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Conte: martello-flessibile e direttivo-affettivo

La Juventus ha vinto e Conte è il suo leader. Conte è stato un insieme di molte abilità. Dirò qualcosa che può apparire scontato ma è alla base degli allenatori vincenti: sapere adattare le proprie convinzioni alle caratteristiche dei giocatori, che a loro volta devono avere fede nelle sue idee. Per me Conte è stato un martello-flessibile. Significa sapere battere ogni giorno con determinazione sul sistema che si vuole insegnare ma nel contempo sapere modificare le idee in funzione di come vengono giocate le partite e dei risultati. Secondo, non si può essere solo impositivi, bisogna entrare nel cuore dei giocatori. Anche in questo caso direttività e affettività si devono integrare, se prevale una dimensione a discapito dell’altra succedono disastri, la squadra percepirà l’allenatore come troppo distante o come un dodicesimo compagno. Non a caso Conte ha detto che per lui sono necessari in ordine d’importanza mente, cuore e gambe. I calciatori devono svolgere la loro parte ed è per questo che devono avere fede. All’inizio non hanno prove concrete che il loro gioco condurrà ai risultati sperati. Per questo chiamo questa fase “avere fede”, si basa sulla convinzione a priori che le scelte proposte dall’allenatore se applicate con determinazione permetteranno di sviluppare un gioco efficace.

Lavorare sulla squadra e la personalità

Luis Enrique si trova a affrontare una situazione molto difficile e mi chiedo se per insegnare la sua idea del calcio non abbia poco responsabilizzato sin dall’inizio i singoli pensando invece che ciò che conta è solo il collettivo. Ma quando si sta affogando si ritorna a parlare dei singoli, forse è tardi, anche perchè nel caso della Roma si parte da una condizione di depressione agonistica e non certo di rabbia. La Roma è una squadra astenica che ad oggi non sa reagire alle difficoltà che le pongono gli avversari e un leader, che non c’è mai stato in questo periodo, non s’inventa in un weekend. La mia idea è che quale che sia il tipo di calcio che si vuole insegnare, bisogna sempre avere dei giocatori che, anche fuori dal campo, trascinino i compagni con i loro comportamenti, senza questi giocatori non ci sarà mai una squadra forte. Inoltre, imparare un modulo nuovo di gioco implica un periodo d’instabilità e di paure, senza leader che incitano a credere nel gioco qualsiasi squadra sbanda e non sa cosa fare.

Steve Jobs e il narcisismo produttivo

Alcuni anni fa lo psicologo Michael Maccoby, sulla scia di Kohut, ha illustrato il concetto di narcisismo produttivo. Si fonda sull’ipotesi che per avere successo è probabilmente necessario rendere produttiva questa fiducia che potremmo definire smisurata nelle proprie intuizioni, nel saperla trasformare in strategie aziendali e nell’organizzare le successive azioni. In tal senso il narcisismo si rivela utile se non addirittura necessario e si può così assumere che esista un narcisismo produttivo che consente di realizzare le grandi visioni personali e uno non-produttivo che si alimenta di illusioni grandiose che possono produrre clamorosi fallimenti. Questo è stato sinora Steve Jobs ma come lui molti altri a partire da Bill Gates al boss di Oracle Larry Ellison. I leader narcisisti produttivi sono individui indipendenti e non facilmente influenzabili, innovatori, dotati di una spiccata visione del futuro, strateghi efficaci, hanno successo negli affari per ottenere potere e gloria. Sono degli accentratori e vogliono imparare ogni cosa che possa influenzare lo sviluppo dell’azienda e dei suoi prodotti/servizi. Vogliono essere ammirati ma non amati. Sono in grado di perseguire i loro obiettivi in maniera aggressiva. Nel momento del successo corrono il rischio di perdere il contatto con l’ambiente. La loro competitività e il loro desiderio di riuscita li spingono continuamente verso nuove mete, nell’identificare i nemici da sconfiggere, in casi estremi e sotto stress possono manifestare comportamenti paranoici. Hanno bisogno di avere accanto a loro persone fiduciose, coscienziose, orientate alla concretezza e alla gestione operativa. Un’altra componente essenziale dei narcisisti produttivi consiste nella loro abilità ad attrarre le persone, attraverso il loro linguaggio convincono gli altri che ce la faranno a raggiungere quegli obiettivi che ora sembrano solo abbozzati. Molti li ritengono individui carismatici, abili oratori che sanno trasmettere entusiasmo e forti emozioni a quanti li ascoltano; in breve sanno far partecipare al loro sogno e sanno farlo sembrare realizzabile solo se vi sarà  l’impegno di tutti. Questo perché, nonostante la loro indipendenza, hanno comunque bisogno di avvertire la vicinanza degli altri. A questo riguardo, sono ormai parte della storia del XX secolo le parole di John F. Kennedy durante il suo discorso d’insediamento quando disse agli americani: “Ora l’appello risuona di nuovo: non ci chiama alle armi, per quanto le armi siano necessarie, non alla battaglia, per quanto già si combatta, ma a sopportare il peso di una lunga e oscura lotta che può durare anni…una lotta contro i comuni nemici dell’uomo: la tirannide, la miseria, la malattia e la stessa guerra…Pertanto, cittadini, non chiedete che cosa potrà fare per voi il vostro paese, ma che cosa potrete fare per il vostro paese.” Rappresentò un mattone significativo per la creazione del mito dei Kennedy, in quanto riuscì a trasmettere un solido messaggio di speranza e d’impegno, dopo il discorso inaugurale quasi tre quarti degli americani approvavano il loro giovane presidente. http://www.maccoby.com/Articles/NarLeaders.shtml  http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/01/quando-il-re-senza-eredi.html