocontrollo, gestione efficace dello stress, aggressività leale e rispettosa dell’avversario devono essere alla base dei comportamenti sul campo; in altre parole vuol dire sapere gestire le proprie emozioni in un contesto, la partita, che è invece una situazione altamente emotiva. Quindi le squadre devono vivere per 90 minuti questa condizione mentale mostrandosi capaci di gestirla con efficacia. Questa è a mio parere la sfida che ogni squadra  deve prepararsi ad affrontare e vincere ogni giornata del campionato, oltre al risultato finale dell’incontro.

Leggilo su:  http://www.huffingtonpost.it/../../alberto-cei/al-via-la-serie-a-una-sfida-alle-emozioni_b_3805629.html

Il progetto dei club di calcio: comprare uno straniero

L’Italia non è un paese per giovani neanche in quel particolare mondo del lavoro che è il calcio. Secondo i dati dell’ Associazione Italiana Calciatori nella stagione 1999-2000 i tesserati  stranieri erano 249, nel 2002-2003, 535, nel 2007-2008, 846 (in serie A percentuale stranieri/italiani 38,72%), nel 2009-2010, 1032 (in Serie A percentuale stranieri/italiani 40,24%), nel 2011-2012 in A 47,82%, nel 2012-2013 in serie A 50,26%  per un totale di 774 calciatori. Quindi per la prima volta più stranieri che italiani.  In sostanza fra chi dopo tante selezioni potrebbe giocare in serie A solo uno su due potrà realizzare questo obiettivo, perchè l’escluso sarà rimpiazzato da uno straniero. E’ un altro esempio di una nazione che non investe sui giovani e che per forza di queste scelte è probabilmente destinata a fallire. Infatti, si può dire con certezza che dalla scuola al calcio non si mettono risorse umane, finanziarie e organizzative significative per invertire questa tendenza. Quale effetto psicologico determina questa cultura: anno dopo anno insegna che vi sono limiti insuperabili, che competenza professionale e volontà di riuscire non sono decisive, e che si è scelti sulla base di decisioni finanziarie che non hanno nulla a che vedere con il successo sportivo. Tanto è vero che i club pure imbottiti di stranieri non riescono più a vincere in nele coppe europee.