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Allenare la generazione Z

Daniel Gould, Jennifer Nalepa & Michael Mignano (2019). Coaching Generation Z Athletes. Journal of Applied Sport Psychology, 32:1, 104-120.

Anche se è sempre stato essenziale per gli allenatori adattare il loro allenamento alle caratteristiche dell’atleta, questo può essere oggi più importante che mai, poiché gli allenatori si adattano a una nuova generazione di atleti cresciuti in un’era totalmente digitale, che ha avuto effetti importanti sulle loro caratteristiche e sui loro modi di comportarsi.

I giovani atleti di oggi rappresentano la Generazione Z (Gen Z):

  • Giovani nati dopo il 1996, che costituiscono il 26% della popolazione statunitense e il 27% della popolazione mondiale
  • I giovani della Gen Z sono stati influenzati dall’incertezza socioeconomica (ad esempio, la recessione globale del 2008), dal terrorismo internazionale (ad esempio, l’11 settembre) e dai disastri naturali (ad esempio, l’uragano Katrina).
  • Sono la generazione più istruita della storia e sono la prima generazione di giovani cresciuti in un ambiente totalmente digitale, il che ha fatto sì che i giovani della Gen Z abbiano eccellenti competenze tecnologiche
  • Allo stesso tempo, a causa della quantità di tempo che dedicano alla tecnologia, si pensa che abbiano tempi di attenzione più brevi, la necessità di un feedback frequente e la mancanza di indipendenza.

Lo psicologo sociale Jean Twenge (2017):

  • I giovani d’oggi crescono più lentamente (ad esempio, fanno sesso in età più avanzata, aspettano più a lungo prima di prendere la patente di guida, consumano alcolici più tardi rispetto ai millenial che li hanno preceduti) e sono la generazione più protetta e sicura di sempre, ma allo stesso tempo evitano le responsabilità degli adulti, come l’abbandono della casa e l’indipendenza economica.
  • Cresciuti nel mondo digitale passano meno tempo a contatto diretto con i loro amici e i loro cari. Questo è uno dei motivi per cui hanno i più alti problemi generazionali di depressione, ansia e solitudine. Infine, crescendo in un mondo digitale molto coinvolgente, i giovani della Gen Z hanno tempi di attenzione più brevi, e spesso svolgono più compiti anche quando questo può non essere efficace.
Encel, Mesagno e Brown (2017) hanno intervistato 298 atleti britannici per determinare sia il loro utilizzo di Facebook sia se l’utilizzo di Facebook è legato all’ansia. I risultati hanno rivelato che il 68% degli atleti ha utilizzato Facebook entro 2 ore dalla gara e il tempo trascorso sui social media è stato correlato alla scala di disturbo della concentrazione della scala dell’ansia sportiva.

Nelle fasi iniziali del lavoro con gli atleti della Gen Z, gli allenatori sentivano che agli atleti mancava la capacità di affrontare le avversità.

Nel corso del tempo, con pratiche strutturate di costruzione della resilienza, gli allenatori hanno osservato un miglioramento delle capacità degli atleti di Gen Z di gestire le avversità. Creando situazioni di allenamento stressanti e allenando gli atleti attraverso di esse, gli atleti di Gen Z hanno migliorato la loro resilienza.

Gli atleti non rispondono bene ai feedback negativi. Gli atleti vivono spesso troppo personalmente i feedback negativi e si arrabbiano di fronte alle critiche.

Gli atleti della categoria Gen Z mostrano brevi intervalli di attenzione. Gli allenatori hanno anche scoperto che gli atleti di Gen Z sono facilmente distratti e hanno difficoltà a bloccare le distrazioni.

Gli atleti di Gen Z sono percepiti come bisognosi di struttura e confini per guidare il loro sviluppo del tennis.

Gli atleti di Gen Z sono per lo più motivati in modo estrinseco dai risultati, dalle cose materiali e dal confronto sociale. Gli allenatori hanno discusso di come la pressione dei genitori e degli allenatori stessi sia una fonte estrinseca che guida la motivazione dei giocatori. In termini di etica del lavoro, la maggior parte degli allenatori ha discusso di come gli atleti di Gen Z lavoravano duramente e avevano una forte etica del lavoro una volta sul campo da tennis.

Gli atleti di Gen Z mostrano scarse capacità di comunicazione. Gli allenatori credevano che i giocatori avessero difficoltà ad esprimere le loro emozioni, fossero timidi ed esitanti a parlare, e che mancassero di abilità di base nella conversazione (cioè il contatto visivo).

Gli allenatori ritengono inoltre che i giocatori di Gen Z controllano ciò che gli viene detto dall’allenatore e non sono pronti a credere a qualcosa solo perché l’allenatore l’aveva detto.

Gli allenatori sono consapevoli che gli atleti di oggi sono più istruiti che nelle generazioni passate, in quanto avevano accesso a un’abbondanza di informazioni online e hanno eccellenti competenze tecnologiche che rendevano facile trovare informazioni per loro.

Gli atleti della Gen Z sono stati percepiti come studenti visivi, il che è stato discusso come un punto di forza, in quanto gli allenatori sono in grado di incorporare la tecnologia come aiuto all’apprendimento durante la pratica e l’allenamento. Infine, gli allenatori hanno ritenuto che gli atleti sono curiosi e aperti all’apprendimento da parte degli allenatori attraverso il loro bisogno di capire il “perché” e la connessione con la performance.

Troppo facebook e doping fra i runner

Ho letto lunghi estratti del libro sul doping nella corsa amatoriale di Carlo Esposito intitolato “Inferno 2019″. Documenta ciò che di terribile avviene, avvicinando coloro che lo praticano ai pluridopati dello sport di livello assoluto.

L’autore mette in evidenza il ruolo di facebook nell’amplificare questo fenomeno. Questo accostamento non deve stupire, poiché è un contenitore utilizzato per coltivare il narcisismo patologico di queste persone. I miglioramenti delle prestazioni che si ottengono con il doping e l’abuso dei farmaci diventano un modo per acquisire status e popolarità. Facebook è lo spazio per la diffusione di questa immagine di sé.

Il doping come le truffe finanziarie si basa sul concetto d’inganno. Ho descritto come avviene nel mio libro “I signori dei tranelli”. Qui ne riporto la definizione.

Per la psicologia cognitiva “un inganno è un atto o tratto di un organismo M che ha la finalità di non far avere a un organismo I una conoscenza vera che per quell’organismo è rilevante, e che non rivela tale finalità” (Castelfranchi e Poggi, 1998, p.55). In tal senso, è un’azione che ha senso compiere solo se si è inseriti all’interno di un determinato contesto relazionale e sociale, poiché è proprio in quell’ambito che vivono i soggetti M e I per i quali la frode assume significato.

La concezione di atto a cui si fa riferimento parlando di frode riguarda essenzialmente processi consapevoli, condotti in maniera intenzionale. Infatti, l’atto del doparsi  consiste sostanzialmente in azioni che si caratterizzano in termini di volontarietà nella ricerca delle strategie di frode e dei modi per attuarle. Uno degli aspetti inquietanti e clamorosi di questo fenomeno riguarda certamente la grande rilevanza sociale dell’inganno ordito nei confronti di coloro che, nello sport di livello assoluto, ammirano questi atleti per l’eccezionalità delle loro prestazioni sportive. Ciò evidenzia un’altra componente cruciale del processo di frode: la rilevanza dell’inganno per gli ingannati. Infatti, la mancanza di conoscenza da parte degli altri, siano essi semplici tifosi o avversari, della reale condizione dell’atleta, avviene attraverso la sottrazione di informazioni indispensabili, impedendo di valutare in maniera corretta le prestazioni fornite dagli atleti dopati. In altre parole viene fatto credere il falso, a discapito del fare sapere il vero.

Infine, il processo dell’inganno comprende un ulteriore aspetto, relativo al non fare sapere all’ingannato che lo si sta ingannando. Quando si falsifica si compie esattamente questo tipo di operazione, si forniscono notizie false, con il dichiarato intento di fare credere che siano vere e si compiono azioni per convincere gli ingannati della bontà di quanto viene sostenuto.

Indipendentemente dal fatto che questi abusi riguardino il doping attuato per fornire prestazioni eccellenti alle Olimpiadi, piuttosto che quello più semplicemente praticato da atleti che svolgono attività a livello ricreativo, tutte le frodi hanno tre elementi in comune che se confrontate con quelle utilizzate da Castelfranchi e Poggi per descrivere il processo dell’inganno vengono così associate:

  • vengono svolte in maniera segreta  e questa dimensione può ascriversi al fattore denominato meta-inganno
  • violano il rapporto di fiducia fra coloro che la compiono e l’organizzazione/ambiente sportivo che ne è vittima e, quindi, si basano sul fattore non-verità
  • sono tese a determinare benefici economici e/o sociali ai frodatori e, quindi, si identificano in termini di finalità specifica.