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I numeri della maratona in Italia

L’attività fisica particolarmente impegnativa tende a ridursi nella maggior parte degli animali con l’aumentare dell’età. Nell’uomo questo dato non è sempre vero, poiché si rileva oggi un significativo aumento degli individui che continuano a restare fisicamente attivi anche quando sono anziani.

Il successo che in questi anni in tutto il mondo sta conoscendo la maratona (42,195 km) è una dimostrazione di questo dato.

  • Nel 2018 in Italia l’anno portata a termine 37.874 individui di cui 6.872 sono donne.
  • Continua ad aumentare il numero di runner che corrono la maratona con tempi a partire da quattro ore e trenta minuti: quest’anno sono stati 9508, corrispondenti a un incremento rispetto al 2017 del 25%.
  • Inoltre solo 43 atleti hanno corso in meno di due ore e trenta equivalente a un decremento in Italia del 23,2%.
  • Anche la fascia tra tre ore e tre ore e trenta è diminuita del 28,6% e corrisponde a 6.553 individui.
  • La fascia di tempo con più partecipanti è stata tra tre ore quarantacinque e quattro ore: 4.752 (con un decremento rispetto all’anno precedente del 5,8%.

Probabilmente ha ragione Daniele Menarini che interpreta questo dato dell’aumento della lenta percorrenza come l’emergere a livello di maratona dei fenomeni di fitwalking e nordic walking che sono pratiche ampiamente diffuse nel podismo italiano. La maratona è pur sempre una sfida con se stessi che è protratta nel lungo tempo anche se svolta a basse andature. Accettare questo approccio può portare a una concezione di questa gara come un’esperienza motivante anche per chi non corre (o cammina) con la logica del tempo ma di vivere un’esperienza che un cittadino resta comunque estrema. Menarini suggerisce a quest riguardo di aumentare il tempo massimo per accogliere più partecipanti, seguendo lo spirito di quanto avviene in Giappone e ci ricorda qui sotto lo scrittore-maratoneta Murakami Haruki

“…affronto i compiti che ho davanti e li porto a compimento ad uno ad uno, fino a esaurimento delle forze. Concentro l’attenzione su ogni singolo passo, ma al tempo stesso cerco di avere una visione globale e di guardare lontano. Come vengono giudicati il tempo che ottengo in gara e il mio posto in graduatoria, come venga considerato il mio stile, è di secondaria importanza. Ciò che conta per me, per il corridore che sono è tagliare un traguardo dopo l’altro con le mie gambe. Usare tutte le forze che sono necessarie, sopportare tutto ciò che devo e alla fine esere contento di me. Imparare qualcosa di concreto- piccolo finchè si vuole ma concreto- dagli sbagli che faccio e dalla gioia che provo. E gara dopo gara, anno dopo anno, arrivare in un luogo che mi soddisfi. O almeno andarci vicino. Se mai ci sarà un epitaffio sulla mia tomba, e se posso sceglierlo io, vorrei che venissero scolpite queste parole: “Murakami Haruki, scrittore e maratoneta. Se non altro fino alla fine non ha camminato”. Perché si dica quel che si vuole ma io sono un maratoneta”.

Fonte:  Murakami Haruki “L’arte di correre”, Torino, Einaudi.

Recordman a 105 anni

La maggior parte dei centenari sono entusiasti di essere in grado di camminare. Non Hidekichi Miyazaki! Questo uomo giapponese di 105 anni vuole correre e essere competitivo. Quindi, è stato naturale per “Golden Bolt” celebrare il suo ultimo compleanno stabilendo il record sui 100 metri.

La gara epica ha avuto luogo il 23 settembre, il giorno il signor Miyazaki avrebbe compiuto 105 anni. Ha impiegato solo 42.22 secondi per coprire la distanza. Questo tempo gli è valso un posto nel Guinness World Records come l’uomo più veloce della categoria over 105 anni. Miyazaki non era felice. Questo perché “Golden Bolt” che ha celebrato colpendo un fulmine nella stessa posa delsuo omonimo Usain Bolt, aveva sperato di completare i 100 metri in 36 secondi, come aveva più corso durante l’allenamento.

Kei Nishikori e la cultura giapponese e US

Project 45 è il nome che è stato al programma di sviluppo di Kei Nishikori, la nuova stella del tennis maschile, 5° nel ranking mondiale. Project 45 perché è di un posto più avanti della 46° posizione, che era la migliore classifica raggiunta da un giapponese. Per ottenere questo risultato Nishikori a 14 anni si trasferì dal Giappone in Florida. Suo padre, ingegnere, pensava: “che i tennisti giapponesi non avevano avuto successo poichè il loro individualismo è debole se confrontato con quello dei giocatori d’oltreoceano”. E’ lo stesso esposto dal vicepresidente dell’IMG tennis, Olivier van Lindonk: “il Giappone è così rispettoso della cultura, ma non puoi andare avanti nel tennis inchinandosi”. Concetti duri ma condivisi anche da Masaki Morita, executive della Sony e fratello più giovane del suo fondatore che come presidente onorario della Federtennis giapponese inviò i migliori giovani negli US per liberarsi dalla struttura gerarchica del Giappone: “Avevo notato che i bambini giapponesi giocavano molto bene dal punto di vista tecnico in casa ma quando andavano oltreoceano non vincevano mai”.

In Florida trovò Brad Gilbert come allenatore, impressionato dalla sua tecnica ma troppo timido sul campo. Lo fecero giocare contro giocatori che giocavano sporco e doveva cavarsela da solo, senza che nessuno lo aiutasse. Solo lui resistette a questo trattamento mentre gli altri giocatori giapponesi se ne andarono. Nishikori ricorda che si sentiva solo, non sapeva come esprimere le sue opinioni e aveva paura di dire quello che pensava”.  Continuò e venne fuori vincente da questa sfida.

Muoversi insieme

Si parla spesso del Barcellona quale migliore squadra del mondo e dell’abilità dei suoi giocatori nel realizzare il suo gioco attraverso l’applicazione dell’idea base “prendi la palla, passa la palla.” Vi è però anche un’altra squadra che nel 2011 ha infiammato gli animi con il suo approccio al gioco del calcio. E’ la nazionale giapponese di calcio femminile che ha vinto la coppa del mondo di calcio contro ogni previsione, servendosi di un’altra visione: “Quando una si muove, tutte si muovono.”  Questo approccio è stato guidato sul campo dalla capitana Homare Sawa, 33 anni, giocatrice di calcio dall’età di 12 anni, in nazionale dalla età di 15 anni. I giornali l’hanno definita la regista suprema. E’ lei che ispira il gioco della squadra in ogni istante della partita con la stessa intensità, compresi i minuti finali quando anche le sue compagne sembrano essere troppo stanche. Sì, perchè la caratteristica di questa squadra è sapere giocare sino alla fine e anche se in svantaggio con la stessa qualità dei primi minuti, ed è proprio questa loro caratteristica che le ha permesso di superare le squadre più famose come la Germania, la Svezia e in finale gli USA. Correre e correre tutte insieme, soprattutto quando le avversarie non ce la fanno più.  Non ultimo Homare Sawa è alta  164 centimetri contro i 168 di Messi. Forse anche per questo il New York Times ha identificato il Barcellona e il Giappone femminile come squadre dell’anno.

FIFA Women’s World Cup 2011

Un consiglio, guardate stasera la finale Giappone-USA. esquadra USA si è detto molto, la rivelazione è il Giappone che come dice il suo allenatore non è una squadra alta o fisicamente forte ma quando una si muove, tutte si muovono. L’articolo che riporto è molto interessante per spiegare l’approccio mentale negli sport di squadra: http://espn.go.com/espnw/news-opinion/6769697/women-world-cup-japanese-team-measured-heart-not-height