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Carlos Alcaraz mindset

In un mondo del tennis che da tempo sta cercando chi saranno i sostituti dei Favolosi 3 (Federer, Djokovic e Nadal), le vittorie di Carlos Alcaraz sono lì a dimostrare che forse sarà lui il prossimo n.1 del ranking mondiale.

A proposito della rilevanza della sua mentalità si è espresso in questo modo:

“Direi che la mia forma fisica è stata importante, ma sicuramente la parte più importante è stata il gioco mentale. Sento che sono cresciuto molto in quella parte. Questo è il motivo per cui sono il numero 9 del mondo in questo momento ed è il motivo per cui sto giocando a un buon livello. Ecco perché sono stato in grado di vincere grandi partite, quindi penso che [la mia mentalità] sia la cosa più importante”.

Il suo migliore alleato è il suo coach che gli fornisce sicurezza. Infatti non è certo facile mantenere la qualità e continuità di gioco quando ci si sente sotto pressione  Dopo i primi colpi di dritto a 200 km/h, Ferrero annuisce con calma, mantiene l’autocontrollo senza farsi prendere da euforia o sconforto. Si può dire che questo tipo di relazione non verbale serve a mantenere Alcaraz in una condizione emotiva stabile

Alcaraz mantiene questo autocontrollo anche nelle situazioni di gioco negative, rimanendo fiducioso. Anche in questi casi continua il rapporto non verbale con Ferrero come per dire:  ”Coach, non si preoccupi” e Ferrero restituisce il cenno qui, dicendo “Ok, vai avanti!”.

Il ruolo del coach Ferrero è decisivo poichè il ragazzo si trova ad affrontare situazioni nuove e pressioni agonistiche mai provate, dato il livello a cui sta esprimendo in torni importanti. Quindi la calma del coach è un elemento che Alcaraz sembra interiorizzare e fare suo sul campo.

 

Open Day Online: Master per Allenatori

 

Ruolo decisivo allenatori nell’allenamento giovanile

Tsz Lun (Alan) Chu, Xiaoxia Zhang, Joonyoung Lee and Tao Zhang (2021). Perceived coach-created environment directly predicts high school athletes’ physical activity during sport. International Journal of Sports Science & Coaching, 16(1) 70–80.

La partecipazione allo sport è un mezzo importante per gli adolescenti per riuscire a svolgere un’attività fisica da moderata a vigorosa (MVPA), ma la maggior parte degli studenti delle scuole superiori, compresi gli atleti, non raggiunge i 60 minuti di MVPA giornalieri. Poiché i fattori psicosociali influenzano l’impegno degli atleti e l’attività fisica durante lo sport, l’ambiente creato dagli allenatori potrebbe giocare un ruolo in questa influenza. Guidato dalla teoria dell’autodeterminazione e degli obiettivi di riuscita, questo studio di quattro mesi ha esaminato gli effetti diretti e indiretti dell’ambiente percepito creato dall’allenatore sull’MVPA e sul comportamento sedentario (SB) degli atleti delle scuole superiori durante lo sport. Durante la terza-quarta settimana di una stagione sportiva, 225 atleti delle scuole superiori hanno completato un sondaggio per valutare le loro percezioni del clima di empowering e disempowering creati dall’allenatore, nonché la soddisfazione e la frustrazione dei bisogni psicologici. Quattro mesi dopo, il loro MVPA e i tempi percentuali di SB (%) durante lo sport sono stati misurati usando degli accelerometri. La path analysis ha parzialmente supportato la nostra ipotesi, indicando significativi effetti diretti di un clima di empowering percepito sulla soddisfazione del bisogno (b 1⁄4 .41) e sulla frustrazione del bisogno (b 1⁄4 -.29), ed effetti diretti di un clima di disempowering percepito sulla frustrazione dei bisogni (b 1⁄4 .38) e MVPA% (b 1⁄4 -.28). Non sono stati trovati effetti indiretti significativi su MVPA% o SB%. I risultati supportano e forniscono nuove intuizioni sul ruolo importante di disempowering oltre il clima di empowering nel predire la PA degli atleti delle scuole superiori. In particolare, quando gli allenatori mostrano comportamenti ego-orientati e di controllo, gli atleti delle scuole superiori possono disimpegnarsi durante lo sport e raggiungere un minore MVPA complessivo.

Come deve costruire la coesione l’allenatore

In questo periodo iniziale della stagione sportiva dei giochi di squadra, mi viene spesso chiesto come migliorare la coesione di una squadra soprattutto da parte di chi lavora nelle squadre juniores e in quelle dei campionati che non giocano nei campionati di massimo livello. Faccio questo distinguo perché fra i coach è diffusa l’idea che avendo poco tempo a disposizione, tutto ciò che esula dal lavoro tecnico svolto in campo sia un lavoro superfluo, a cui non si ha tempo da dedicare, proprio perché: “Non siamo mica una squadra professionistica, dove i giocatori sono sempre a disposizione”.

Questo atteggiamento è la motivazione che spinge molti allenatori a ritenere che i giocatori debbano adattarsi al loro metodo di lavoro e alla gerarchie proposte. Preparazione fisica e tecnica/tattica la fanno da padroni e se qualcuno non è d’accordo, peggio per lui/lei.

La leadership si manifesta in sostanza con la somministrazione di un programma di allenamento che deve essere seguito senza discussioni. Si parte da considerazioni corrette (tempo limitato, poche risorse economiche, orari non ottimali) per giungere a conclusioni sbagliate. Chi si adatta è ok; chi non accetta questo approccio viene di solito etichettato come pigro, poco disposto a fare sacrifici o presuntuoso.

Purtroppo, la cultura del lavoro e la coesione di squadra sono fattori imprescindibili in uno sport di squadra e non si costruiscono con questo approccio. La prestazione di squadra trae invece la sua forza dall’allenamento quotidiano del concetto di NOI: la prestazione vincente nasce dall’integrazione del comportamento di vari giocatori, per cui bisogna insegnare a più persone a fare bene cose diverse, insieme e contemporaneamente.

L’allenatore deve:

  1. Favorire la partecipazione, ascoltando le indicazioni dei giocatori
  2. Evitare i favoritismi
  3. Premiare i comportamenti altruistici
  4. Ridurre i comportamenti individualistici
  5. Attribuire a ognuno obiettivi sfidanti e raggiungibili
  6. Attribuire a ogni giocatore un ruolo specifico
  7. Favorire un clima di allenamento orientato all’apprendimento e collaborazione
  8. Stimolare l’impegno massimo e rinforzarlo costantemente
  9. Sostenere sempre la squadra quando è in difficoltà
  10. Spendere del tempo per valutare con atleti l’impegno profuso in allenamento
  11. Analizzare freddamente con la squadra i risultati delle partite

La domanda per gli allenatori è: quanto tempo dedichi allo sviluppo di questi fattori della prestazione?

Recensione libro: Coach Wooden and Me

E’ uscito l’ultimo libro di Kareem Abdul-Jabbar: “Coach Wooden and Me”. Racchiudere le emozioni di un rapporto cinquantennale nei bordi cartacei di un libro non dev’essere stato facile, neanche per una penna raffinata ed esperta del calibro di Lew Alcindor a.k.a Kareem Abdul-Jabbar. Il fenomeno ex Bucks e Lakers è riuscito in questa ardua impresa, e l’ha fatto in grande stile. Le pagine scorrono agilissime, tra riflessioni sulla propria adolescenza e maturità, sulle spinose vicende politiche del tempo e sulla propria visione di concetti elevati quali, ad esempio, la morale religiosa e l’etica sportiva.

Questo libro contiene tutto ciò che possa esserci da sapere su di loro, ma proprio tutto. Dai momenti più luminosi di successo ai momenti di più buia disperazione, quasi sempre placati dalle citazioni letterarie e dalle parole sempre appropriate del Coach. A questo proposito, Kareem cita questa frase di Mark Twain, particolarmente cara a Wooden:

«La differenza tra una parola quasi giusta e una giusta è davvero una grossa questione: è la differenza che c’è tra una lucciola e un lampo».

Il Coach ha sempre scelto il lampo, misurando con attenzione il peso delle proprie parole, per non ferire il proprio interlocutore e per fornirgli sempre spunti positivi.

(Sintesi recensione di Cataldo Martinelli)

Il mental coaching nel Futsal (Calcio a 5)

Relatore: Emiliano Bernardi

Data: 22 Aprile, ore 19-20,15

Durata: 75 minuti

Il webinar è rivolto ad atleti e allenatori di futsal, psicologi ed esperti in psicologia dello sport. Si approfondiranno le principali implicazioni psicologiche di questo sport in un percorso alla ricerca del miglioramento della performance tratto dall’esperienza dell’autore in club e nazionali giovanili di calcio a 5. Partecipando a questo webinar si acquisiranno competenze su:

  • Le principali mental skill del futsal
  • La velocità di pensiero
  • Creare una routine pre-gara efficace
  • Mantenersi concentrati nei momenti critici della partita
  • I benefici del futsal nel processo di crescita psicofisico di atleti giovani e giovanissimi.
  • La parte finale del webinar sarà dedicata al question time dove si potranno porre domande al relatore.

Riceverai una e-mail di conferma entro 24 ore

Grazie Sir Alex

Fergie's farewell 2: Man Utd v Swansea

Resistere alla pressione

L’allenatore del Napoli ha dichiarato che potrebbe prendersi prendersi una pausa dalla sua professione al termine di questa stagione. Non è il primo a affermare la necessità di un periodo di riposo dal calcio, l’ha già fatto Guardiola. Questo commento mi permette di parlare del libro di Hubert Ripoll “Il mentale degli allenatori” che racconta la storia di 42 sportivi allenatori e atleti, in cui si parla anche di cos’è per loro la pressione. A riguardo della pressione percepita dell’allenatore dice così:

“Bisogna essere forti nella testa per resistere alla pressione costante. Tutto si gioca su un filo, dal paradiso all’inferno in qualche millisecondo o millimetro. La disillusione, la disperazione sono prima di tutto per l’atleta. L’allenatore, però anche lui, ne soffre. Per fronteggiarle vi è la necessità di equilibrio personale e di una grande stabilità emotiva. Ciò avviene quando si riesce a prendere le distanze dagli avvenimenti senza negarli. Adottare un’atteggiamento positivo restando però lucidi. Prima di tutto, non bisogna chiudersi in se stessi. Ciò si nutre in primo luogo dei valori che l’allenatore si dà e delle motivazioni che l’animano. Ma ciò non basta quando la pressione è così forte: il pubblico, all’esterno, i giocatori, all’interno.”

Imparare a gestire la propria solitudine e le scelte dei momenti difficili, questo mi sembra essere il compito dell’allenatore che vuole vincere questi stress e restare saldo alla guida dei suoi atleti.

Info: http://www.payot-rivages.net/livre_Le-mental-des-coachs–Hubert-Ripoll_ean13_9782228907637.html

Offerta lavoro psicologo dello sport

La professione di psicologo dello sport in Italia non è così diffusa come ci si aspetterebbe per molte ragioni legate alle nostre arretratezze culturali sia in ambito sportivo che in quelle del mondo universitario. Fra queste ragioni ve ne è una che riguarda la non conoscenza da parte dei dirigenti e degli allenatori di dove e a chi indirizzare le loro offerte di consulenze di psicologia dello sport per la loro società sportiva. Spesso quindi la scelta dello psicologo dello sport avviene attraverso la conoscenza personale diretta o indiretta. Tutti conoscono medici ma nessuno penserebbe di andare da un ortopedico quando gli serve invece un cardiologo o viceversa. Nella mente di molte persone dello sport è dominante l’idea  che per lavorare nello sport sia sufficiente essere psicologi e non psicologi dello sport. La reazione dello psicologo a cui viene offerta questa opportunità è immediatamente positiva ma poco dopo inizia la sua spasmodica ricerca di un collega che sia psicologo dello sport con cui parlare per chiedergli dei consigli su cosa deve fare. Risultato: lo psicologo presenterà alla società un programma che prevede la messa in atto di competenze che non possiede e porterà discredito alla figura professionale dello psicologo dello sport. Personalmente mi è capitato spesso di parlare con allenatori che mi dicevano: “Prima di te c’è stato un tuo collega che ha passato il tempo a fare osservazione e non abbiamo mai saputo a cosa è servita”; “Basta che non dobbiamo più mettere delle crocette e compilare dei test, che non servono a niente”;”Faceva sempre domande ma non ha mai dato una risposta”. Queste sono i commenti più frequenti che ho sentito e di certo iniziare a lavorare in un contesto dove è questa la percezione dello psicologo da parte degli allenatori non è affatto facile.

Pertanto consiglio ai dirigenti e agli allenatori di servirsi di internet per cercare professionisti che possano anche indirizzarli verso colleghi della loro area geografica, contattare le Scuole dello Sport del Coni per avere delle indicazioni, sentire la Società Italiana di Psicologia dello Sport, contattare i docenti universitari di psicologia dello sport. Se si crede che questa sia una professionalità utile a migliorare aspetti di un’organizzazione sportiva, non si può scegliere il primo che passa per strada, perché difficilmente sarà quello giusto. Viviamo in un periodo di alta specializzazione in tutti gli ambiti professionali, compresa la psicologia. Sfruttiamolo perché solo così acquisiremo come società sportive un vantaggio competitivo nel nostro ambiente sportivo in termini di servizi e programmi offerti agli allenatori, al team tecnico, agli atleti e alle famiglie.