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Anche uno studio dimostra che lo sport fa bene all’economia

Si sono appena concluse le Olimpiadi di Rio, la stagione del calcio è già iniziata, siamo alla vigilia dell’inizio dei Giochi Paralimpici e in Tv c’è poco tempo da sprecare per non perdere le migliaia d’ore di sport che vengono trasmesse. Sembra di vivere in un mondo popolato da sportivi, da individui in buona forma psicofisica. Invece, non è così perché lo sport viene molto più visto rispetto a quanto sia praticato. Non a caso la sedentarietà o inattività fisica oggi rappresenta nel mondo la quarta causa di morte, sebbene sin dal 1950 vi siano dati di ricerche che dimostrano i benefici di uno stile di vita fisicamente attivo.
Ora sappiamo anche quanto costa a ogni Stato questo modo vivere. Lancet ha pubblicato a luglio uno studio condotto in 142 Paesi rilevando che il costo globale della sedentarietà è di 67,5 miliardi di dollari. È la prima volta che uno studio economico si occupa di una popolazione così ampia, che racchiude il 93,2 di quella mondiale. Questa stima globale si suddivide in: 31,2 miliardi di spesa sanitaria, di cui 12,9 pagati dai privati (assicurazioni) e 9.7 miliardi spesi dalle famiglie, mentre 13,7 miliardi derivano dalla perdita di produttività. Secondo i dati Coni-Istat del 2014 in Italia i sedentari sono oltre 24 milioni, pari a quasi il 42% della italiani. Percentuale che ha il suo picco al Sud con il 56,2%, mentre al Nord scende al 31,7% e al Centro al 41%. La ricerca appena pubblicata su Lancet rileva che nel nostro Paese i costi diretti sono 906.680.000 milioni di dollari (di cui 707.210.000 a carico del sistema sanitario, 32.267.000 dei privati e 163.202.000 sostenuti dalle famiglie) mentre quelli indiretti sono 498.021.000.
Sono cifre enormi che devono obbligare in Italia a valutare appieno il valore del movimento: nell’elaborare le strategie e le politiche sociali di questo paese, chi ne ha la diretta responsabilità deve essere pienamente consapevole che l’inattività fisica è ancora oggi un problema misconosciuto, associato principalmente alle malattie cardiovascolari, al diabete, al cancro al seno e al colon richiede un’azione globale a lungo termine, se non per amore di una buona salute dei cittadini almeno per ragioni di buona economia. I risultati di questo studio dovrebbero servire a stimolare lo sviluppo nel nostro Paese di una politica di promozione e diffusione dell’attività motoria in ogni età, riducendo così in modo evidente i 24 milioni di sedentari.

6.000.000 di obesi

Nel nostro paese vi sono 6milioni di obesi che costano al servizio sanitario nazionale 8miliardi di euro. E’ un dato con un costo esistenziale impressionante e un costo economico pari alle manovre finanziarie del governo. Non sono costi una tantum, sono costi che si ripropongono ogni anno. Non sono dati nuovi e non è nuova la passività dei governi italiani di fronte a questo problema, che ha dimensioni che di anno in anno aumentano e a cui nessuno prova a dare risposte significative. Mentre si parla molto del cancro e si trovano soldi per finanziare giustamente la ricerca delle cause e delle terapie per curarla e di come prevenirlo; si parla e si fa poco per l’obesità perchè nella mente di tutti è considerato come un problema che dipende solo dalla volontà delle singole persone ad avere uno stile diverso. In altri termini, non si fa nulla perchè le persone stesse sono causa del loro male. Lo stesso discorso vale per la sedentarietà, pur essendo la quarta causa di morte, è vissuta come un problema del tempo libero, della pigrizia personale a fare quel po’ di movimento quotidiano che permetterebbe di procurare dei benefici al proprio sistema cardiocircolatorio e più in generale migliorerebbe il proprio benessere psicofisico. Quindi giacchè a nessuno interessa che siamo obesi, almeno godiamo ammazzandoci mangiando.

(per saperne di più: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-58047582-7e0a-489c-8647-5c5de075ad73.html)

Lo sport può curare la crisi della sanità

Pubblico l’articolo che Mauro Berruto, allenatore della nazionale di pallavolo, ha scritto per La Stampa a favore della pratica sportiva come mezzo per ridurre le spese sanitarie

Un euro investito per favorire la pratica, ne farà risparmiare 3 allo Stato
L’allarme lanciato dal premier Monti sulla futura insostenibilità del sistema sanitario nazionale è stato un cazzotto nello stomaco. Ha colpito duro, facendoci presente che per la concausa di tre fattori (crisi economica, invecchiamento della popolazione e conseguente aumento di richiesta di salute) un nostro diritto costituzionale rischia di diventare utopia. Per affrontare questo tema serve oggi uno sguardo orientato al futuro, che provi a vedere quello che altri non vedono: chi si concentra sui problemi non vede mai le soluzioni!
Esiste uno strumento potentissimo, un farmaco miracoloso: la pratica sportiva. Se un’azione politica, che è l’arte del definire la gerarchia delle cose importanti, considerasse le migliaia di pagine di evidenze scientifiche che dimostrano che una regolare pratica sportiva riduce l’incidenza e i relativi costi delle più classiche patologie del terzo millennio in maniera quantificabile, la soluzione sarebbe evidente.
La pandemia di inattività fisica che apre la porta a malattie cardiovascolari, obesità, diabete, a forme di patologie oncologiche, a disturbi della personalità è il vero nemico. Il rapporto fra investimento in pratica sportiva e conseguente risparmio del servizio nazionale non è un’opinione ma un dato scientifico: un euro investito ne fa risparmiare almeno tre, nel lungo periodo, al sistema sanitario nazionale. Oggi si parla di tagli lineari o di tasse sulle bibite gassate ma il vero investimento sul nostro futuro è quello di appassionarci, insieme ai nostri figli, all’attività fisica come consuetudine quotidiana. Succede, senza andare troppo lontano, in tutti i Paesi scandinavi. Sarà un caso che questi sono fra i pochi Stati europei con la AAA delle agenzie di rating? Immaginate la bellezza di una via italiana al wellness, fondata sui principi della nostra cultura alimentare e dello sport praticato, non solo guardato.

Il nostro Paese avrebbe le caratteristiche per diventare una start-up mondiale, un punto di riferimento globale. Serve un atto rivoluzionario che collochi l’educazione alla pratica sportiva nella gerarchia delle cose importanti a partire dalla scuola primaria, il luogo dove si imparano le passioni. Una regolare attività fisica non è oggi solo un atto individuale. È dovere civile, esprime rispetto nei confronti della comunità. È il modo più efficace di difendere il nostro diritto costituzionale alla salute. Il parametro per misurare il grado di civiltà di un paese è l’eccellenza che si vede nei suoi ospedali, scuole e nello sport. Potremmo essere quel tipo di Paese, se solo lo credessimo e volessimo. Lo sport è strumento di socializzazione, integrazione, è palestra di regole, scuola di fatica, disciplina, merito. Tutti d’accordo: queste sono parole chiave di cui oggi l’Italia ha fame.

Tuttavia c’è una novità dirompente: lo sport è un investimento economico che può salvare il nostro sistema sanitario nazionale. Non c’entrano, per una volta, le parole agonismo, prestazione, vittoria: saranno meravigliosi effetti collaterali di un numero aumentato di sportivi praticanti. La priorità è migliorare il nostro capitale umano e convincerci che l’ennesimo Rinascimento del nostro Paese, in termini economici ed emozionali, passerà anche attraverso la cultura sportiva.