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Quando apparenza e pregiudizio vanno insieme

Il valutare le persone in relazione al loro apparire porta a commettere errori grossolani nella valutazione delle loro capacità. Per cui si può avere una considerazione molto positiva di persone che si vestono bene, hanno una auto costosa o hanno un fisico curato. La positività che attribuiamo a queste caratteristiche ci portano ad attribuire a queste persone altre capacità, magari che sono oneste, intelligenti, brave nel lavoro e così via. C’è un effetto alone per cui tendiamo a considerarle affidabili più di altri che non appaiono nello stesso modo. Questo è un chiaro esempio di quando l’apparenza inganna e purtroppo due fatti di questi giorni ci hanno evidenziato ancora una volta quanto facilmente ci lasciamo influenzare dagli aspetti esteriori della vita. Il primo fatto è il dato dell’OCSE per il quale gli italiani sono un popolo di nuovi analfabeti. Siamo infatti ultimi fra i paesi più sviluppati nelle competenze linguistiche e penultimi in matematica La conclusione è tragica: solo uno su tre ha competenze per vivere nel XXI secolo. Eppure apparentemente questo non sembra così evidente ma è un paese in cui il 75% degli imprenditori non legge un libro all’anno, meglio spendere per una nuova casa o un nuovo SUV o per i figli in una scuola privata dove saranno promossi senza studiare. Come è possibile competere con la classe dirigente degli altri paesi come Giappone, Finlandia, Paesi Bassi, Estonia o Slovacchia (fra gli altri) che ci sovrastano in tutto?

Il secondo fatto di oggi è un caso di pregiudizio negativo: giovane marocchino che per vivere vende accendini per strada a Torino. In base al suo apparire siamo portati ad associare a questa situazione una mancanza di competenze dovute al lavoro umile che svolge. Invece non è così perchè Rachid Khadiri Abdelmoula, 26 anni, si è appena laureato in ingegneria civile al Politecnico con una tesi su “Il grafene e le sue potenzialità” e come lui ve ne sono tanti altri di cui leggiamo oggi le storie sui quotidiani. Queste persone hanno, a differenza dei due terzi degli italiani, le competenze per vivere nel XXI secolo.

 

Quando ritirarsi da una splendida carriera sportiva

La carriera degli atleti si sta allungando sempre più, in particolare quella dei più vincenti che continuano la loro striscia positiva. Da Roger Federer a Valentina Vezzali a Francesco Totti sono molti i nomi famosi dello sport mondiale che si trovano in questa situazione. E allora quale può essere il principio per cui si prende la decisione di continuare piuttosto che di abbandonare? Mettendo da parte eventuali problemi fisici che possono impedire o limitare il proseguimento della carriera, l’elemento decisivo da prendere in considerazione riguarda la motivazione e la dedizione che devono continuare a essere forti e intense.

  • Motivazione vuol dire che si raggiungerà l’obiettivo prefissato grazie al proprio personale impegno.
  • Dedizione ci si riferisce all’intensità con cui lo scopo viene perseguito e  si traduce nell’impegno con cui si lavora nel quotidiano.
Quando queste due dimensioni psicologiche sono presenti gli atleti sanno che non è ancora giunto il momento di ritirarsi e i loro allenatori hanno un metro sicuro su cui misurare la volontà dei loro atleti, anzichè basarsi solo quello dell’età cronologica o degli anni di carriera variabili che possono stimolare i pregiudizi dei tecnici.