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Calcio: sport di campioni o di squadra

In tanti scrivono di calcio in questi giorni del mondiale in Qatar alla ricerca di azioni eccezionali. Mi sembra che spesso si parli più dei singoli, anche se campioni, piuttosto che delle squadre. Si legge che Ronaldo è vecchio ma per fortuna ci sono altri che segnano al posto suo, di Mbappé ha già vinto tutto alla sua età, ci si domanda se Messi si prenderà l’Argentina sulle spalle. Si parla poco delle squadre, di ciò che le rende forti e delle loro debolezze.

Si dice spesso che 11 campioni non fanno una squadra ma poi nei commenti si dimostra il contrario e si rivendica che senza campioni non si può vincere. Aveva certamente ragione Boniperti nel dire che l’unica cosa che conta è vincere. Tuttavia, se si vive la partita con questa mentalità si bada troppo al risultato finale e si rischia di perdere di vista la strada che serve per raggiungere questo risultato.

Mi piacerebbe leggere commenti alle partite di questo mondiale, che parlino della strada che una squadra ha percorso in partita per vincere  e non solo della bella azione e del tiro stupendo di tizio. Di come le squadre dimostrano di essere unite in campo. Soprattutto di come le squadre lottano e dimostrano di non arrendersi mai non solo agli avversari ma anche ai momenti negativi che vi sono in ogni partita, come passano da momenti negativi a quelli positivi, da fasi in cui subiscono a quelle in cui sono propositive.

Altrimenti è solo cronaca.

Come sarà il campionato di calcio spezzato dal mondiale?

In questa stagione agonistica il campionato di calcio sarà diverso da quelli precedenti a causa della Coppa del Mondo in Qatar che si svolgerà per un mese a partire dal 20 novembre. Questo evento si somma comunque ad altri.

Il primo è la chiusura del calcio mercato il 1° settembre a campionato già iniziato da 4 partite. Il principale fattore umano che viene a essere colpito è la costruzione della coesione di squadra. E’ uno dei punti fermi del gioco di squadra. Ci sono calciatori che dopo pochi giorni dall’acquisto sono già titolari. Come è possibile che s’integrino in così poco tempo e che i compagni di squadra dialoghino con loro sul campo in partita in modo efficace. E’ una conoscenza che avviene in modo estremo e non certo nei modi desiderabili.

Secondo, gli allenatori delle squadre che lottano per lo scudetto ragionano preoccupandosi di stare nel gruppo di testa quando inizierà la sosta per il mondiale. E’ un ragionamento a breve termine, di circa 10 settimane, inutile pensare a lungo termine poiché non si sa in che condizione saranno i giocatori al ritorno dal Qatar. Per dopo si vedrà, come se si trattasse di un nuovo campionato.

Terzo, le squadre che giocheranno le coppe avranno un impegno duro sempre in questo stesso periodo, in Champions League saranno 6  partite da lottare per qualificarsi e sempre da oggi a novembre.

Come ragioneranno i calciatori impegnati su questi tre fronti: campionato, coppe e mondiale? Cosa faranno per evitare d’infortunarsi? Cosa faranno gli allenatori: punteranno sempre sulla squadra migliore o sceglieranno di alternare i giocatori in funzione dell’importanza dell’impegno? Verranno introdotte nuove strategie di recupero fisico e mentale?

Il mondiale di calcio del 1942

 

“Il Mondiale del 1942 non figura in nessun libro di storia ma si giocò nella Patagonia Argentina”. Lo scriveva il grande Osvaldo Soriano nel 1995 in “Pensare con i piedi”, lo conferma questo splendido documentario (che immaginiamo lo scrittore argentino avrebbe adorato) di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni , prodotto da Daniele Mazzocca e Pier Andrea Nocella, già ospitato dai Venice Days 2011. E’ Il mundial dimenticato , frutto di quattro anni di lavoro, viaggio nel tempo che riporta alla luce – anche grazie al ritrovamento di straordinari materiali filmici dell’epoca, alcuni conservati negli archivi di Cinecittà Luce – l’epica di un avvenimento fortemente voluto dal Conte Vladimir Otz, mecenate stravagante e visionario emigrato in Argentina negli anni ’30 che, in risposta agli orrori del cosidetto mondo “civilizzato”, organizzò in Patagonia un vero e proprio mondiale di calcio nel 1942 (anno in cui la FIFA, come per la successiva edizione del ’46, sospese la competizione “ufficiale” a causa della guerra in corso). Raccontato attraverso le parole del più esperto ricercatore sul tema, il giornalista argentino Sergio Levinsky , il film prende le mosse dal ritrovamento di uno scheletro con la macchina da presa negli scavi paleontologici di Villa El Chocon, nella Patagonia Argentina: i resti umani appartengono a Guillermo Sandrini, cineoperatore di origini italiane assoldato – come svela una lettera del conte Otz a Jules Rimet – per “filmare i Mondiali in modo memorabile e rivoluzionario”. Cosa che avvenne realmente, con tecniche che già 70 anni fa anticipavano le attuali “spider-cam” utilizzate sui campi di gioco da alcune emittenti satellitari: dalla “camera fluctuante” alla “trampilla”, fino alla “cine-pelota” e al “cine-casco”, Sandrini incarnò la risposta estetico-politica alla Leni Riefenstahl dei Giochi Olimpici di Berlino del ’36, trovando la morte proprio durante la finale del mundial, flagellata da un violento temporale e da una drammatica alluvione che, fino ad oggi, “congelò” nella memoria il risultato tra la rappresentativa tedesca (nazista) e gli indios Mapuche sull’1 a 1. Ma quel mondiale, caratterizzato non solo dalla partecipazione di giocatori non professionisti (operai, minatori, scavatori, ingegneri, militari, pescatori, esiliati e rivoluzionari in fuga) e dall’arbitraggio “con pistola” di personaggi che meriterebbero una letteratura a parte (il conte Otz assoldò addirittura William Brad Cassidy, figlio del più celebre Butch, che proprio come il padre dopo aver rapinato banche e assaltato treni, collezionando taglie in 5 diversi paesi dell’unione, si rifugiò in Patagonia), precursore se vogliamo della storica Italia-Germania del ’70 (anche se l’esito fu differente, 3 a 2 per i teutonici grazie ad un arbitraggio che, ancora oggi, il terzino destro Antonio Battilocchi – allora operaio alla diga che poi l’alluvione spazzò via – definisce “scandaloso”), non poteva finire così. Mai riconosciuto dalla FIFA, sepolto nella memoria del tempo (e del fango), il mundial – emblema di un calcio che a ncora profumava di leggenda – ebbe invece un vincitore: sepolto per decenni nella cinepresa di Sandrini, riportato in vita sul grande schermo di una saletta a Buenos Aires. (da il Cinematografo.it)

Trailer: http://www.youtube.com/watch?v=O5T1JDGJYu8