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Le plusvalenze finte della Serie A possono determinare il fallimento di molte squadre

Molte squadre di serie A contabilizzano delle plusvalenza, alcune fittizie, per tenersi a galla e non far figurare il rosso nel bilancio. Il calcio italiano (dati al 30 giugno del 2018)  è in rosso “solo” di 65 milioni, meglio dei 315 milioni persi in media ogni anno dal 2010. I numeri però sono in parte “truccati”. A tenere a galla la Pallone Spa non sono i biglietti venduti, gli assegni degli sponsor o i diritti tv ma i guadagni garantiti dalla compravendita di giocatori: una girandola di scambi – talvolta a prezzi fuori da ogni logica di mercato – che ha regalato ai 20 club di Serie A 724 milioni di entrate extra (il doppio del 2016). Un tesoretto che vale ormai quasi un terzo dei ricavi del pianeta calcio.
Dietro questa pioggia d’oro c’è un po’ di tutto: molte plusvalenze sono figlie di investimenti azzeccati. Basta pensare ai 15 milioni incassati dalla Sampdoria cedendo Milan Skriniar all’Inter o i 17 guadagnati dalla Roma girando Emerson Palmieri al Chelsea. Alcune invece sono delle vere operazioni fatte modificare il bilancio; queste operazioni vedono calciatori della Primavera venduti a prezzi super. Un gioco delle tre tavolette buono per far tornare i conti di fine anno (chi incassa contabilizza subito i guadagni, chi paga spalma la spesa su più anni di bilancio) ma che rischia di trasformarsi in uno tsunami finanziario per un campionato dove gli stipendi dei calciatori si mangiano da soli il 68% delle entrate reali e i debiti sono oltre 3 miliardi”.

Sono sempre accadute situazioni di questo tipo in cui si creano finti profitti per mantenere attivi i bilanci e ciò che appare non è vero.

A questo riguardo, ad esempio, “… già nel XVIII secolo la moltiplicazione delle società e il rapido aumento del capitale sottoscritto diedero luogo a gravi inconvenienti che provocarono misure legislative da parte del Parlamento inglese intese a limitarne gli abusi. A questa decisione si era giunti in seguito alla truffa perpetrata dalla Compagnia del Mare del Sud fondata nel 1711 da Robert Harley e John Blunt. La storia ha inizio quando  a questa società venne affidato il monopolio per tutti i commerci con il Sud America, mentre in cambio questa Compagnia avrebbe dovuto assumersi parte dei debiti che l’Inghilterra aveva contratto durante la guerra di successione per la corona di spagnola. La Compagnia del Mare del Sud si configurava in termini di organizzazione finanziaria che tramite il commercio delle risorse minerarie e di schiavi avrebbe attratto numerosi investitori. In realtà, quei territori erano detenuti dalla Spagna,  che aveva permesso all’Inghilterra un solo viaggio l’anno in cambio di una quota parte dei profitti.  Ciò nonostante, le continue voci che fiorivano a Londra sull’apertura in Sud America di nuove rotte commerciali, di nuovi porti e di navi che avrebbero portato oro e argento sollecitarono ugualmente l’ingordigia degli investitori. Purtroppo, nel 1718 la Spagna e l’Inghilterra  entrarono nuovamente in guerra  e gli attesi guadagni non si poterono concretizzare a causa di questo evento. Ciò però non impedì agli speculatori di presentare ai loro probabili clienti gli incredibili guadagni che avrebbero avuto al termine del conflitto. A presunta conferma della sua buona salute, nel 1719 la Compagnia propose di assumersi tutto il debito pubblico del governo inglese e l’anno successivo il Parlamento glielo accordò. Questi fatti fecero accorrere numerosi investitori che comprarono le azioni, facendone così incrementare di molto il valore e questo avvenne sino alla primavera del 1720. Nello stesso periodo, in virtù del successo ottenuto dalla Compagnia del Mare del Sud nell’attrarre capitali, altre Compagnie sorsero per magnificare i favolosi proventi che si avrebbero avuto dallo sviluppo del traffico con il Nuovo Mondo, nel commercio del pesce piuttosto che in quello del legno. Le azioni emesse passarono da un valore di 175 sterline a febbraio, a quello di 380 in marzo, a 520 in maggio sino a raggiungere il picco massimo di 1000 sterline alla fine di giugno…ma a settembre piombarono a 135 sterline. A questo punto le ricchezze di molti erano state dilapidate sino a scomparire, poiché i guadagni promessi erano rimasti tali sulla carta”.