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La preparazione psicologica ha aiutato il successo koreano alle olimpiadi

Dopo avere scritto del contributo degli psicologi dello sport in Iran, oggi tocca a quelli della Repubblica di Korea, questo per sottolineare ancora una volta il riconoscimento che la nostra professione ha anche in paesi molto distanti da noi per storia e cultura, mentre continua a essere pressochè ignorata dal nostro comitato olimpico. La Korea ha ottenuto in queste olimpiadi i mgiliori risultati di sempre con una totale di 28 medaglie di cui 13 d’oro. Due delle squadre più vincenti, tiro con l’arco e tiro a segno e tiro a volo hanno beneficiato di programmi di preparazione mentale.

Il supporto al tiro con l’arco è stato fornito da Young Sook Kim, del Korea Institute of Sport Science, per un periodo di 11 mesi precedenti i giochi. E’ stato condotto in sessioni 1-2 ore, per 2-3 volte la settimana.Il programma è stato via via individualizzato e adeguato alle richieste della competizione olimpica. La squadra ha vinto 3 ori e 1 bronzo.

La squadra di tiro ha vinto 3 ori e 2 argenti. E’ stata seguita nei due anni precedenti da ByungHyun Kim,  sempre del Korea Institute of Sport Science, un professionista con 20 anni di esperienza. Il programma ha riguardato il controllo dell’ansia, la concentrazione, la fiducia e il sapere fronteggiare le elevate aspettative del pubblico koreano.

Il riposo dopo le olimpiadi

Quando un metro vale molto di più

Arrivederci a Rio

Divertirsi alle Olimpiadi

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Questi nuotatori USA non mostrano alcun segno di ansia … un bellissimo esempio di come anche un evento così importante può essere vissuto in modo divertente! Da condividere con atleti e squadre.

http://www.youtube.com/watch?v=YPIA7mpm1wU&feature=player_embedded#

Le abilità mentali degli Olimpionici

Queste sono le abilità psicologiche che si riconosce chi vince una medaglia alle Olimpiadi:

  • Elevata motivazione e impegno
  • Livello elevato di fiducia
  • Avere obiettivi ben definiti
  • Autoregolazione delle emozioni
  • Avere routine ben organizzate durante la competizione
  • Competenze nel fronteggiare le distrazioni e gli eventi inattesi
  • Elevata concentrazione
  • Visualizzazione della propria prestazione

Il disastro dell’atletica

La forzata rinuncia di Antonietta De Martino alle olimpiadi è l’ultimo fatto negativo che ha colpito l’atletica italiana. E’ uno sport che in Italia  fornisce risultati positivi solo perché ogni tanto emerge in modo del tutto casuale un campione . Le ragioni che la federazione italiana di atletica leggera utilizza per spiegare questo disastro riguardano di solito la mancanza di sport nelle scuole (vero) e il disinteresse dei giovani verso uno sport che è fisicamente molto faticoso (falso). Questo è uno sport in cui dai tempi di Sara Simeoni gli allenatori degli atleti più forti sono stati i mariti o i genitori e dove spesso i direttori tecnici (tranne alcune eccezioni) svolgono una funzione del tutto marginale. Inoltre la maggior parte degli atleti si allena pressoché in solitudine avendo come unico supporto il proprio allenatore. Nel terzo millennio siamo fermi ai tempi dei precettori che gli aristocratici mettevano accanto ai loro figli per fornirgli una cultura adeguata. Come possono aggiornarsi nei metodi di allenamento questi allenatori pur se bravi? Come si può avere un confronto con i sistemi usati dai più forti al mondo? Per non parlare del supporto psicologico così indispensabile nello sport di livello assoluto e del tutto ignorato dalle organizzazioni dell’atletica. Insomma qui non si fa nulla mentre la federazione degli Stati Uniti ha organizzato un workshop per i suoi allenatori per capire come bisogna allenarsi per evitare di arrivare quarti e non salire sul podio, naturalmente è emerso che accanto ad aspetti legati alle biomeccanica e alla nutrizione il terzo elemento decisivo è il miglioramento dell’attenzione in gara. Qualcuno lo dirà mai alle organizzazioni dell’atletica italiana?

Idem e Sensini: due miti

Iosefa Idem e Alessandra Sensini sono certamente due miti dello sport italiano. Non solo hanno vinto tanto nella loro carriera sportiva ma all’età di 47 e 42 anni si trovano nuovamente a essere protagoniste di una nuova impresa. La questione che dovrebbe interessare tutti è dove trovano la voglia e la forza per continuare a essere quello che sono. Siamo di fronte a due esempi eccezionali, praticano sport di resistenza in cui il consumo del corpo è estenuante, sono la prova vivente, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che non esistono sport maschili o femminili, e infine dimostrano che la motivazione interiore può essere un serbatoio senza fondo che continua a dare energia e significato a quella che all’inizio era semplicemente il desiderio di primeggiare attraverso la passione giovanile per lo sport.

La fragilità dei più forti

Le Olimpiadi sono diventate da tempo un business incredibile che dissangua gli Stati che li ospitano, determinando debiti da pagare in vari decenni successivi; ciò non toglie che continuano a affascinare tutti noi anche se smaliziati a ogni tipo di spettacolo e di truffa. Infatti, noi, gli spettatori e loro, gli atleti, siamo accomunati da un unico desiderio. Noi speriamo di vedere prestazioni incredibili che ci facciano sognare mentre loro, alcuni sperano di fornirle e la maggior parte vuole potere dire “io c’ero.”
Per la maggior parte degli atleti partecipare alle Olimpiadi è la realizzazione di un sogno per cui si sono impegnati a riuscirci con tutte le loro forze. Facciamo qualche esempio. La rappresentativa italiana sarà composta da alcune fra le più grandi atlete di tutti i tempi. “Le anziane” Alessandra Sensini, Josefa Idem e Valentina Vezzali, vogliono continuare a vincere anche questa volta per dimostrare che l’età non conta. Federica Pellegrini, star del nuoto, anche lei vuole ripetersi per terza volta e su distanze diverse. Infine la più giovane Jessica Rossi, non ancora ventenne, è la favorita nella fossa olimpica femminile. Ognuna di loro persegue il proprio sogno, sono divise da più di vent’anni di età e di esperienza ma l’obiettivo sarà lo stesso.
Sotto questo punto di vista le Olimpiadi non sono cambiate affatto, poiché continuano a rappresentare il massimo risultato sportivo a cui un atleta può aspirare. Salire sul podio significa entrare nella storia dello sport. Forse è solo retorica dirà qualcuno, personalmente non lo penso. Si partecipa alle Olimpiadi per diritti acquisiti sul campo sportivo e infatti è possibile che un vincitore di medaglia olimpica nella precedente edizione non vi partecipi, perché non ha ottenuto nei quattro anni seguenti quel risultato che glielo avrebbe permesso.
Le Olimpiadi sono ogni quattro anni e non tutti vi partecipano due volte, a differenza dei mondiali o delle più importanti gare internazionali che sono in larga parte su base annua. Chi sbaglia un mondiale può ripeterlo l’anno successivo, chi sbaglia un’Olimpiade deve aspettare quattro anni, sempre che si qualifichi. Lo stress raggiunge livelli incredibili. Un’atleta che ho allenato mentalmente, sbagliò un’Olimpiade, giurò a se stessa che a quella seguente sarebbe partita dall’Italia solo 10 giorni prima dell’inizio della gara e non un mese prima come aveva fatto la volta precedente andata male. Ebbe ragione perché vinse la medaglia d’argento. Un altro prima dell’inizio della finale olimpica mi disse di dirgli qualcosa che lo motivasse perché aveva voglia di scappare, sentiva la nausea e stava a pezzi. Gli parlai brevemente dei sacrifici che aveva fatto per giungere al quel momento, vinse la medaglia d’argento. Per i favoriti al podio i traumi di una sconfitta si portano dietro per anni, non sono facili da superare anche se nel frattempo si è vinto un altro campionato del mondo. Conosco un atleta che ha vinto tre volte il campionato del mondo ma non è mai entrato in finale alle Olimpiadi, lui cambierebbe questi tre titoli per una medaglia ai giochi olimpici.
Questi atleti non reagiscono in questo modo perché sono psicologicamente fragili ma perché il loro investimento personale sulla preparazione di questo evento agonistico è così totalizzante e prolungato nel tempo che la sconfitta è spesso vissuta da loro come una vera e propria disfatta personale. Vincere le olimpiadi significa avere fatto in quel determinato giorno “la gara della vita”, forse non dovrebbe essere così drammatico ma è quasi impossibile vivere questa prestazione in modo diverso. E’ la realizzazione di un sogno e di tanti sacrifici, è certamente ben retribuito dal punto di vista economico, ma non ci scrolleremo mai d’addosso questa percezione estrema e romantica della prestazione olimpica come composta da momenti irripetibili che tutti sperano siano vincenti.

Quante medaglie vinceremo a Londra?

A poco più di un mese dall’inizio delle Olimpiadi di Londra si conta che saranno poco meno di 300 gli atleti e le atlete della squadra italiana e si cominciano a sentire ipotesi su quante medaglie potremo vincere. A Pechino con 346 partecipanti sono state 27; 32 a Atene 2004, 34 a Sydney 2000 e 35 ad Atlanta 1996. Nonostante questo trend negativo attualmente siamo al 9° posto nella classifica che prende in considerazione le medaglie ottenute agli ultimi campionati del mondo delle specialità olimpiche (http://www.coni.it/index.php?id=5165). Può essere un vanto fare parte di questa top ten ma  quattro anni fa, 2008, avevano ottenuto 44 medaglie (10 d’oro, 13 d’argento e 20 di bronzo) mentre ora siamo scesi a 32 (12 d’oro, 7 d’argento e 13 di bronzo).  A Pechino ne vincemmo solo 27.

Quindi complessivamente un calo costante negli ultimi 12 anni e il 25% in meno di medaglie se confrontiamo i risultati dei mondiali del 2008 rispetto a quelli del 2012. Va inoltre ricordato che il paese ospitante, in questo caso la Gran Bretagna, ha sempre avuto un incremento di medaglie vinte superiore al 30%, speriamo che alcune di queste non siano a nostro discapito.