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Sono migliori gli allenatori giovani?

Essere bravi in qualsiasi attività professionale che riguardi la guida di altri uomini o donne non è certamente una questione di età ma di competenze. Sono queste ultime che determinano il valore professionale di un leader. Per l’allenatore sono sostanzialmente tre le famiglie di competenze che deve possedere. La prima riguarda “la scienza” sono le competenze scientifiche e tecniche che un leader deve possedere per essere in grado di programmare e condurre un piano di allenamento. La seconda è “l’esperienza”, consiste nella volontà e abilità di riflettere in maniera professionale sul proprio lavoro identificandone i punti di forza e le aree di crescita, stabilendo nel contempo come colmarle. La terza è “l’intuizione”, consiste nell’essere consapevole di quello che succede sul campo e di essere in grado di apportare dei cambiamenti appena se ne intuisca la necessità. L’allenatore competente è colui che possiede un mix adeguato di queste tre caratteristiche.

Le competenze psicologiche dell’allenatore

Mentre è abbastanza evidente la richiesta che gli atleti fanno di sviluppare programmi di preparazione psicologica, è invece quasi del tutto inesistente la stessa richiesta da parte degli allenatori. Al contrario molti tecnici si ritengono anche bravi psicologi, poggiando questa convinzione sul fatto di essere stati atleti e di capire i propri giovani perchè anche loro hanno vissuto le stesse esperienze. Altri pensano che sia sufficiente un buon programma di allenamento e che il resto non conta nulla e se poi non si emerge è perchè l’atleta non aveva sufficiente motivazione o talento. E quando si ha una difficoltà questa verrà risolta allenandosi di più. Mi chiedo perchè i manager ritengono i programmi di autosviluppo personale degli incentivi che l’azienda offre loro per migliorare professionalemente mentre i nostri allenatori percepiscono questo stesso percorso come una diminuzione della loro leadership, oppure la bollano con un “non ci credo”, come se si trattasse di un atto di fede.

La gestione dell’errore

La competenze nella gestione degli errori è l’arma vincente degli atleti. Tutti gli atleti hanno difficoltà ad accettare l’errore e la loro abilità nel guidarsi in questi momenti determina la differenza fra coloro che forniscono prestazioni ottimali e gli altri. Commettere un errore non è mai un problema, è un fenomeno ricorrente, si potrebbe dire fisiologico della prestazione sportiva. La differenza si determina nella reazione, chi è in grado di accettarlo e di ri-focalizzarsi sulla prestazione successiva scava un abisso tra sé e gli avversari. Pertanto gli psicologi non si devono preoccupare degli errori ma piuttosto di come si comportano gli atleti subito dopo. Prendersi cura di questi aspetti è solo apparentemente facile poichè l’atleta è veramente un blade runner. Bisogna capire e sapere come intervenire e non basta solo il semplice utilizzo di una tecnica psicologica, vi è qualcosa di più e di cui parleremo in una prossima occasione

Il merito perso

Non è un tema sportivo ma a questo lo lega l’idea di competitività e autorealizzazione. “La Stampa” di oggi ci informa che Unicredit privilegerà l’assunzione dei figli dei dipendenti (purchè laureati e con conoscenza dell’inglese). Un altro esempio di come l’entrata nel mondo del lavoro in Italia sia determinata dalla posizione della famiglia e non dal merito. Si avrà un posto perchè un genitore “lo possiede” e al diavolo le capacità specifiche. Così si coltivano solo le norme e le convenzioni sociali.