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Sbagliare per accettare di sbagliare

Non accettare l’errore è il principale ostacolo a migliorare. E’ inutile girarci troppo intorno, è proprio questa la ragione principale per cui oggi molti giovani si bloccano di fronte alle difficoltà, nessuno li guida in questo apprendimento. Non i genitori e non gli insegnanti. E se non imparano allora hanno un problema psicologico per cui, nel migliore dei casi, si va dallo psicologo. Oppure i genitori attribuiscono la responsabilità agli allenatori e viceversa. Di solito è una battaglia persa in cui ognuno resta sulle sue posizioni e i ragazzi/e non cambiano. Nello sport giovanile bisognerebbe considerare l’accettazione dell’errore come il parametro fondamentale per affermare che l’insegnamento fornito in allenamento ha avuto successo, così come il suo contrario. Non accettare di sbagliare annulla qualsiasi apprendimento tecnico. Il giovane infatti sviluppa un’aspettative non realistica e immagina che è bravo solo se non commette errori. Quando entra in campo con questo atteggiamento, non è in grado di sopportare la frustrazione di sbagliare e comincia ad arrabbiarsi con se stesso, con l’esito di giocare peggio e di ridurre l’impegno, poiché ritiene di non essere capace. A questo punto se genitori e allenatori non intervengono subito per cambiare questa reazione, il giovane la trasformerà in un modo di essere abituale, che ripeterà ogni volta che sbaglierà. A questo punto, sarà più difficile intervenire per sostituire questa convinzione negativa con una positiva.

Gli adulti devono essere consapevoli che la competenza è  l’uso dell’insieme delle conoscenze, abilità e atteggiamenti finalizzato a uno scopo ed esercitato nel contesto ed è determinata dall’integrazione fra:

  • Conoscenze – Ciò che si sa, «cosa» e come si sa, «come»
  • Abilità –  Quanto si è in grado di capire / comunicare / fare usando conoscenze imparate in allenamento
  • Atteggiamenti – Come si è e come ci si comporta in relazione all’uso delle conoscenze e delle abilità sportive possedute
Quindi la competenza sportiva non va confusa con l’abilità tecnica e l’atteggiamento da tenere in campo va insegnato come così come i fondamentali di gioco. Altrimenti si avranno giovani atleti dotati tecnicamente ma poco competenti nel fornire una prestazione sportiva adeguata al loro livello tecnico.

Molti adulti non svolgono il loro ruolo di educatori

In questo mese ho lavorato con le ragazze e i ragazzi che hanno partecipato il Corso di formazione per diventare futuri dirigenti dello sport, finanziato dalla Regione Lazio.

E’ stata un’esperienza per me significativa perchè mi ha confermato che i giovani vogliono impegnarsi e s’impegnano ma che hanno difficoltà a realizzare ciò che vogliono anche perchè sono lasciati soli senza una guida. Gli adulti, siano essi i genitori o gli insegnanti dell’Università, gli dicono “Fai” ma non gli spiegano come potere fare bene in modo efficace e efficiente. Ci si potrebbe chiedere come mai non l’hanno ancora imparato, ma la risposta non cambia. Anche tornando indietro agli anni dell’adolescenza si trovano genitori e insegnanti che non aiutano a sufficienza a capire come fare per migliorare e qual è il processo che permette di andare avanti senza sprecare tempo. Oltre le difficoltà economiche che certamente viviamo in questi anni, a questi giovani adulti ne sono state aggiunte altre che dipendono esclusivamente dal contesto sociale e famigliare in cui sono cresciuti. I genitori gli hanno dato apparentemente tutto: una casa e i soldi per le loro spese. Ma questo non basta, sono aiuti necessari ma non servono a imparare come bisogna studiare o perchè va bene sbagliare ma poi bisogna subito riprendere il proprio percorso o ancora perchè la tecnologia (cellulare, facebook, playstation) va bene ma non deve sottrarre tempo e energie al lavoro. Non si può aspettare che imparino tutto questo da soli, perchè poi passano gli anni senza sapere che si sta perdendo il proprio tempo. Secondo me in molti casi non vi è questa educazione mentale per mancanza di assunzione di responsabilità degli adulti, che si accontentano di soddisfare solo i bisogni di base della vita sociale ma rinunciano al ruolo di educatori.

Insegnante e metodi

Voglio ritornare sul blog di ieri, partendo dal mio lavoro con gli allenatori e gli atleti. In questo ambito, abbiamo la metodologia dell’allenamento che spiega come s’insegna, ad esempio, il salto in alto in funzione del livello di abilità che il giovane possiede.  Si tratta a questo riguardo di sistemi ormai consolidati, a cui come ovvio ogni allenatore fornisce un’interpretazione personale, ma che non si discosta di molto dal sistema proposto. Questo perchè le scienze dello sport hanno dimostrato che alcuni approcci sono superiori ad altri. Vi è poi la metodologia dell’insegnamento sportivo, riguardante il come insegnare a saltare in alto, come si deve comportare l’allenatore con i suoi atleti in funzione della loro età, maturità psicologica e livello di abilità sportiva. Anche qui alcune regole sono ormai diventate classiche: ascolto, equilibrio tra incoraggiamento e confronto, empatia, sapere fornire spiegazioni diverse dello stesso concetto/azione e così via. Inotre come ci si prepara alle gare, quali sono i passi di avvicinamento agli eventi più importanti vengono affrontate, insieme ad altre tematiche, dal mondo dello sport con una certa precisione e attenzione. Va detto che non tutti gli allenatori hanno la volontà di seguire questi sistemi, poichè vuole dire averli studiati, fatti propri e rinunciare a quella parte di protagonismo che porta a pensare “faccio a modo mio e se non imparano il problema è che non vogliono fare sacrifici”. La mia impressione da esterno al mondo della scuola italiana è che il sistema scolastico si occupi poco di questi aspetti mentre è preso dalla ricerca della materia che fa pensare di più. Infine, ho la percezione che gli insegnanti di una classe non agiscano come un team ma come singole individualità. Personalmente continuo a condividere l’idea di Benjamin Bloom che sosteneva che almeno in teoria tutti gli studenti possono eccellere se vengono fornite condizioni adeguate di apprendimento. Questo non esclude che la nostra scuola abbia molti altri probemi di ordine strutturale e finanziario, e che certamente gli insegnanti oggi siano sottopagati e il loro riconoscimento sociale appannato, ciò non toglie però la necessità di essere efficaci.

A proposito di come insegnare a scuola

Ho letto l’articolo di Marco Lodoli sui problemi della scuola che attribuirebbe troppo valore alle emozioni e poco allo sviluppo del pensiero logico razionale, nonchè i commenti tutti veramente interessanti, che fanno a gara a fornire le proposte più efficaci. Nulla da dire sui contenuti ma non credo sia questo l’approccio migliore. A mio avviso prima del cosa viene il come e a questo riguardo ritengo che, molti insegnanti non abbiamo l’interesse e la volontà di insegnare, cosa assolutamente difficile ma decisiva. Poco importante poi se si vuole privilegiare il latino, la matematica o Dante. La mia domanda è la seguente: i docenti devono essere dei conferenzieri che illustrano dei temi e l’apprendimento dipende solo dall’allievo, o viceversa sono degli insegnanti che devono ottimizzare l’apprendimento dei loro allievi. Secondo, quale deve essere l’impegno a casa degli allievi, quanto deve essere, quale programmazione i diversi insegnanti  adottano per consentire una distribuzione dei carichi di lavoro, qual è l’intensità di lavoro che devono richiedere e come la insegnano. In qualsiasi prestazione, atletica, musicale o professionale queste sono le domande principali a cui devono sapere rispondere i leader. Poi magari vi sarà anche il problema delle emozioni, ma questo viene dopo. Quindi prima condividiamo il metodo e poi entreremo nel merito dei temi. http://www.repubblica.it/scuola/2011/08/31/news/scuola_emozioni_ragione-21064877/?ref=HREC2-3#commentatutti