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La disfatta della nazionale di calcio e del suo staff

Da dire “vinceremo il mondiale” alla eliminazione da parte della Macedonia del Nord c’è un abisso di differenza che dovrebbe essere capito. Le interpretazioni di oggi parlano di una squadra priva di personalità servendosi di parole quali sbiaditi interpreti, regia lenta, rinuncia alla rete, fatica inutile e tiri sgangherati. Mancini nelle dichiarazioni aveva toccato vari tasti dell’immaginario. Ha parlato di partita della vita ma ha detto anche di stare tranquilli e di mantenere la concentrazione. L’effetto positivo di questi messaggi in campo non si è visto, non basta attaccarsi al solita frase che sottolinea l’impegno dei calciatori, poiché se questo sforzo collettivo non determina il goal non serve a niente. Una squadra si valuta sui goal che segna e non certo sulle occasioni costruite. Regola confermata in questa partita, dove i macedoni hanno fatto un tiro, un goal.

Alla squadra è mancato l’entrare in campo con l’atteggiamento di chi vuole sfruttare ogni occasione in modo decisivo. E’ l’atteggiamento che nello sport s’intende con “istinto del killer”, che si riferisce a quando calciatori esperti giocano con determinazione e tenacia agonistica. Sappiamo che ogni competizione prevede la paura di non riuscire a esprimersi al meglio, di non essere in grado di corrispondere alle aspettative dei tifosi e di se stessi; non è questo il problema. Tuttavia, lo può diventare se nei giorni precedenti la partita non si prende in considerazione questo fattore, chiedendosi come squadra: “E se fossimo troppo tesi cosa dobbiamo fare?”. Questo a mio avviso dovrebbe essere lo scopo di questi raduni pre-partita degli azzurri fornire delle pillole di fiducia e di determinazione di cui servirsi nel gioco.

Perchè molti non vogliono essere i padroni del loro destino?

Molti oggi citano le parole che Roberto Mancini ha detto alla squadra prima della finale contro l’Inghilterra: “Siamo noi i padroni del nostro destino”.

I commenti le hanno definite parole emozionanti, vero perchè è proprio questo tipo di consapevolezza che troppo spesso determina risposte emotive catastrofiche.

Questa consapevolezza risuona dentro ogni persona nei momenti cruciali della propria vita. E’ un concetto che rivela in che misura un individuo vuole essere autodeterminante  e autonomo nelle proprie decisioni. Sono alla base della teoria dell’autodeterminazione, secondo cui le persone realizzano i loro obiettivi proprio perchè sanno che migliorano grazie al loro impegno.

C’è un ma che spesso ostacola la propria affermazione, consiste nel sapere che pur fornendo la prestazione migliore di cui si è capaci, il risultato finale non è comunque garantito. In altre parole, si deve fare del proprio meglio nella consapevolezza che si può comunque perdere una partita di calcio o, nella vita, non ottenere ciò per cui ci si è impegnati. Perchè ci sono anche gli altri, c’è la difficoltà del compito e talvolta serve anche un pizzico di fortuna.

Non tutte le persone sono disposte a impegnarsi a correre questi rischi e, quindi, riducono il loro coinvolgimento in quello che fanno oppure si comportano in modo impulsivo, agendo senza pensare, mentre altre diventano invece eccessivamente analitiche, ponendosi troppe domande e rallentando la loro azione.

Le persone che non accettano questa sfida, scelgono di rifugiarsi nell’idea consolatoria che hanno fallito perchè non si sono impegnate abbastanza. E’ un modo per non infierire sulla stima di se stessi.

 

Lo sport è un diritto di tutti

E’ veramente sconcertante assistere alle polemiche nate dalla dichiarazione di Roberto Mancini, ct della nazionale di calcio, per avere affermato che bisogna pensare prima di parlare e che lo sport è un diritto come la scuola e il lavoro. Aggiungerei anche che bisogna conoscere prima di parlare.

Bisogna sapere ad esempio che la sedentarietà è la quarta causa di morte e che secondo quanto documentato dalla rivista Lancet, nel nostro Paese i costi diretti di questa inattività motoria sono 906.680.000 milioni di dollari (di cui 707.210.000 a carico del sistema sanitario, 32.267.000 dei privati e 163.202.000 sostenuti dalle famiglie) mentre quelli indiretti sono 498.021.000.  Sono cifre enormi che dovrebbero obbligare la politica italiana a valutare appieno il valore dello sport. Chi ne ha la diretta responsabilità deve essere pienamente consapevole che la mancanza di attività fisica e di sport è ancora oggi un problema misconosciuto, altrettanto grave come lo sono le malattie cardiovascolari, il diabete, il cancro al seno e al colon e richiede un’azione globale a breve e a lungo termine, se non per amore di una buona salute dei cittadini almeno per ragioni di buona economia.

Va aggiunto che lo sport non è una questione collegata alla richiesta di pochi che vogliono svagarsi e a cui è stato sottratto un gioco ma rappresenta il modo per mantenere uno stile di vita fisicamente attivo e sviluppare il benessere individuale e della comunità.

A questo riguardo la sua centralità è stata ribadita da un Memorandum d’intesa firmato a maggio tra il Comitato olimpico internazionale (CIO) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), incentrato sulla promozione e la difesa della salute attraverso lo sport e l’attività fisica durante questo periodo.

Inoltre, se volgiamo la nostra attenzione ai giovani in età scolare e a quelli con disabilità è evidente che l’accesso allo sport non deve diventare un ulteriore modo per discriminare alcuni rispetto ad altri. Così come lo è già stato lo scorso anno scolastico per molti studenti, e le loro famiglie, la difficoltà di accesso a internet e il non possedere almeno un computer per seguire le lezioni da casa.

Roberto Mancini: “Mi piace fare l’allenatore, Mi piace essere affamato ogni giorno”

Leggi la lunga e interessante intervista a Roberto Mancini su: http://www.guardian.co.uk/football/2013/feb/22/roberto-mancini-interview-angry-every-day