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Gestire le emozioni durante le Olimpiadi

Iniziano le Olimpiadi invernali 2018 e molti atleti per coronare il loro sogno si troveranno nella condizione di dovere fornire la prestazione che vale una vita sportiva. I Giochi olimpici sono la gara più importante per ogni atleta, è la gara che può cambiare la loro carriera sportiva, molto più di un mondiale. Vale per chi ha già vinto e vorrebbe ripetersi e per quegli atleti che si trovano per la prima volta nel ruolo di protagonista. Infatti, nonostante gli scandali del doping, vincere una medaglia alle Olimpiadi continua a essere il sogno di ogni atleta e per chi ha la possibilità realistica di riuscirci rappresenta veramente tutto quello che non si osava pensare, per timore che il desiderio non si realizzasse.

Ciò che gli atleti devono gestire in questi giorni è il loro panico, si può oscillare dalle vette della sicurezza nelle proprie capacità, sostenute dai risultati sportivi ottenuti, a momenti di puro terrore in cui gli scenari più negativi sembrano prendere il sopravvento. Più raro che provino queste emozioni saltellanti quegli atleti che non sono da podio, che aspirano a un piazzamento dignitoso, che sono già contenti di gareggiare durante il più grande evento sportivo mondiale.

Per gli altri, quelli da medaglia, quelli nelle prime posizioni del ranking mondiale, l’attesa può essere sfibrante. Devono sapere gestire questa fase di attesa, accettando questo rumore emotivo di fondo in tutte le sue sfumature, riducendo le emozioni distruttive con stati d’animo e pensieri costruttivi. La gara con se stessi non comincia al pronti-via, è già iniziata in questi giorni. Perché il prima determina il dopo, come si affrontano le giornate immediatamente precedenti determina come si arriverà al giorno della gara.

Spesso chiedo agli atleti quale sia la parte mentale del loro riscaldamento. Per molti consiste nel ripetersi mentalmente la prova che dovranno affrontare oppure si servono di parole scelte da loro per raggiungere un livello di attivazione emotiva ottimale. Questo lavoro mentale determina un misto di sentimenti, sensazioni fisiche e pensieri che consente di essere focalizzati solo sulla loro prestazione. In questo modo giungono agli attimi che precedono la partenza, dentro la loro bolla, totalmente presi da quello che stanno per fare, poi si parte e tutto succede, o dovrebbe succedere, in modo apparentemente spontaneo.

Entusiasmo e concentrazione

Le sconfitte e i momenti difficili hanno molti padri,  troppo spesso però si vedono atleti su un campo di atletica piuttosto che su uno di tennis o in piscina che non mostrano la gioia di stare in campo nonostante le difficoltà. Questo è uno dei segreti di chi pretende da se stesso il massimo dell’impegno.  Non bisogna lasciarsi andare a errori banali solo perchè il morale sta calando, bisogna allenarsi a mantenere un livello elevato di prontezza mentale. Gareggiare concentrati richiede uno sforzo mentale immenso, ma solo se si è predisposti a farlo si può conoscere i propri limiti.

L’atleta deve sempre ricordare che il-prima-determina-il-dopo. Quindi che lo stato emotivo in un preciso momento determinerà come gareggerà immediatamente dopo. Non si deve usare come alibi i propri errori o le capacità dell’avversario, bisogna sempre essere concentrati sulle proprie capacità e su cosa bisogna fare.  Questo dovrebbe essere l’approccio mentale alla gara, dopo di che ogni sport richiede un approccio mentale specifico per risponda alle esigenze che richiede.

 

Valentino Rossi cade nella trappola di Marquez

Intorno a Valentino Rossi nell’ultima settimana si sono create le premesse per quella tempesta perfetta che si poi scatenata in gara e che ha avuto il suo epilogo con la caduta di Marquez. Era prevedibile? Sì, lo era. Era evitabile? Forse. I contendenti sono  un gruppo di giovani adulti, professionisti, che hanno trasformato il loro amore per le moto e la velocità in un lavoro e per questo si sfidano a chi va più veloce in giro per il mondo, con il loro seguito di tecnici, manager, aziende, che lavorano per metterli nelle condizioni migliori per soddisfare i loro sogni di gloria. Questi giovani sono dei talenti disposti a correre qualsiasi rischio pur di vincere e le curve sono il luogo del duello. Valentino Rossi è il capobranco di questo gruppo di giovani avversari, gli altri vogliono prendere il suo posto, e per un po’ ci sono riusciti, poi lui è tornato ed eccolo ottenere l’altro anno il secondo posto e ora sino all’ultima corsa è in testa al mondiale. Solo uno dei migliori lo può sfidare, non certo Lorenzo che gareggia per vincerlo il mondiale, sarebbe troppo rischioso, allora si offre Marquez che è arrabbiato con lui perché l’ha tolto di mezzo nella corsa per la vittoria e così a Sepang si scontrano al ritmo di quindici sorpassi, nove solo in un giro. Difficile reagire con calma a queste provocazioni fini a se stesse di Marquez e Rossi è caduto nella trappola di accettare questa sfida, che poteva terminare solo se l’altro fosse caduto e questo è quello che è successo. Mike Webb, il direttore gara ha detto che dalle immagini “non è stato possibile stabilire se Rossi abbia colpito o meno Marquez con un calcio” e che Marquez ha sicuramente infastidito Rossi pur se nel limite del regolamento. Sta di fatto che Marquez ha voluto dimostrare che se lui voleva poteva fermare Rossi e quindi affermare la sua leadership sul circuito; “una ragazzata” se non fosse che in questo modo stava alterando il risultato della gara e del mondiale che in ogni caso lo vedeva sconfitto. In precedenza non aveva fatto nulla per impedire di essere sorpassato da Lorenzo, il diretto avversario di Rossi per il titolo mondiale. Marquez non aveva nulla da perdere a fare il bullo contro Rossi, alla peggio nel duello sarebbe caduto e sarebbe passato per vittima e Rossi il campione che non sa più vincere senza commettere scorrettezze. Non c’entra la ragione, è stato uno scontro di emozioni ad alta velocità. Valentino Rossi aveva comunque tutto da perdere nell’accettare questo duello, se cadeva era finita, se commetteva una scorrettezza pure, se stava dietro e aspettava con pazienza aveva una chance per raffreddare la sfida e continuare la lotta per il successo finale. Questo ragionamento è molto difficile farlo mentre si duella con il tuo avversario. Può essere programmato in precedenza. Se so che Marquez me la vuole fare pagare, devo preparare un piano del tipo: “E se succede che … cosa decido di fare?”.  Questo è quello che mi aspetto da un campione come Valentino Rossi, la pianificazione mentale delle situazione avverse che oggi, visto il contesto ad alto tassi emotivo che si è determinato, potrebbero accadere. In questo caso, avrebbe potuto chiedersi (o le persone del suo team avrebbero potuto consigliargli): “Se mi sento provocato cosa è ragionevole che faccia?”. Ognuno è libero di fare le proprie scelte, l’importante è non cadere nella trappola costruita dagli avversari e potere dire alla fine della gara di avere corso esattamente come si era previsto. Purtroppo questo non è avvenuto e ora Valentino Rossi dovrà decidere cosa fare, personalmente mi auguro che gareggi.

(Su: http://www.huffingtonpost.it/../../alberto-cei/caro-valentino-eri-mentalmente-impreparato-alla-trappola-di-marquez_b_8388120.html)

L’attenzione può venire distrutta dalle emozioni sbagliate

In qualsiasi sport l’attenzione sul presente è un fattore chiave di successo e il suo principale nemico sono le  emozioni che insorgono nella mente di un atleta per distrarlo da questo compito.

Qualsiasi giovane atleta ormai in possesso delle abilità necessarie per essere competitivo al suo livello sportivo, dovrebbe dedicare buona parte del suo allenamento a migliorare la sua competenza a gareggiare con un atteggiamento vincente.

In caso contrario, la sua tecnica non gli servirà a niente, anzi sarà fonte di ulteriore frustrazione poiché il giovane atleta non riuscirà a metterla in atto in gara, poiché sarà dominato da una condizione emotiva che lo ostacola

Se vuoi essere competitivo devi allenare con determinazione il tuo auto-controllo, solo in questo modo potrai dimostrare il valore della tecnica acquisita.

 

Perchè è così difficile l’autocontrollo in gara?

L’autocontrollo delle proprie prestazioni sportive è un compito veramente difficile anche per un atleta esperto.

Ma chi si può definire esperto? Chi è in grado di gestire con efficacia una sequenza di difficoltà crescenti in specifiche situazioni.

L’autocontrollo si basa sullo sviluppo delle competenze di auto-regolazione in tre aree distinte:

  • auto-regolazione del comportamento – l’atleta agisce osservandosi e adatta strategicamente i suoi comportamenti.Un atleta sbaglia un tiro e decide cosa fare per eseguirlo in modo corretto l’azione successiva,
  • auto-regolazione ambientale -l’atleta si adatta al modificarsi delle condizioni meteorologiche o del risultato della gara. Negli sport di tiro l’atleta può cambiare il colore delle lenti degli occhiali in funzione del cambiamento della luce o può prendersi più tempo prima dell’esecuzione.
  • autoregolazione interna – l’atleta è consapevole dei suoi processi cognitivi ed emotivi e decide se perseverare in quelle condizioni o se modificarle. Durante la prestazione di gara o in allenamento pensieri ed emozioni predispongono l’atleta a esprimersi al suo massimo oppure possono essere fonte di problemi da risolvere.
L’atleta esperto deve essere accurato e costante nello svolgere queste attività di auto-regolazione monitorando nello stesso tempo i risultati delle sue prestazioni, così da essere consapevole di quali siano le condizioni migliori per poter competere al meglio e incrementare la fiducia in se stessi.
Il mental coaching è il mezzo attraverso cui allenare queste competenze.

Capire le emozioni distruttive

Le emozioni distruttive sono spesso la causa più frequente degli insuccessi degli atleti. A questo riguardo voglio riportare una discussione fra uno dei più grandi studiosi delle emozioni, Paul Ekman e il Dalai Lama. Ognuno potrà trarne il proprio insegnamento.

Il Dalai Lama chiese un chiarimento: “Mi pare che ci siano due cose qui. Una è il processo della comparsa dell’emozione, l’altra la sensazione dell’emozione. Lei sta suggerendo che si diventa consapevoli di entrambe solo a posteriori?”

“No” spiegò Paul “si diventa consapevoli quando l’emozione è ormai comparsa. Essa concentra e orienta l’attenzione una volta che è iniziata, ma non durante il processo che la genera. Nel bene e nel male le nostre vite sarebbero estremamente diverse se in effetti valutassimo consapevolmente, diventando responsabili dell’inizio di ogni emozione. Invece ci sembra che l’emozione ci accada. Io non scelgo di avere un’emozione, di diventare spaventato o arrabbiato. All’improvviso sono arrabbiato. Di solito sono in grado di capire che cosa ha fatto qualcuno per generare in me quell’emozione ma non sono consapevole del processo che valuta, ad esempio, l’azione di Dan che mi ha fatto arrabbiare. E’ una questione fondamentale per la comprensione occidentale delle emozioni: il momento iniziale, un processo cruciale, è qualcosa su cui possiamo soltanto fare delle supposizioni poichè non lo conosciamo. Diventiamo consapevoli soltanto una volta che siamo dentro l’emozione. All’inizio non siamo noi che comandiamo.”

“Mi chiedo” commentò il Dalai Lama “se ci sia forse una situazione analoga nella pratica meditativa, laddove si coltiva una certa capacità introspettiva per monitorare i propri stati mentali … Nello sviluppare questa capacità introspettiva vi è una prima fase nella quale essa non è particolarmente raffinata, cosicché si riesce a cogliere la presenza dell’eccitazione o della fiacchezza soltanto dopo che è insorta. Tuttavia, addentrandosi più a fondo in questa pratica e coltivandola con sempre maggiore attenzione, si riesce a capire anche quando l’eccitazione o la fiacchezza stanno per manifestarsi.”

In sostanza questi sono i punti per noi utili:

  • L’emozione appare improvvisamente e orienta l’attenzione
  • La meditazione sviluppa l’auto-consapevolezza e consente di reagire all’emozione dannosa appena questa sta per manifestarsi.
  • L’attenzione viene così mantenuta sugli aspetti importanti della prestazione.
( Il testo è tratto da Emozioni distruttive, Dalai Lama e Daniel Goleman, Milano: Mondadori, 2003, p. 168-169).

 

Allenare emotivamente i giovani

Simeone, l’allenatore dell’Atletico Madrid, dopo la finale di Champions League persa ha detto che “si può vincere perdendo se dai tutto te stesso”. E’ un concetto chiave per lo sviluppo di un atleta e dovrebbe venire insegnato sino dal primo giorno che un bambino o una una bambino entrano iniziano uno sport. Al contrario si vedono giovani che appena commesso un errore si arrabbiano con se stessi o si deprimono. Sappiamo che ciò succede per la congiunzione di motivi diversi: i genitori sono distratti e non danno molto peso a questi comportamenti, gli allenatori sono più concentrati a insegnare la tecnica piuttosto che a allenare emotivamente gli atleti e i giovani stessi pure non sono bravi a esprimere le loro emozioni e a prendersi cura dei loro stessi in modo positivo. E così osservo quotidianamente tennisti che sbattono la racchetta a terra do po un errore alternano stati d’animo di rabbia e depressione contro di sé o in altri sport in cui fatto un errore ne ripetono altri perché si fanno dominare dalla frustrazione.  Per cambiare questo modo di vivere le sconfitte e gli errori servono genitori e allenatori più consapevoli del loro ruolo di allenatori emotivi e della necessità di lavorare con i loro figli e atleti a modificare questi comportamenti. Non bisogna imporre di certo imporre le nostre soluzioni di adulti ai loro problemi. Bisogna invece ascoltare in modo empatico e non per giudicare, così  che si sentano sostenuti e rispettati nei loro stati d’animo. Solo dopo questa fase si dovrebbe iniziare a parlare di cosa si potrebbe fare di diverso, dando tempo ai ragazzi di esprimere le loro idee e a noi di esprimere le nostre. Agire in questo modo richiede tempo e spesso è per questa ragione che gli adulti non seguono questa strada. Bisogna però essere consapevoli che se si agisce spesso in questa maniera i giovani cominceranno a pensare che le loro reazioni non interessano a genitori e allenatori e peggio ancora continueranno a comportarsi con se stessi in modo negativo. Se vogliamo che i nostri ragazzi sviluppino l’abilità di gestire con efficacia e soddisfazione i loro stress quotidiani dobbiamo spendere del tempo a insegnare loro come comportarsi, sentire e pensare in quei momenti.

Le emozioni come opportunità d’insegnamento

Lo sport è un’attività che mette alla prova la competenza dei giovani nel gestire le loro emozioni. Nello sport si vince e si perde, si commettono errori con facilità e di frequente e per queste ragioni è una situazione che sollecita continuamente anche la fiducia in se stessi. Diventa quindi importante per ogni allenatore imparare a riconoscere le emozioni dei suoi atleti come un’opportunità d’insegnamento. Gli errori che commettono così come i nuovi apprendimenti e le prestazioni rappresentano le situazioni ottimali per allenarli a gestire le delusioni e la rabbia piuttosto che la gioia. L’allenatore deovrebb, quindi, essere consapevole delle emozioni dei suoi atleti, capire l’opportunità d’insegnamento che rappresentano, ascoltare i suoi ragazzi/e in modo aperto e empatico, aiutarli a capire e spiegare quello che è successo e ricerca le soluzioni possibili stabilendo i limiti entro cui trovarle.

Allenatori che agiscono in questo modo ottengono dai loro atleti risultati migliori rispetto a quelli che si comportano diversamente.

Imparare a gestire le emozioni

Il tennis è uno sport che richiede continuamente un elevato controllo emotivo da parte del giocatore. Questa richiesta non riguarda solo i professionisti ma anche gli stessi bambini. Infatti è purtroppo un’esperienza molto comune vedere ragazzini tra 11-14 anni che dopo un errore cominciamo a parlarsi contro e ad avere comportamenti di rabbia/delusione. Già così giovani hanno difficoltà ad accettare i loro errori. Ignorano che l’apprendimento è in funzione della loro abilità di gestire le loro emozioni. I genitori sono spesso pessimisti a riguardo della possibilità dei loro figli di cambiare, perchè sono convinti “che si nasce così” e poi loro ci hanno provato a dirgli di non reagire in quel modo ma non hanno ottenuto alcun cambiamento a riprova ch è proprio questione di carattere. Per fortuna non tutti la pensano in questa maniera e in tutto il mondo sono attivi programmi per contrastare questo fenomeno a partire dalla scuola. Lo sport, e il tennis in questo caso, rappresentano un’importante situazione in cui i giovani possono imparare a gestire in maniera efficace le loro emozioni ed è un modo indiretto per insegnare ai genitori che si tratta di una competenza psicologica che può essere migliorata così come s’imparano i fondamentali del tennis e poi li si mette insieme per costruire il proprio gioco. Certamente i genitori devono sostenere l’attività dei propri figli non creandosi delle aspettative sul loro futuro tennistico ma sostenendo la loro motivazione a divertirsi attraverso lo sport. E’ molto difficile però che svolgano questo ruolo in questa maniera, perchè la vanità personale li porta a credere che il loro figlio possa diventare un campione. Come si fa ad accettare di portarlo a giocare tennis 3/4 volte la settimana, vederlo insultarsi dopo i primi errori e continuare a dire “ma gli piace tanto il tennis”. Non si può fare finta di niente, pensando che prima o poi passa. Invece non passa! A chi la pensa in questo modo consiglio di leggere il Edutopia, il cui scopo d’insegnare ai bambini e agli adolescenti a migliorare la gestione delle loro emozioni e delle relazioni sociali. In Italia ho scritto tempo fa di un programma analogo nato da una ricerca Dove, che promuoverà in 10 scuole secondarie di primo grado di Milano, un ciclo di 4 incontri, riservati a ragazze e ragazzi tra i 12 e i 14 anni.

Cosa vogliono i ragazzi

Il problema dei ragazzi di oggi è che a differenza delle ragazze non sanno esprimere le emozioni e non parlano dei loro problemi. Questa difficoltà è ben espressa in queste parole: “Ho una sorella più piccola che ha 15 anni e i miei genitori danno molta più attenzione ai suoi sentimenti, perchè qaundo una ragazza è triste non ha paura di mostrarlo. E i ragazzi, quando viene il momento di dire qualcosa, non sanno come farlo”. Rosalind Wiseman  10 anni fa aveva scritto un libro sui problemi delle ragazze e ora dopo aver visitato centinaia di scuole medie e superiori, ha scoperto che i genitori non sono i soli ad avere bisogno di una guida anche i ragazzi hanno lo stesso bisogno, in un’epoca in cui le linee tra privato e pubblico sono sfocate e talvolta tra “sì” e “no. «Così ha scritto The Guide: per i ragazzi che si può scaricare gratuitamente come e-book.

Non sorprende che, nei suoi colloqui con gli adolescenti, Wiseman abbia scoperto che uno degli argomenti più popolari riguardava le dinamiche sociali ed etiche dei rapporti interpersonali. Quindi, sulla base di queste conversazioni, ha descritto un modo di procedere con le ragazze che non porti alla distruzione  delle amicizie.

Leggi di più: Hook-Ups, Friendships and the New Rules of ‘Dibs’ for Teen Boys | TIME.com http://healthland.time.com/2013/11/21/hook-ups-friendships-and-the-new-rules-of-dibs-for-teen-boys/#ixzz2m8ynp268