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Le competenze dell’allenatore del settore giovanile

Il tecnico della scuola calcio e  in generale di ogni disciplina sportiva giovanile è chiamato sul campo a svolgere diverse funzioni e ad assolvere compiti diversificati. Risulta evidente, quindi, che debba possedere conoscenze e competenze professionali non solo legate agli aspetti tecnico-tattici della disciplina sportiva ma trasversali alle diverse funzioni che si trova a svolgere.

Le competenze necessarie si possono suddividere in 4 categorie:

  1. competenze tecniche
  2. competenze didattiche specifiche
  3. competenze psicologiche
  4. competenze gestionali organizzative

Molto spesso gli allenatori pensano che sia sufficiente saper giocare e, nel peggiore dei casi, saper parlare di calcio per poterlo insegnare ai bambini e ai giovani. Tale convinzione si accompagna spesso ad un atteggiamento per cui ogni mancato progresso del piccolo atleta viene attribuito all’atleta stesso. L’atteggiamento caratterizzato dal porre sempre all’esterno le problematiche relative alle difficoltà di apprendimento e alla mancanza di  motivazione pone in evidenza l’impellente bisogno per i tecnici di migliorare le loro competenze didattiche, relazionali e psicologiche.

Il modo migliore per comprendere le caratteristiche utili al tecnico nello svolgimento delle sue attività è lasciare la parola proprio agli allenatori stessi. In uno studio realizzato da John Salmela nel 1996, allenatori di alto livello hanno riportato una lista di competenze considerate necessarie nello svolgimento della loro attività.

Riporto di seguito le attività ed i compiti indicati, relativamente a coloro che operano nell’avviamento dell’attività sportiva e nei settori giovanili:

  • Saper sviluppare un pensiero critico che aiuti a rinnovare le proprie modalità di relazione e di insegnamento, soprattutto quando le caratteristiche degli allievi cambiano notevolmente.
  • Saper allenare costantemente se stessi nell’insegnare meglio.
  • Saper valutare ed adattare il proprio approccio e le strategie didattiche utilizzate.
  • Creare un ambiente ed un’atmosfera davvero capaci di invogliare i processi di apprendimento.
  • Saper sviluppare e potenziare il proprio stile personale di insegnamento, del quale però è necessario essere del tutto consapevoli.
  • Saper aiutare gli allievi a porsi degli obiettivi a breve e medio termine e a valutare in modo corretto le loro potenzialità.
  • Integrarsi il più possibile nel mondo psicologico dei propri allievi, offrendo loro supporto e genuino sostegno.

(di Daniela Sepio)

Insegnamo a pensare non solo la tecnica

Avere un pensiero alla volta centrato su quello che stiamo per fare è un modo efficace per essere concentrati sul presente. L’impegno di ogni atleta deve essere mirato ad allenare questa abilità mentale. Mentre si gioca una partita o si compete in qualsiasi sport non vi è altro che il susseguirsi di tanti presenti. Diventa quindi necessario avere  in ogni  momento solo il pensiero utile a fare il proprio meglio, bisogna avere la capacità di scegliere un pensiero anziché un altro. In caso contrario dominerà lo stress negativo che porta all’errore o a una prestazione mediocre. Si sente dire troppo spesso che la fregatura nello sport è la testa e che sarebbe meglio non averla. Ovviamente questa frase è solo una testimonianza d’incapacità da parte di chi la esprime, poiché senza la testa non si potrebbero sviluppare i pensieri necessari a fare bene. Quindi ai giovani non insegniamo solo il gesto tecnico ma alleniamoli anche a pensare.

Perchè non allenare a pensare?

Perchè non allenare a pensare i giovani che fanno sport. In che misura l’allenamento prevede che un atleta (ma anche un bambino) rifletta su ciò che sta facendo? Quanti sono gli allenatori che al termine di un’esercitazione chiedono “Cosa hai fatto? Come avresti potuto fare meglio?” Che siano proprio queste le domande o altre non importa; ciò che conta è spendere del tempo a domandare e sollecitare una più profonda consapevolezza in relazione all’esecuzione tecnica. Un’altra riflessione: gli allenatori ritengono che parlare con i propri allievi sia utile per favorire l’apprendimento? Oppure credono che sia una perdita di tempo, perchè gli atleti non sono ancora sufficientemente bravi per capire e quindi è meglio che eseguano e basta? Quante volte ci si è confrontati su questo tema con altri colleghi? E’ importante allenare e sviluppare la consapevolezza negli atleti? La mia impressione è che questo sia un argomento di cui si parla troppo poco, perchè la metodologia dell’allenamento è dominata dalla fisiologia, dalla biomeccanica e dalla medicina, discipline che non s’interrogano sugli aspetti mentali (cognitivi e emotivi) e sociali dell’apprendimento motorio. Finchè non vi sarà una concezione unitaria dell’individuo, gli allenatori continueranno ad agire ignorando in larga il ruolo del pensiero nell’insegnamento sportivo.