Un punto di arrivo importante per gli atleti è di essere contenti di se stessi per avere fatto il proprio meglio anche se hanno commesso un errore. In tal modo, avranno meno timore di sbagliare, poichè considerano l’errore come un’informazione necessaria, anche se non piacevole, per fare meglio la volta successiva. Questo pensiero determina in loro la spinta a continuare a scegliere obiettivi sfidanti perchè non sono spaventati dall’insuccesso e sono consapevoli che avranno sempre l’occasione di riprovarci di nuovo. Nel tempo l’essere concentrati sulla prestazione (fare del proprio meglio) e non sul risultato (vincere, perdere) li condurrà con più probabilità a realizzare il proprio potenziale e ad abbandonare l’idea di avere paura di sbagliare.
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Negli sport di squadra la tecnica e la tattica devono tendere a diventare automatizzate attraverso l’allenamento, in modo tale che i giocatori possano metterle in atto senza pensare preventivamente a come devono giocare, ma sulla base di quello che succede in un dato momento sul campo sanno anticipatamente cosa devono fare. L’intensità e la qualità dell’allenamento permettono alle squadre di mettere in atto il proprio gioco anche in condizioni di difficoltà, di stress e di fatica. Inoltre le squadre che sono fornite anche di fuoriclasse hanno ovviamente armi in più per dimostrare il proprio valore e prevalere sugli avversari. Vi è però un altro fattore che può ostacolare o favorire le capacità di gioco di una squadra. Si tratta di un fattore psicologico che si riferisce all’atteggiamento mentale con il quale una squadra scende in campo e può così presentarsi:
- è un atteggiamento convinto delle proprie capacità e deciso a affermarle in campo con un comportamento dei giocatori combattivo e deciso
- è un atteggiamento convinto delle proprie capacità ma per qualche ragione la squadra ritiene che questo atteggiamento verrà spontaneamente fuori durante la partita
- è un atteggiamento non completamente convinto delle proprie capacità e queste insicurezze vengono manifestate durante la partita attraverso errori di gioco
Leggete il libro di Niccolò Campriani “Ricordati di dimenticare la paura”, campione olimpico di Londra 2012 nel tiro a segno. Stupisce innanzitutto la sua capacità di rendere la propria vita di atleta, si legge come un thriller e … ha pure il lieto fine. Parla di sè come di un predestinato alla vittoria, quella di Pechino, che però non gli riesce e questa sconfitta lo distrugge e gli indicherà la strada (faticosissima) per raggiungere il successo. E’ un racconto che non ha nulla da invidiare a quello che fa di se stesso Agassi in “Open”. Un libro per tutti i giovani che vogliono realizzarsi attraverso lo sport ma anche per gli allenatori e i dirigenti che troppo spesso hanno un’idea stereotipata dei giovani atleti.
Una delle ragioni per cui spesso continuiamo a perseverare in abitudini e comportamenti che consideriamo sbagliati dipende dalla nostra paura emotiva. E’ certamente più semplice e meno impegnativo lasciarsi dominare dalla voglia di lamentarsi che si manifesta nelle classica frase: “lo sapevo che sarebbe andata a finire in questo modo”. Contiuiamo a difenderci dicendo che non sappiamo che fare, che la colpa è di qualcun altro o della sfortuna che si accanisce contro di noi o del fatto che è proprio vero che non c’è un’altra soluzione. Sono pensieri comuni e in cui è facile cadere e che servono a mascherare le nostre paure più profonde. Agli atleti quando commettono in modo ripetitivo lo stesso errore dico spesso di fare qualcosa di diverso, senza essere preoccupati del risultato, nel peggiore dei casi commetteranno un altro errore ma almeno sarà diverso. Per giustificare questa mancanza d’iniziativa ci si nasconde nel dire “e se poi non va bene?”. Più raramente si pensa che se non va bene si proverà a fare ancora qualcos’altro fino a quando non avremo trovato la soluzione. Questo accade perchè siamo emotivamente spaventati dal cambiamento e più ne sentiamo la necessità maggiore è la tendenza a nascondersi dietro dei ragionamenti. E’ importante imparare a dialogare con noi stessi, chiedendoci che cosa ci trattiene dal cambiare un comportamento o un’idea e che cosa temiamo che succeda. Non dobbiamo mai interrompere questo dialogo, siamo noi il principale allenatore di noi stessi. Questa ricerca della condizione emotiva ottimale deve avvenire non solo in gara ma anche in allenamento, perchè l’apprendimento è un forma di stress che suscita ogni forma di emozioni dal piacere al dispiacere, dall’orgoglio alla vergogna e dobbiamo essere in grado di gestirle per migliorare sempre di più nella conoscenza di noi stessi.
Le 150 donne senza paura del mondo: http://www.thedailybeast.com/features/150-women-who-shake-the-world.html
La paura di fallire è un sentimento sempre presente negli atleti. Spesso sento dire “riuscirò anche quest’anno a fare come l’anno passato?”, “Non sono ancora in forma, riuscirò a esserlo fra un mese alla prima gara?” Domande che possono erodere la fiducia in se stessi e a cui non c’è una risposta certa, “Sì, ce la farai!” Bisogna accettare di correre il rischio, digerire questi dubbi e lavorare con intensità e qualità nel seguire il proprio programma, poi si vedrà.. Bisogna avere fede in se stessi, che significa “Non so se ce la farò, ma sto facendo di tutto per essere pronto quando sarà necessario.”
Gro Mjeldheim Sandal è una psicologa norvegese che studia da anni gli stati mentali degli esploratori polari. Attraverso lo studio dei loro diari e le interviste ha evidenziato che queste persone provano spesso elevati livelli di ansia alla partenza della spedizione. In altre parole non sono immuni dalla paura anche se hanno probabilmente un livello di soglia più elevato della maggior parte delle altre persone. Usano inoltre strategie mentali per non essere prigionieri delle loro paure, una delle quali consiste nell’accentuare nelle situazioni stressanti i lati positivi rispetto a quelli negativi. Ad esempio l’esploratrice Liv Arnesen scrive nel suo libro “Nice girls don’t walk to the South Pole” di essersi seentita impreparata a affrontare le vaste aree di neve alta sino a due metri. Sono impossibili da superare con gli sci e s’immaginava giorni e giorni di battaglia. Gradualmente, invece, riuscì a accettare la natura del terreno e cominciò a focalizzarsi sull’estetica dell’ambiente. “Se al contrario avessi continuato a concentrarmi sui cumuli di neve non sarebbe stato un viaggio piacevole e poi è meglio cercare qualcosa di positivo”.
“Nella mia carriera ho sbagliato più di 9.000 tiri. Ho perso circa 300 partite. Per 26 volte ho creduto di fare il tiro-partita e l’ho sbagliato. Nella mia vita ho fallito spesso e ho continuato a sbagliare. Ed è per questo che ho avuto successo” (Michael Jordan ).