In questi anni, il termine “mental coach” è diventato un’espressione diffusa per identificare una persona esperta nell’allenamento delle abilità psicologiche. Si riferisce alla pratica sistematica e distribuita nel tempo delle competenze psicologiche e mentali allo scopo di migliorare le prestazioni, incrementare il piacere tratto dall’impegno e sentirsi soddisfatti della propria attività fisica e sportiva. Lo psicologo, dopo un percorso che lo ha portato alla laurea magistrale e all’iscrizione all’ordine degli psicologi, è il professionista che è legalmente abilitato a fornire questo tipo di prestazioni. La psicologia dello sport è la disciplina che nell’ambito delle scienze dello sport e della psicologia, rappresenta il riferimento teorico e applicativo per l’esercizio di questa professione. E’ un campo piuttosto diffuso tanto che a livello internazionale sono presenti otto riviste scientifiche che pubblicano i risultati delle indagini in questo ambito di studio. Una di queste, International Journal of Sport Psychology, viene pubblicata in Italia da 48 anni e rappresenta un ambito di eccellenza. Stupisce quindi che il settimanale SportWeek della Gazzetta dello Sport abbia pubblicato un’inchiesta intitolata “I mental coach servono davvero?” a cui fornisce una risposta positiva: “A patto che ci si rivolga a un professionista ossia a uno psicologo dello sport o a un mental coach serio e qualificato”. In questa inchiesta si equiparano due figure professionali differenti. Per una di queste, il mental coach, non è previsto alcun tipo di formazione universitaria specifica riconosciuta e può essere svolta da chiunque decida per motivi personali di intraprendere questo lavoro nello sport. E’ sufficiente avere partecipato a un corso di pochi giorni o essere stato un atleta o avere una laurea in qualsiasi ambito. Persone di questo tipo sono sempre esistite in ogni professione, dagli esperti in benessere che propongono terapie mediche, ai personal trainer non laureati in scienze motorie, a chi si propone come allenatore solo perché ha svolto un determinato sport per molti anni. Le università e l’ordine potrebbero agire per migliorare la formazione e la professione degli psicologi che intendono lavorare in ambito sportivo ma ancora non ci sono riusciti. Spetta quindi direttamente agli psicologi agire in modo più propositivo. A tale riguardo, dovrebbero impegnarsi a migliorare la loro presenza sul mercato dello sport agendo su tre leve principali. La prima riguarda l’interesse a ottimizzare le loro competenze professionali con una formazione adeguata in psicologia dello sport che sia specifica e continuativa nel tempo. La seconda si riferisce al sapere interagire con il mondo dello sport in modo professionale e pragmatico, senza essere percepiti come troppo teorici o comunque inutili al miglioramento delle prestazioni sportive. La terza riguarda la capacità di formulare programmi d’intervento che siano percepiti come utili e innovativi da parte degli atleti e degli allenatori. E’ una sfida che si basa su una solida competenza in psicologia e nelle scienze dello sport e sulla capacità di saperle adattare alle situazioni pratiche e alle persone che s’incontreranno sul proprio cammino professionale.
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Mental coach o psicologo dello sport: scegli il secondo
Nuove frontiere dello sport: il trasferimento del talento
Un articolo di ieri sulla Gazzetta dello Sport di Andrea Buongiovanni, parla di metamorfosi a proposito di quegli atleti di alto livello che sono capaci di passare dal loro sport di origine a un altro. E’ un aspetto nuovo dello sport di oggi che evideniza come vi siano abilità trasversali che possono servire a primeggiare in sport diversi. Nell’articolo di ieri si parla del discobolo inglese di 21 nni Lawrence Okoyo (68,24) che è impegnato nelle selezioni per entrare in una squadra di football americano. In Italia abbiamo avuto i casi di Maria Canins (fondo/ciclismo), Francesco Postiglione (nuoto/pallanuoto) e Antonella Bellutti (atletica/ciclismo/bob). L’atleta italiao più di successo in questo cambiamento resta ancora oggi Cesare Rubini (pallanuoto e basket) che è entrato nella Hall of Fame d ambedue questi sport.
Il trasferimento del talento avviene quando un atleta abbandona o riduce il suo coinvolgimento in uno sport in cui ha investito in modo significativo il suo tempo, lavoro e risorse e sposta il suo sforzo in un altro sport che per lui è nuovo ma simile a quello precedente per le abilità di movimento, le richieste fisiologiche e gli aspetti tattici. Un esempio di questo tipo di cambiamento è il passaggio dalla ginnastica ai tuffi, oppure gli sport possono essere ancora più simili come è il caso del passaggio dalla pallavolo al beach-volley. Vi sono infine atleti più dotati e versatili che possono muoversi fra sport tra loro piuttosto dissimili per abilità richieste e fisiologia, ad esempio nuoto e boxe o canoa e judo o canottaggio e salto in alto.