Archivio per il tag 'allenatore'

Pagina 3 di 3

I problemi dell’Inter

Non mi convincono le spiegazioni fornite sulle sconfitte dell’Inter e non mi riferisco al merito degli acquisti e cessioni di calciatori, dell’invecchiamento della squadra o degli eventuali errori d’impostazione tattica della squadra. Certamente sono aspetti importanti ma nelle valutazioni che ho ascoltato e letto mi sembra manchi qualcosa, che a mio avviso viene prima di tutto e cioè: impegno e dedizione. Significa entrare sul campo con la voglia di dare il meglio di sè anche sapendo che non si è al massimo della preparazione (quale che ne sia il motivo), con la voglia di dimostrare che si ha un’anima. Ecco perchè gli allenatori sono spesso paragonati ai condottieri, perchè devono fare ardere questo fuoco, e non è retorica. Dice bene Al Pacino-allenatore nel film “Ogni maledetta domenica” bisogna lottare 1 cm alla volta. Questo approccio viene prima degli schemi, perchè è quello che serve proprio a esaltare il gioco squadra, povero o ricco che sia. “NOI siamo questi” deve dire la squadra, “siamo disposti a lottare?”  Questo ragionamento è semplice e terribile nello stesso tempo. Semplice perchè elimina ogni altra giustificazione, terribile perchè ognuno sa che da quel momento non può più mentire a se stesso. O ci stai o sei fuori e quando i giocatori purtroppo si escludono, a quel punto viene mandato via l’allenatore.

E’ utile cambiare allenatore durante il campionato?

Le squadre italiane di calcio cambiano spesso allenatore, talvolta anche prima dell’inizio del campionato, la domanda che ci si pone riguarda ovviamente l’utilità di questo modo di agire dei presidenti delle società. Le statistiche sono a questo riguardo di poca utilità, poichè evidenziano che talvolta le squadre cambiano in meglio ma in altre occasioni non si ottiene questo stesso risultato. Si cambia perchè i calciatori contestano il tecnico o per seguire gli stati d’animo dei tifosi o per capriccio del presidente o perchè l’allenatore vuole imporre la sua filosofia di gioco in modo rigido. In questo periodo si parla spesso di “progetto della squadra” ma credo sia più un modo di dire che un programma specifico e dettagliato costruito su un’idea del tecnico. “Progetto” vorrebbe dire che società e tecnico sono concordi nel seguire una strada, che dovrebbe essere stata tarata in precedenza sulle caratteristiche dei calciatori che formano la squadra. In caso contrario è una parola vuota e alle prime difficoltà tutti si troveranno a dare addosso all’allenatore, che diventa così il capro espiatorio, che viene di conseguenza licenziato. Giocare al genio incompreso da parte del tecnico non è a mio avviso per lui professionalmente utile, perchè i presidenti non sono dei mecenati pazienti e i calciatori se non capiscono non sono motivati, pur se sono professionisti, a impegnarsi a realizzare quanto richiesto. In altre parole, l’allenatore che vuole porare avanti le sue idee deve tenere presente il contesto nel quale le dovrà applicare, di questo fanno parte i calciatori e il presidente, se non è convincente nel suo operato nessuno sarà disposto a dargli quella fiducia che serve a realizzare un progetto nuovo. Ogni situazione avrà poi anche altre specificità che sono solo sue, ma la regola principale è che non si può far fare alle persone ciò che non vogliono fare, specialmente se come cantava Giorgio Gaber: “… tu sei solo e loro sono tanti.”

Calcio e autostima

Sempre più di frequente si sente parlare da parte degli allenatori che la loro squadra soffre di problemi di autostima; altrettanto spesso terminano l’intervista dicendo che chiedono ai giocatori di mostrare la prossima partita più grinta, determinazione o coraggio. Ovviamente non è certo questa la soluzione altrimenti l’allenamento consisterebbe nel chiedere a chi corre poco, di correre di più; a chi è indeciso di essere deciso; a chi è lento di essere veloce e così via. Insomma, non si cambia di certo dicendo a qualcuno di fare ciò che di solito non fa. Si cambia innanzitutto analizzando come ci si allena: si lavora con il pilota auomatico o con lo stato d’animo di chi vuole fare bene? I giocatori di solito fanno ciò che dice l’allenatore, raramente questo è un problema. La questione è un’altra e riguarda “come si sta sul campo”, si è presenti solo con il corpo o anche con la mente? Agli atleti con cui lavoro dico sempre che bisogna allenarsi con l’anima altrimenti è meglio stare a casa. Significa che per prima cosa è importante l’atteggiamento con cui ci si dispone all’allenamento, subito dopo viene la concentrazione totale su quanto si deve fare. Solo in questo modo si ottiene il meglio da sè. Con questo approccio la partita diventa una situazione in cui ri-attivare questa condizione psicologica, solo raggiunto lo stato mentale ideale entrano in gioco gli schemi e la tattica. Come dire, anche chi possiede una ferrari, prima di pensare a come guidarla deve accendere il motore; altrimenti questa bella macchina resta ferma e anche chi guida una cinquecento può superarla.

L’allenatore padre-padrone

La lettura della rubrica “Punto e Svirgola”, botta a risposta tra Giuseppe Smorto e Gianni Mura su www.Repubblica.it offre nella sua apparente superficialità un’idea precisa della mentalità dei calciatori. In questo caso si tratta di quelli dell’Inter. La domanda che si pongono nell’articolo è semplice: gli attaccanti non tornano indietro perchè sono stanchi, perchè non c’è più chi li strilla (Mourinho), o perchè Leonardo non glielo ha detto. Mura risponde dicendo che è per tutte e tre queste ragioni e chiude l’argomento. Mi sembra invece che emerga in modo evidente  l’idea che se non sono guidati in modo molto diretto e quasi elementare non fanno ciò che sanno di dovere fare. Va bene che sono stanchi … ma la testa non dovrebbe indicargli cosa è meglio fare per vincere una partita? Rimango sempre sbalordito del fatto che se l’allenatore non si accorge che i suoi giocatori stanno rinunciando a vincere, loro di spontanea volontà non agiscono come sanno che dovrebbero. Forse che l’allenatore padre-padrone è davvero l’unico modello?

Pianificazione nel calcio

Mi piacerebbe sapere cosa pensa un allenatore di calcio quando per più volte la sua squadra continua a giocare male. Hanno un sistema che va oltre l’ovvio o dipende tutto solo dalla loro capacità (psicologica quindi) di capire cosa sta succedendo a un giocatore piuttosto che a un altro? Dico questo perchè nel mondo altrettanto competitivo del business, una multinazionale avrebbe già rimosso un manager che non è stato in grado di prevedere le prestazioni del suo gruppo. Le persone vengono spostate di ruolo da un giorno all’altro poichè anche qui non si può fallire o rallentare. Ma indipendentemente dalla rimozione dei responsabili, esistono dei sistemi consolidati per programmare lo svolgimento sulla base dei dati in possesso (gli eventi e i risultati passati) x le competenze attuali x le richieste dei risultati da ottenere x condizione psicologica e motivazione giocatori x l’analisi degli imprevisti che possono accadere. Sulla base dell’analisi integrata di questi parametri si definisce il programma e le sue tappe di svolgimento. Un esempio per l’Inter:
1. Eventi passati – nel 2009/10 si sono vinti i trofei più importanti che può vincere una squadra. L’allenatore era molto carismatico.
2. Le competenze – sono gli stessi giocatori della scorsa stagione.
3. Obiettivi – continuare a vincere campionato e Champions
4. Condizione psicologica – da analizzare sul campo, ma sapendo che si sentiranno orfani del leader che gli ha fatto vincere tutto in un anno, che dopo questi risultati l’anno seguente i giocatori con probabilità sono poco motivati e fisicamente esauriti (analogo all’anno dopo Olimpiadi).
5. Imprevisti – alcune ipotesi: disponibilità all’infortunio, scarsa voglia di lottare, aumento irritabilità se i i risultati non corrisponderanno all’aspettative, aspettative elevate ma poca voglia d’impegnarsi.
Questo, in breve, era lo scenario possibile. Domanda si lavora così nel calcio o i problemi si risolvono solo chiedendo al presidente di comprare nuovi giocatori?

Un campione di vegetale?

“Una vincitrice di medaglia di bronzo alle olimpiadi del 1968 aveva un allenatore che era veramente impressionato dalla sua abilità di eccellere nel nuoto che era l’unica cosa importante della sua vita. L’aveva convinta che tutte quelle persone là fuori (fuori dal regime della piscina) erano dei vegetali perchè non stavano facendo niente. In seguito lei disse: quando smisi di nuotare divenni una di loro – … Se qualcuno cerca di farti credere che sei importante solo perchè sei il primo o il secondo al mondo, cosa ti lascia quando non sarai più in classifica? Un vegetale?” Queste frasi risalgono al 1980 e sono tratte dal libro “In pursuit of excellence” di Terry Orlick. Oggi sono più che mai attuali. Dopo 30 anni cosa viene fatto perchè ciò non accada? Nulla.

La Juventus ovvero la sindrome del perdente.

La Juventus è prigioniera della sindrome del perdente, secondo cui qualsiasi azione sia stata intrapresa per cambiare, il risultato non cambia. In questo caso sono stati cambiati dirigenza, allenatore e la maggior parte dei calciatori ma la prima partita è stata la copia delle ultime di campionato. Ora la questione è di sviluppare nella squadra un approccio allla partita più deciso e meno pauroso. Si può non essere una squadra di vertice ma si deve essere una squadra combattiva e tenace e quando ciò non avviene vuol dire che non si è lavorato sulla componente mentale di gruppo, sul valore di lottare per non subire. Inoltre, questo non avviene di certo introducendo sin dall’inizio giocatori appena comprati che non hanno mai condiviso allenamenti con i nuovi compagni e non li conoscono. Con questa scelta il messaggio inviato dall’allenatore è che ciò che conta è il talento personale e non possedere un’idea comune di gioco. E’ vero che vincendo si migliora mentalmente ma se non si entra in campo con la voglia di lottare su ogni pallone si perderà sempre. Quindi prima impostare una mentalità fondata sullo strenuo impegno e giocare così le partite; in seguito si svilupperà una mentalità vincente.