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Le origini della ignoranza sportiva

Mettiamo insieme alcuni dati che abbiamo sullo sviluppo mentale dei bambini e cerchiamo di capire se potrebbero influenzare la loro eventuale carriera sportiva.

1.

  • In Italia nel 2012, oltre 26 milioni di persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista, per motivi non strettamente scolastici o professionali. Rispetto al 2011, la quota di lettori di libri rimane sostanzialmente stabile (46%).
  • Le donne leggono più degli uomini: nel corso dell’anno ha letto almeno un libro il 51,9% della popolazione femminile rispetto al 39,7% di quella maschile. La differenza di comportamento fra i generi comincia a manifestarsi già a partire dagli 11 anni e tende a ridursi solo dopo i 75.
  • Avere genitori lettori incoraggia la lettura: leggono libri il 77,4% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni con entrambi i genitori lettori, contro il 39,7% di quelli i cui genitori non leggono.
  • In Italia, anche chi legge, legge poco: tra i lettori il 46% ha letto al massimo tre libri in 12 mesi, mentre i “lettori forti”, con 12 o più libri letti nello stesso lasso di tempo, sono soltanto il 14,5% del totale.
  • Una famiglia su dieci (10,2%) non possiede alcun libro in casa, il 63,6% ne ha al massimo 100.
2.
  • Il premio Nobel per l’Economia James Heckman ha mostrato che i figli dei disoccupati alla scuola materna possedevano un vocabolario di 500 parole, quelli di di genitori poco qualificati 700 parole mentre i figli dei laureati arrivavano a 1100 parole. Purtroppo queste differenze permangono anche nelle età successive permettendo di prevedere con largo anticipo la carriera lavorativa, il reddito, la stabilità familiare e la condizione di salute. Pertanto servono investimenti educativi tali da sviluppare le abilità cognitive e sociali nei bambini da 0 a 5 anni e nelle età successive.
  • Novak Diokovic nel suo libro scrive: “Jelena mi faceva ascoltare musica classica e leggere poesie per calmarmi e imparare a concentrarmi (Puskin era il suo poeta preferito). I miei genitori, invece, mi spronavano a studiare le lingue, così ho imparato l’inglese, il tedesco e l’italiano. Le lezioni di tennis e le lezioni di vita erano una cosa sola, e ogni giorno non vedevo l’ora di scendere in campo con Jelena e imparare sempre di più sullo sport, su me stesso e sul mondo”. (p.5)
Non è difficile capire da questi dati e testimonianze cosa si dovrebbe fare per educare i giovani e che anche lo sport trarrebbe vantaggi da un’educazione centrata sullo sviluppo della lettura. Sono convinto che la poco diffusa cultura dello sport derivi proprio dall’ignoranza che domina in Italia e di cui molti giovani ne fanno le spese, rovinando la loro vita ben prima dell’età adulta.

Criticare: è facile distruggere, è difficile costruire

La scorsa settimana ho incontrato le varie facce del calcio giovanile: gli allenatori, i dirigenti e i genitori.

Ciò che si nota è spesso il desiderio di ognuna di queste categorie di liberarsi dalle proprie  responsabilità, preferendo mettere in cattiva luce gli altri ruoli, evitando la riflessione su se stessi  e sulle proprie possibilità di cambiamento.

Genitori , allenatori e dirigenti si colpevolizzano l’un l’altro in una partita senza vincitori. Mi colpisce che i discorsi si trasformano in critiche distruttive più spesso intraprese per nascondere le proprie responsabilità,  piuttosto che per suggerire sani cambiamenti.

La critica costruttiva è un abilità complessa che comprende empatia,  capacità comunicative, propensione all’ascolto, gestione delle proprie emozioni e  motivazione al cambiamento. E’ un abilità di comunicazione necessaria in campo sportivo ed educativo e evidenzia la capacità di esprimere i propri pensieri e idee, di identificare le proprie sensazioni, di definire e rispettare i limiti propri e quelli altrui, di comunicare e ascoltare in modo aperto, diretto e onesto.

Il ruolo degli educatori che ruotano intorno ai piccoli atleti  implica la capacità di valutare e intervenire sugli errori commessi da altri ma anche, e direi soprattutto, di saper evidenziare ed correggere i propri errori.
La critica costruttiva, adeguatamente utilizzata, serve per migliorare le prestazioni, le relazioni e, più in generale, il senso di efficacia dei vari attori in campo per l’educazione dei bambini.

Fare critica costruttiva è fare una lettura della realtà partendo dalle proprie conoscenze, ascoltando attentamente persone e fatti, accettando il contradditorio, cercando di raggiungere un giudizio che sia orientato al bene del bambino e non alla ricerca della propria verità. Una delle ragioni più profonde di conflittualità  è il non saper fare o accettare critiche. È importante imparare che i nostri valori e le nostre opinioni  personali  non sono in pericolo  quando sono contestate ma anzi spesso si rafforzano.

Come possiamo riconoscere una critica distruttiva da una costruttiva?

La critica distruttiva:

  • È rivolta alla persona, che viene etichettata negativamente
  • È imprecisa
  • Mira a colpevolizzare la persona
  • Tende a chiudere il dialogo

La critica costruttiva:

  • È rivolta alla prestazione o ai comportamenti della persona.
  • Viene data all’interlocutore la possibilità di capire quali sono i comportamenti che non sono sbagliati
  • È specifica e fornisce suggerimenti
  • Vuole migliorare la prestazione e i comportamenti
  • Mantiene aperto il dialogo e trasmette fiducia

Bisognerebbe fare un lungo esame di coscienza prima di pensare a criticare gli altri” (Molière).

(di Daniela Sepio)

Effetto Pigmalione:i danni del pregiudizio e i vantaggi della fiducia

A tanti tecnici sarà capitato di avere in squadra quel bambino un po’ più lento degli altri, magari meno agile e meno coordinato. Come viene trattato dall’allenatore e dai compagni? Gli vengono date le stesse possibilità e viene messo nelle stesse condizioni di tutti gli altri?

In psicologia sono stati effettuati degli studi su ciò che viene definito “Effetto Pigmalione” derivante dagli studi sulla profezia auto-avverante. L’assunto di base di questi studi è facilmente applicabile all’ambito dell’apprendimento sportivo: “ se il  tecnico crede  che un bambino sia meno dotato lo tratterà, anche inconsapevolmente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come il suo allenatore lo aveva immaginato”. In termini pratici possiamo dire che spesso la mancanza di fiducia nelle possibilità di apprendimento del bambino blocca l’apprendimento stesso e spinge il bambino ad accontentare il suo allenatore diventando  proprio ciò che lui si aspetta, avverando la profezia.

Possiamo ben immaginare il tipo di conseguenza che questo processo mentale può avere sul bambino e sulle sue abilità.

Lo sviluppo motorio , ma anche psicologico del bambino è in continua evoluzione e ad un momento di stasi possono seguirne altri di rapido cambiamento. L’Effetto Pigmalione quando è legato ad un giudizio negativo incatena i progressi del bambino al giudizio del suo insegnante. Questo comportamento va attribuito al fatto che il bambino mette in atto il comportamento suscitato dalle aspettative: l’aspettativa di scarso profitto da parte del tecnico agisce come una predizione che si auto-realizza.

Se si accetta il concetto che un tecnico si faccia  un’idea ben precisa dei suoi atleti, plasmandoli in base a questo pre-giudizio, è facile comprendere l’importanza di profezie ed aspettative di segno positivo sulla riuscita dei bambini all’interno del loro processo di apprendimento sportivo. Gli allenatori che hanno aspettative positive nei confronti dei loro studenti riescono, di contro, a creare un clima socio-emotivo più caldo intorno a loro, forniscono maggiori feedback circa la qualità delle loro prestazioni, sembrano fornire più informazioni e aspettarsi maggiori risultati, oltre al concedere più opportunità di domande e risposte. Secondo le osservazioni di Rosenthal, gli insegnanti che sono convinti di avere di fronte un buon allievo gli sorridono con maggiore frequenza, compiono movimenti di approvazione con la testa, si chinano su di lui e lo guardano più a lungo negli occhi, esprimendosi anche con un linguaggio del corpo positivo. Sono più portati a lodare e a correggere gli errori senza assumere un atteggiamento critico.  “In sostanza, un docente che crede di avere a che fare con studenti dotati insegna di più e meglio”. (Rosenthal, 1976).

Capire  l’Effetto Pigmalione  nei suoi aspetti negativi e positivi  permette di comprendere  quanto importante sia l’effetto dinamico della fiducia nello sviluppo completo delle potenzialità del bambino.

La fiducia è una parte importantissima nella nostra vita, è un mezzo con cui possiamo arricchire la nostra vita e quella altrui. La mancanza di fiducia, al contrario, produce frustrazione e paralisi.

La fiducia è in grado di aprire ad un mondo di infinite possibilità.

(di Daniela Sepio)

Alleno mio figlio?

Sempre più di frequente mi viene chiesto come gestire la difficile situazione in cui ci si trova essendo l’allenatore del proprio figlio.

Nel calcio professionistico non avviene quasi mai, anche se negli anni possiamo trovare qualche nome illustre da Cesare Maldini che allenava Paolo, a De Rossi nella Primavera della Roma. Nel mondo delle scuole calcio, per scelta o meno, spesso tra i piccoli giocatori da allenare c’è il proprio figlio. A volte si è spinti da un inevitabile scelta logistica e a volte capita che la scelta non sia proprio casuale. Non mi sento di demonizzare a priori la situazione, ma invito a riflettere: “Perché mi trovo ad allenare mio figlio? È realmente una casualità oppure nei miei pensieri c’è stato il desiderio di avere la certezza che sia seguito nella maniera adeguata, di avere sempre il controllo della situazione in casa e fuori o semplicemente la convinzione di non ritenere valida nessuna alternativa possibile (nessuno potrà allenarlo bene quanto me)?”.

So che può capitare e che sia una scelta consapevole o meno ritengo importante fare alcuni passi fondamentali.

Il primo passo è riflettere sulla necessità della scelta: è davvero così inevitabile? Una volta deciso di andare avanti è importante avere la capacità di guardarsi dentro e capire a quali di queste inevitabili categorie di allenatore-papà si appartiene:

  • Evitante: per evitare di essere criticati di volere favorire il proprio figlio e di vederlo etichettare come raccomandato il padre reagisce trattandolo peggio degli altri: la colpa sarà spesso la sua, riceverà meno incoraggiamenti (magari poi lo consolo a casa) e meno attenzioni.
  • Esigente: rischiare di chiedere al proprio figlio molto di più di quello che si richiede agli altri giovani calciatori. Il padre non è mai soddisfatto del proprio figlio, perché è suo padre e può permettersi di esserlo.
  • Buonista: avere un comportamento lassista nei confronti di quei comportamenti del figlio che invece andrebbero sanzionati e limitati.

Ogni allenatore-papà difficilmente  potrà raggiungere la giusta posizione all’interno del suo duplice ruolo, ma dovrà tendere il più possibile alla situazione ideale in cui il proprio figlio è un componente della squadra come tutti gli altri,  avrà qualità da valorizzare, difetti da correggere e tante cose da imparare come i suoi compagni. In lui potranno essere visibili potenzialità da esprimere ma anche  limiti da superare oppure inevitabilmente da accettare.

Infine lascio, a tutti i papà in cerca del Campione, che non si chiedono se il reale desiderio del proprio figlio sia realmente quello di stare su un campo di calcio,  l’invito a riflettere su un brano della ormai famosissima biografia di Andre Agassi:
“Ho sette anni e sto parlando da solo perché ho paura e perché sono l’unico che mi sta a sentire. Sussurro sottovoce: Lascia perdere, Andre, arrenditi. Posa la racchetta ed esci immediatamente da questo campo. Non sarebbe magnifico, Andre? Semplicemente lasciar perdere? Non giocare a tennis mai più? Ma non posso. Non solo mio padre mi rincorrerebbe per tutta la casa brandendo la mia racchetta, ma qualcosa nelle mie viscere, un qualche profondo muscolo invisibile me lo impedisce. Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta”.

(di Daniela Sepio)

Recensione libro: Attività motoria-cognitiva nella scuola primaria

Attività Motoria-Cognitiva nella Scuola Primaria

Carmelo Pittera

2014, p. 127

Euro Centro Studi “Gabbiano d’Argento”

Ho conosciuto Carmelo Pittera più di 30 anni fa, ero molto giovane mentre lui aveva già raggiunto come allenatore della nazionale di pallavolo il 2° posto ai mondiali. Negli anni seguenti siamo diventati esperti nella comprensione del movimento dei bambini, lavorando sui suoi insight. Carmelo ha continuato a lavorare in questa direzione e ora ha pubblicato un nuovo programma chiamato SELL. In questi anni lo ha applicato in Nord Iralia (Gorizia), in Slovenia e in Argentina. Lo considero un approccio nuovo basato su un solido background teorico, è innovativo e ogni insegnante lo può facilmente introdurre in classe. Ritornerò in futuro su questo progetto che volevo iniziare a condividere con voi e della cui innovatività e validità ne sono convinto.

Ciò che segue è l’introduzione di Carmelo Pittera a questo progetto.

Il mio interesse nei riguardi del Minivolley inizia sul finire degli anni settanta, quando conobbi colui che possiamo definire come l’inventore del Minivolley, il professore Horst Baacke, che aveva introdotto nella Germania dell’Est una prima forma di pallavolo per gruppi di bambini dai dieci a dodici anni.

Dal punto di vista culturale e didattico, ero scettico circa i vari aspetti della specializzazione precoce nei giochi sportivi, principalmente a causa della definizione proprio di Minisport. Ero tuttavia convinto che nei bambini da otto a dieci anni l’educazione motoria deve essere considerata un’attività al servizio dello sviluppo integrale del bambino. È realmente importante che i percorsi educativo – motori lo aiutino nella sulla crescita globale.

Così vide la luce la prima bozza del “Sillabario Motorio”, che rappresentò, personalmente, il punto di partenza del sistema SELL (Segnalazione, Esecuzione, Lettura, Lateralizzazione) e anche la mia prima produzione e applicazione dello studio personale menzionato precedentemente. Al sillabario motorio fece seguito la pubblicazione di “L’alfabeto del movimento”, che raccolse i risultati ottenuti nella ricerca sulla “fase espressivo – analogica” dell’educazione motoria. Pubblicato in quattro volumi, la parte pedagogica fu scritta da esperti in educazione primaria e psicologi.
Il SELL è un sistema educativo che ha come obiettivo l’insegnamento, la strutturazione e l’implementazione di “circuiti” neurali che interessano, partendo dall’area motoria, gli aspetti cognitivi. Sviluppa nei bambini, non solo la possibilità di interagire con altri (socializzazione), ma anche la possibilità di fare in modo migliore le cose con gli altri (cooperazione). Si può definire come:

  • Attività intuitiva, indotta dall’ Osservatore (o il Segnalatore), attraverso quattro mediatori: attività (esperienza diretta), iconici (disegni), analogici (drammatizzazione) e simbolici (colori e numeri, fra gli altri per rappresentare le variabili e le loro relazioni);
  • Un percorso attraverso il quale l’Osservatore costruisce contesti di apprendimento nei quali il bambino è portato a porsi domande piuttosto che aspettare risposte predefinite.
  • Un linguaggio uniforme, uguale per tutti, che non richiede parole specifiche, facilmente accessibile in quanto adattato al potenziale motorio e cognitivo del bambino.

S.E.L.L. (Segnale, Lettura, Esecuzione, Lateralizzazione) si struttura in quattro parti:

  • Il Sistema Analogico Espressivo è un percorso teorico – pratico per l’attivazione dei circuiti di apprendimento motorio e cognitivo a partire dai 4 anni. E’ strutturato in vari percorsi didattici utilizzando le possibilità ambientali o corpo libero combinato con la parete e il suolo; o giochi di costruzione di figure e simboli con la bacchetta combinandoli con il proprio corpo e quello dei compagni; o analogie con il mondo animale e naturale combinate con colori e a corpo libero; o giochi con materiale didattico semplice (palloncini, carte, etc.).
  • Il Sistema Analogico Simbolico ottico e acustico per il miglioramento degli schemi motori di base dagli 8 ai 12 anni: correre, saltare, lanciare, afferrare. Le azioni sono relazionate alla lateralizzazione e al rendimento oculo – manuale e oculo – podalico, all’equilibrio, ai sistemi di accelerazione e decelerazione sia del centro di gravità così come dei distinti segmenti corporei. Tutto questo si raggiunge attraverso simboli, elementi semplici e con gruppi specifici creati in modo speciale dal sistema SELL.
  • Il Sistema di Lateralizzazione, con e senza gruppo. Questo sistema è stato creato per facilitare lo sviluppo armonioso nella crescita motoria del bambino e nelle prestazioni relative ai “gradi di libertà”, con un’attenzione particolare ai problemi della parte non dominante del corpo.
  • Il Sistema di appoggio nello sviluppo dell’Analogico Espressivo, dell’Analogico Simbolico ottico e acustico, con materiali di carta e apparecchiature informatiche per facilitare l’apprendimento in aula e a casa.

I materiali sono costituiti da:

  • Il semaforo e il gioco del burattino;
  • Gli occhi direzionali, ipotetici o realmente rappresentati sulla maglietta oppure sulla punta delle scarpe;
  • La visualizzazione mentale: occhio della mente;
  •  L’attività oculo – manuali/podaliche sviluppate mediante l’uso di elementi convenzionali (palle, elastici, etc.) oppure non convenzionali (giornali, bottiglie vuote e altro).

Il gioco del semaforo e dei burattini, gli occhi direzionali e la visualizzazione mentale devono essere conosciuti e interiorizzati dai bambini prima di iniziare le unità didattiche dell’Espressivo Analogico e dell’Analogico Simbolico Ottico ed Acustico SELL.

Semaforo e il “gioco del burattino”
Durante le nostre lezioni pratiche, notiamo che l’imitazione dei bambini è spesso inesatta. Con i ricercatori del Sistema SELL si è cercato di risolvere questo problema cercando soluzioni adatte alle caratteristiche dei bambini.
Dopo vari tentativi siamo arrivati al “Gioco del semaforo”. La scelta di questo simbolo è stata adottata dopo aver avuto la prova della conoscenza universale dell’oggetto da parte dei bambini. Abbiamo individuato il simbolo del semaforo insieme all’immagine dell’ “Uomo di Vitruvio” di Leonardo da Vinci, modificato dal punto di vista cromatico con il fine di relazionare le diverse parti del corpo umano con i colori di questo simbolo.
La simbologia utilizzata, oltre ad aumentare il focus attentivo, ha un’influenza considerevole nello sviluppo dell’immaginazione e, di conseguenza, nella creatività delle forme. Permette ai bambini di migliorare la conoscenza della struttura del proprio corpo e all’insegnante, insieme ai bambini, di sviluppare nuove forme di gioco migliorando la stabilizzazione dei contenuti dell’insegnamento.

 

 

Educare i genitori allo sport

La National Alliance for Youth Sports ha realizzato un programma educativo per i genitori dei ragazzi e ragazze che praticano sport per renderli consapevoli del loro ruolo e delle responsabilità così come dei modi per rendere piacevoli e positive le esperienze dei loro figli.

 

Lo sport: premio o punizione?

E’ inziata la scuola e molti genitori preoccupati del rendimento scolastico spesso tagliano lo sport. Il calcio è uno di questi. Allenamenti che saltano e pratica sportiva abbandonata, se il rendimento scolastico non va. L’attività fisica è considerata un premio e quindi, per abitudine educativa, utilizzata di contro come punizione.

“Mens sana in corpore sano” contiene in sé una profonda verità che diviene ancor più realistica se associata all’infanzia e all’adolescenza. Abituare il proprio figlio ad un’adeguata gestione tra scuola e sport è la strategia educativa vincente che punta sul senso di responsabilità, stimolando le capacità organizzative del bambino e del ragazzo. Il desiderio di essere puntuale al proprio allenamento stimola ad organizzarsi, a tirare fuori le proprie capacità gestionali. È importante per i genitori imparare ad utilizzare i desideri dei bambini e dei ragazzi come stimolo e non come fonte punizione,  questo al fine di ottenere risultati duraturi e non semplicemente associati al momento punitivo.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità  nel  “Global Recommendations on Physical Activity “ definisce per ogni fascia di età l’attività fisica consigliata. Tra i 5 e i 17 anni raccomanda: “almeno 60 minuti al giorno di attività moderata–vigorosa, includendo almeno 3 volte alla settimana esercizi per la forza che possono consistere in giochi di movimento o attività sportive”.

Questo interesse per l’attività fisica  durante l’infanzia e l’adolescenza conferma l’importanza dello sport  per la crescita fisica e psicologica delle nuove generazioni. Il primo passo da fare è imparare a non considerare lo sport come un capriccio del bambino, da utilizzare come premio e punizione, ma un aspetto fondamentale che va integrato nel percorso educativo del proprio figlio.

(di Daniela Sepio)

Lo sport impara dallo sport

Il terzo tempo nel rugby è quello che vede le squadre avversarie e i tifosi ritrovarsi per mangiare e bere insieme, scambiandosi considerazioni e opinioni, al di là di chi ha vinto e perso. Il terzo tempo celebra qualcosa di più importante di un incontro agonistico ovvero il rispetto reciproco e il fair play, tutte peculiarità che hanno reso questo sport primo in sportività.

Negli ultimi anni anche il settore giovanile e scolastico del calcio ha inserito nel Comunicato Ufficiale n1 (documento pubblicato dal settore giovanile e scolastico della FIGC contenente tutte le indicazioni sulla stagione sportiva) la promozione del terzo tempo, e scrive: Il Settore Giovanile e Scolastico promuove l’organizzazione del Terzo Tempo Fair Play da parte delle società. Nel corso del Terzo Tempo “FAIR PLAY”, le società e le famiglie mettono a disposizione dei/delle partecipanti una merenda da condividere tra loro, allargando naturalmente l’invito anche a tecnici, dirigenti e genitori delle squadre coinvolte in occasione dell’incontro. In questo modo il Settore Giovanile e Scolastico intende diffondere i valori della sana competizione sportiva”.

L’introduzione del terzo tempo nel calcio è stata molto criticata poiché i comportamenti poco nobili che lo  contraddistinguono, poco si addicono ad una tradizione di fair play come quella del rugby. Penso invece che i giovani calciatori non devono pagare ancora una volta le spese del calcio adulto e per questo motivo se il calcio non sa insegnare a sé stesso, deve imparare da chi ha più radicate tradizioni positive. Lo ricordo ai presidenti delle scuole calcio, ai dirigenti ed ai genitori che spesso dimenticano e ancora più spesso non sanno neanche dell’esistenza  del terzo tempo. Non è un furto del calcio, è invece un segno di riflessione dello sport primo per popolarità, che prende in prestito da chi ne sa di più. Gran parte del mio lavoro consiste nel fornire strumenti psicologici a chi ruota intorno ai giovani calciatori per far si che la loro esperienza sportiva possa essere la migliore possibile e se questo può essere un ulteriore strumento per mandare un messaggio positivo, allora dobbiamo promuoverlo. Credo che  il calcio adulto come è oggi, non sappia sostenere il terzo tempo, i bambini invece possono farlo e in un percorso, purtroppo al contrario, possono essere da esempio per i più grandi. Spesso si dimentica che il vero cambiamento del calcio può avvenire solo a partire dalle sue radici: le scuole calcio.

(di Daniela Sepio)

Perché io non posso giocare a calcio?

Come psicologa dello sport mi trovo spesso ad incontrare genitori di piccoli calciatori per dar loro degli strumenti affinché possano sostenere in modo efficace i propri figli nell’attività sportiva. Proprio in uno di questi incontri, è stata inaspettatamente recapitata una lettera da parte di una mamma. La pubblico con piacere cosicché possa essere spunto di riflessione per chi vive il calcio giovanile.

“La prima volta che il dottore mi disse: signora sarà un maschio! Pensai subito: giocherà come tutti i bambini a calcio e sarà un super calciatore. Pensa quanti goal farà! Purtroppo il fato non ha voluto tutto questo. Perché mio figlio non potrà mai giocare a calcio e non potrà mai camminare. Non vi nascondo che alla scoperta della malattia di mio figlio mi è caduto il mondo addosso, però poi vai avanti.
Voi vi chiederete cosa c’entra tutto ciò con oggi!
Vi scrivo per farvi capire che forse a vostro figlio non importa se non ha il numero 10, se non è titolare in ogni partita, se sono di più le volte che non gioca. Tutto questo sicuramente vi darà fastidio perché direte:

  • io ho pagato e quindi ho diritto che mio figlio giochi
  • giocano sempre gli stessi
  • mio figlio non è meno bravo degli altri

Ora mettetela come vi pare ma vi siete mai posti una domanda? Mio figlio di tutto ciò che ne pensa? E se io non mettessi bocca sulla sua attività sportiva? Forse lui è’ contento così, gli basta stare con gli amici e divertirsi.
Parlo al di fuori di tutto, perché non avrò mai questi problemi. Però proprio perché sono al di fuori di queste problematiche, vi posso garantire che non importa far vedere al mondo intero che vostro figlio è  il numero uno. E’ importante vedere che loro siano felici e sereni, e se sbagliano un rigore, se stanno in panchina, se non giocano al 100% non mortificateli, ne difendeteli. Sta a voi farli sentire i numero uno, in qualsiasi situazione. Il mio numero uno non potrà mai dare calci ad un pallone.
Lasciateli liberi di giocare, allora si, che saranno i numero uno.
Pensate a quando mio figlio torna da scuola piangendo e mi dice
” Mamma, anche io voglio giocare a calcio. Perché non posso?”

(di Daniela Sepio)

Costruire la resilienza

Chiedi “come” piuttosto che “perché”. Se tuo figlio getta a terra il treno quando è frustrato e  questo si rompe, piuttosto che chiedere perché, chiedigli come avrebbe potuto rispondere diversamente o come può aiutare ad aggiustare il treno. In questo modo tuo figlio diventa parte della soluzione e non il problema.